FIAMBERTI (Flamberti, Framberti), Tommaso
Figlio di Antonio, originario di Campione (ora Campione d'Italia, in provincia di Como), viene menzionato per la prima volta in due documenti del 17 e del 21 marzo 1498 registrati a Cesena, ove in quell'anno era già residente (Grigioni, 1913, p. 498). L'8 ottobre dello stesso anno, con un atto rogato a Ravenna, vendette un buon numero di proprietà in località Campione e Bissone (ibid.). In una testimonianza dell'8 ott. 1499 a Cesena il F. risulta "... habitatore Cesene in contrata strate foris ..." (ibid. p. 499). Il 6 apr. 1502 si ha una prima notizia sulla sua attività di scultore: da Luffo Numai, letterato e politico, gli venne commissionata, in società con G. Ricci da Sala, il monumento Sepolcrale Numai, nella chiesa di S. Maria dei Servi a Forlì, con un atto del 6 apr. 1502, in cui il F. viene detto residente a Cesena (Grigioni, 1895, p. 93). La società tra i due artisti, già insieme nella testimonianza del 1498, durò sino al 1508, quando, in un documento del 4 febbraio, quattro testimoni furono nominati per pronunciare il loro lodo (Grigioni, 1913, p. 502). Citati ancora in due atti di vendita del 1503 e del 1505 rogati a Cesena (ibid., p. 500), nel 1506 erano entrambi impegnati nella realizzazione di nove colonne per il convento di S. Francesco a Cesena (ibid., p. 501).
Morta la prima moglie, Elisabetta di maestro Francesco - nominata per la prima volta in un documento del 1504 (ibid., p. 500) -, il F. sposò in seconde nozze una Margherita da Parma.
Nel 1509 il F. completò un secondo monumento funebre, commissionato da Luffo Numai nel corso dell'anno precedente, eretto nella chiesa di S. Francesco a Ravenna.
Di questa opera non si ha l'atto di allogagione, tuttavia si sa che il 17 febb. 1508 Caterina Paolucci, moglie di Luffo, dettava testamento, chiedendo di essere sepolta in S. Francesco a Ravenna; Luffo fece testamento dopo la di lei morte, avvenuta di lì a poco, e morì tra il settembre e l'ottobre dello stesso anno (ibid., pp. 502 s.).Il F. è ancora una volta documentato a Cesena nel 1509 (ibid., p. 503). Nel 1510 Giulia Verardi gli affidò la realizzazione di tre statue mannoree - S. Leonardo, S. Cristoforo e S. Eustachio - per l'altare di S. Leonardo nella cattedrale di Cesena. Nella esecuzione dell'opera il F. fu affiancato dal pittore e scultore Vincenzo, figlio di Gaspare Gottardi, ma il lavoro non venne portato a termine a causa del giudizio negativo espresso dalla committenza (ibid., pp. 504-507).
Nel 1511 un atto registra l'impegno assunto dal F. per la realizzazione di sette colonne per un chiostro della chiesa di S. Agostino a Forlì (Grigioni, 1914, p. 641). Nel 1513 ricevette l'incarico di comporre l'arco d'accesso alla cappella di S. Antonio da Padova nella chiesa di S. Francesco a Cesena. L'allogagione fu affidata da G. A. Guidicini: lo scultore doveva eseguire un'arcata in pietra d'Istria con intagli decorativi (Grigioni, 1913, pp. 507 ss.). Il disegno dell'opera da realizzarsi nella cappella è allegato all'atto notarile, e in calce ad esso si leggono le firme dei testimoni e la data: "Die XII Iulij 1513". L'arcata, distrutta con la chiesa, presenta nel disegno due diverse decorazioni: girali d'acanto e candelabre formalmente vicine a quelle che ornano le pilastrate dell'altare del Corpus Domini nella cattedrale. Tale somiglianza spingeva Grigioni a riconoscere la mano del F. anche in quest'opera, commissionata da C. Verardi, arcidiacono della cattedrale, a G. B. Bregno (Grigioni, 1911, pp. 11-18; Markhani Schuulz, 1991, pp. 133 s.).
Da questa data in poi tutti i documenti riguardanti il F. non riportano indicazioni utili alla ricomposizione della sua personalità artistica. Unicamente, in un documento del 1520 il F. si impegnava ad eseguire tre cappelle marmoree per la chiesa di S. Maria dei Servi a Cesena (Grigioni, 1915, pp. 760 s.; la chiesa è stata abbattuta e riedificata nel XVIII secolo). Gli stessi padri serviti il 3 genn. 1525 rogarono uno strumento di cessione di un terreno in favore del F. quale corrispettivo per l'esecuzione di colonne e capitelli per un chiostro dell'annesso convento (ibid., p. 762). Nello stesso anno il F. si apprestava a realizzare la sepoltura per donna Fiordiligi, figlia del conte G. Augustelli e vedova di G. Graziani. Il 16 maggio un atto rogato a favore di Giacomo Bianchi e Giovanni Maria di Battista da Pazzallo, lapicidi, incaricava i due artisti l'ordine di eseguire il sepolcro, seguendo il disegno del F., essendo questi venuto a mancare: "Cumque dictus magister thomasius sit mortuus ..." (ibid., p. 3). La morte del F. pertanto dovette avvenire tra il gennaio e il maggio 1525. In un documento del 21 giugno 1525 la moglie è citata quale "... uxor olim magistri Thoma sculptoris lapidum" (Grigioni, 1913, p. 513).
La figura del F. inoltre è associata, a partire dallo studio di G. De Nicola del 1922, a quella del cosiddetto "Maestro delle Madonne di marmo", personalità delineata per la prima volta da W. Bode (1886), che gli attribuiva circa una trentina di rilievi in marmo o pietra (Madonne con Bambino e Busti di fanciulli), formalmente dipendenti dalla maniera di Antonio Rossellino e Mino da Fiesole, conservati a Berlino (Skulpturensammiung, Bodemuseum), Londra (Victoria and Albert Muscum), Pietroburgo (Museo dell'Ermitage), Firenze (Museo del Bargello), Urbino (Galleria nazionale delle Marche), oltre che in collezioni private, nazionali ed estere. De Nicola (1922) riconduceva al F. il corpus di opere individuate dal Bode, attribuendogli inoltre la lunetta con Madonna con Bambino tra angeli, scolpita per il duomo di Forli e oggi in Pinacoteca, attraverso un confronto con i putti reggicartiglio del monumento Numai in S. Maria dei Servi.
De Nicola riconobbe inoltre la mano del maestro nel fonte battesimale del duomo di Forlì (già attribuito al F. da Grigioni, igig), originariamente collocato in una cappella laterale in fondo alla chiesa, trasferito nel 1882 nella cappella dedicata alla Madonna del Fuoco: datato 1504 è una vasca marmorea esagonale sulle cui formelle si trovano rappresentati tre episodi della Vita del Battista e i santi: Elena e Girolamo, Mercuriale, Valeriano.
Nel rilevare le stringenti affinità delle Madonne del "Maestro", nonché dei rilievi istoriati del monumento Numai di Forlì, con i prototipi fiorentini, De Nicola ipotizzava una formazione del F. in ambito toscano, meglio fiorentino, da collocarsi tra il 1480 ed il 1495, e un successivo trasferimento a Urbino sino al 1498, quando, stabilitosi a Cesena ed artista ormai maturo, si associava a Giovanni Ricci.
Grigioni (1913, p. 499), nel tentativo di distinguere l'intervento del F. e del Ricci nel monumento funebre di Luffo Numai in S. Maria dei Servi a Forlì, attribuiva al F. il rilievo con l'Adorazione dei pastori, posto sopra l'urna, e al Ricci la lunetta superiore con la Resurrezione di Cristo. Soltanto nel 1933 J. Balogh, riesaminando l'opera, suggeriva l'ipotesi di una paternità del F. per quel che riguarda l'architettura e l'ornato, riconducendo i rilievi al Ricci. Conseguentemente la studiosa suggeriva di identificare il "Maestro delle Madonne di Marmo" con lo stesso Ricci. Un confronto con l'unica opera autonoma del F. giunta a noi, il Monumento funebre Numai a Ravenna, nella chiesa di S. Francesco, firmato a datato 1509, permetteva di ravvisare analogie di fattura nelle parti ornamentali dei due monumenti e di accettare come corretta l'attribuzione della Balogh (1933). Il sepolcro ravennate non presenta tra l'altro alcun pannello istoriato, e l'ornamento a tralci vegetali con i classici grappoli di uva beccati da uccelli tra le foglie rimanda alla cultura figurativa di coniazione lombardoveneta, ampiamente diffusa in area urbinate.
Pertanto l'eventuale presenza del F. ad Urbino prima del suo trasferimento a Cesena viene accettata da D. Ferriani (1992, p. 380), la quale, nell'esaminare due rilievi di Madonna con Bambino e il busto del S. Giovannino (Urbino, Galleria nazionale delle Marche), attribuiti al "Maestro delle Madonne di marmo", ne ripropone l'irrisolta questione dell'identità, escludendo comunque il nome del F., come già dimostrato dalla Balogh, ed accogliendo, seppur cautamente, l'identificazione con G. Ricci, già parzialmente accettata da Viroli (1989). Lo studioso analizza alcune delle opere variamente attribuite, riconosce la mano del "Maestro" in un rilievo raffigurante il busto del Salvatore, conservato nel convento del Corpus Domini a Forlì, che inserisce nel gruppo degli Ecce homo precedentemente classificati da Middeldorf (1974, p. 3) come lavori del "Maestro". Viroli non esclude comunque la possibilità che tutte queste opere, non uniformi sia da un punto di vista qualitativo che stilistico, possano essere il prodotto di diverse personalità attive all'interno di una bottega, guidata da un artista di formazione toscano-fiorentina, accettando così l'ipotesi proposta da Pope Hennessy (1964, p. 151).
Il F. potrebbe dunque avere lavorato all'interno di tale bottega, rendendo difficile ancora oggi il ricomporsi del suo operato, testimoniato unicamente dai due sepolcri Numai di Forlì e Ravenna, ove è stato possibile ravvisare quei caratteri stilistici di matrice lombardo-veneta forse acquisiti già all'origine della sua formazione, oppure accolti nel corso di un breve soggiorno presso il grande cantiere urbinate.
Il F. ebbe un figlio, Giovanni, attivo come lapicida a Cesena nel 1518 (Grigioni, 1913).
Fonti e Bibl.: W. Bode, Die italienischen Skulpturen der Renaissance in d. königlichen Museen zu Berlin, in Jahrbuch der k. preuss. Kunstsammlungen, VII (1886), pp. 29-32; C. Grigioni, I monumenti diLuffo Numai a Ravenna e Forlì, in Bull. d. Soc. fra gli amici dell'arte per la provincia di Forlì, I (1895), 6, pp. 88-93; Id., L'altare del Sacramento o di S. Giovanni Battista nella cattedrale di Cesena, in Rassegna bibliogr. dell'arte italiana, XIV (1911), pp. 11-18; S. Bernicoli, Arte e artisti in Ravenna, in Felix Ravenna, 1913, 12, pp. 402 s.; C. Grigioni, Nota su l'arte e gli artisti in Ravenna. T. F., ibid., pp. 497-514; Id., Un'altra opera di T. F., ibid., 1914, 15, pp. 640 s.; Id., Nuovi documenti su T. F., ibid., 1915, 17, pp. 760 ss.; Id., Giacomo Bianchi a Cesena, in Rassegna bibliogr. dell'arte italiana, XVIII (1915), pp. 1-5; Id., La vasca battesimale del duomo di Forlì, in Arte e storia, XXVIII (1919), pp. 86 s.; G. De Nicola, T. F., il "Maestro delle Madonne di marmo", in Rassegna d'arte, IX (1922), pp. 73-81; J. Balogh, Uno sconosciuto scultore ital. presso il re Mattia Corvino, XV (1933), pp. 273-297; J. Matzoulevitch, Quelques sculptures inédites d'Antonio Rossellino, Giovanni della Robbia et T. F., in Annuaire du Musée de l'Ermitage. Art occidental, I (1936), pp. 55-72; J. Pope Hennessy, Catalogue of Italian sculpture in the Victoria and Albert Museum, I, London 1964, pp. 151 s.; U. Middeldorf, Un "Ecce homo" del Maestro delle Madonne di marmo, in Arte illustrata, VII (1974), 57, pp. 2-9; G. Viroli, in Il monumento a Barbara Manfredi e la scultura del Rinascimento in Romagna, a cura di A. Colombi Ferretti-L. Prati, Bologna 1989, pp. 73-91 (con bibl. preced.); A. Markham Schulz, Giambattista and Lorenzo Bregno, in Venetian sculpture in the High Renaissance, Cambridge-New York 1991, ad Indicem; D. Ferriani, Il Maestro delle Madonne di marmo: Giovanni Ricci o T. F.?, in Piero e Urbino. Piero e le corti rinascimentali (catal.), Venezia 1992, pp. 378-382 (con bibl. precedente); U. Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, XI, p. 526; XXXVII, p. 222, s.v. "Meister derMarmormadonnen".