Tommaso Fazello e Scipione Ammirato
L’opera di Carlo Sigonio costituisce un unicum rispetto alla tradizione storiografica italiana del tempo, perché spazia dall’antichità romana al basso Medioevo, dalle vicende locali a quelle nazionali ed europee, dalla storia sacra a quella profana. Negli stessi anni in cui egli andava elaborando i suoi scritti ed entrava in aperto conflitto con le istituzioni ecclesiastiche romane, altri storici, da diverse prospettive e in diversi luoghi della penisola, pubblicavano opere comparabili con la sua per oggetto e metodologia.
Tra quelli, di particolare interesse, anche se chiuso in un circolo localistico, il padre domenicano Tommaso Fazello (Sciacca 1498-Palermo 1570) compose un’opera sulla sua isola, la Sicilia, raccogliendo una sterminata mole di fonti archeologiche e documentarie. Sollecitata dallo storico Paolo Giovio, pubblicata nel 1558, ampliata e rivista nel 1560 e nel 1568 (De rebus siculis decades duae, Palermo) e tradotta in volgare nel 1574 (Venezia), l’opera si divide in due parti: una è dedicata alla descrizione topografica della Sicilia, la seconda sviluppa una storia dell’isola dalle origini a Carlo V, a cui il lavoro è dedicato. La sua ricerca si distanzia in modo sensibile da quella sviluppata da Sigonio, se si eccettua l’uso delle fonti archivistiche e archeologiche (S. Pricoco, Da Fazello a Lancia di Brolo. Osservazioni sulla storiografia siciliana e le origini del cristianesimo in Sicilia, in Il Cristianesimo in Sicilia dalle origini a Carlo Magno, Atti del Convegno di studi, Caltanisetta 28-29 ottobre 1985, a cura di V. Messana, S. Pricoco, 1987, pp. 19-39; R. Contarino, Fazello Tommaso, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 45° vol., 1995, ad vocem). Come lo storico modenese infatti, Fazello ricostruisce in parte la sua storia attraverso un’analisi storico-filologica delle fonti ma, a differenza dell’autore del De regno Italiae, sovrastato dalla mole del materiale finisce per dare credito anche a miti e leggende, che invece erano stati obiettivo polemico di Sigonio. La sua trattazione, in particolare nella seconda parte, si distanzia molto da modelli storiografici come Machiavelli e Guicciardini, limitandosi a giustapporre i fatti in ordine cronologico, non giustificando mai le ragioni e le cause che determinarono gli snodi della storia siciliana. All’interno di questo affresco non mancano interessi pattriottici tesi a esaltare il passato siciliano (come la colonizzazione greca o la riconquista normanna che segnò il ritorno sull’isola del cristianesimo dopo la dominazione degli ‘infedeli’), ma, anche in questo caso, la penna dello storico preferisce soffermarsi su figure ‘esemplari’ piuttosto che ambire a disegnare un quadro più articolato e storicamente complesso di queste vicende.
Di diverso spessore fu l’opera di Scipione Ammirato (Lecce 1531-Firenze 1601), formatosi come storico a Napoli e poi trapiantatosi a Firenze, dove compose le sue opere più importanti. Egli, anche se fu interessato alla ricostruzione documentaria di determinate vicende della storia italiana e fiorentina, sviluppò il corpo principale della sua opera elaborando alcuni trattati tesi a sviluppare, a partire da Tacito, una serie di consigli per governare meglio lo Stato, sull’esempio che gli forniva in quegli stessi anni l’opera di Giovanni Botero sulla ragion di Stato (Discorsi del signor Scipione Ammirato sopra Cornelio Tacito, 1594; R. De Mattei, Ammirato Scipione, in Dizionario biografico degli Italiani, Istituto della Enciclopedia Italiana, 3° vol., 1961, ad vocem; R. De Mattei, Il pensiero politico di Scipione Ammirato, 1959). L’obiettivo polemico della sua opera era Machiavelli, ma i rilievi al segretario fiorentino non possono essere ricondotti a quella letteratura antimachiavelliana che aveva contraddistinto il 16° secolo. L’approccio di Ammirato è piuttosto quello di un confronto critico, testimonianza ne è il fatto che lo studioso salentino si concentra sui Discorsi piuttosto che sul Principe, vale a dire su un’opera nella quale l’uso delle fonti e l’analisi storica erano più articolati. Un esempio interessante, proprio perché permette un confronto con l’opera di Sigonio, sono i discorsi in cui Ammirato critica l’idea di Machiavelli di una storia italiana segnata dalle politiche papali che hanno contribuito alla sua divisione e debolezza. In questo caso Ammirato contesta l’assunto di Machiavelli sulla base di un’attenta analisi delle fonti storiche, arrivando a dedurre che proprio la divisione in realtà politiche distinte aveva contribuito allo sviluppo politico e culturale della penisola (Opuscoli del Sig. Scipione Ammirato, 1637; G.M. Monti, Un avversario cinquecentesco dell’unità d’Italia: Scipione Ammirato, in Studi in onore di Niccolò Rodolico, 1944, pp. 263-73).