DEL BENE, Tommaso
Ultimo discendente di un'illustre famiglia fiorentina, nacque presumibilmente a Firenze, il 9 novembre (del) 1652 da Giulio di Francesco, colonnello della fanteria italiana in Francia, e da Anna di Iacopo Baldeschi di Perugia. La sua famiglia, alcuni esponenti della quale sin dagli inizi del XVI secolo si erano stabiliti alla corte di Francia e vi avevano ricoperto importanti incarichi, godeva della cittadinanza fiorentina ed anche il D., con i fratelli Iacopo e Francesco, si trova iscritto nei registri delle decime della città. Ricevette la sua prima educazione a Malta da fra' Gilberto Del Bene, nativo francese, grande ospitaliere dell'Ordine e balì di Morea; nel 1664 fu creato cavaliere gerosolimitano.
Non si sa di preciso quando rientrò a Firenze, ma è del 10 luglio 1669 una sua supplica al granduca con la quale chiede ed ottiene di essere ammesso a far parte del personale di corte, in qualità di paggio d'onore. Dal novembre del 1686 al marzo dell'anno successivo è a Roma dove seguiva i lavori per preparare la residenza di Francesco Maria de' Medici, nominato cardinale il 2sett. del 1686. Nel corso di questo soggiorno romano egli ricevette inoltre anche il compito di informarsi sul cerimoniale in uso presso la corte pontificia e nel gennaio del 1687 inviò al cardinale Francesco Maria una "voluminosa scrittura politica e cirimoniale". Tuttavia è solo nel dicembre del 1690, quando era già gentiluomo di camera, che gli venne affidata da Cosimo III la sua prima importante missione, come inviato straordinario alla corte di Francia.
Nella scelta del D., come risulta dall'istruzione indirizzatagli, giocarono un ruolo determinante sia la fama e l'apprezzamento di cui godeva il nome dei Del Bene in Francia sia il tipo di educazione da lui ricevuta a Malta. L'incarico era in effetti dei più delicati poiché, a seguito di alcuni incidenti verificatisi nel porto di Livorno tra navi inglesi ed olandesi da una parte e navi francesi dall'altra, Luigi XIV, dopo aver lamentato presso il granduca la scarsa considerazione in cui erano tenuti il decoro e la dignità della nazione francese, minacciava di rompere la neutralità del porto. La situazione, resa più critica dal conflitto in atto tra la Francia da un lato e l'Impero, l'Olanda, l'Inghilterra e la Spagna dall'altro, si presentava particolarmente difficile per la Toscana che veniva sollecitata a prendere posizione a favore dell'uno o dell'altro gruppo belligerante. In questi frangenti il D. doveva placare i risentimenti francesi e riaffermare, contemporaneamente, la utilità comune della neutralità del porto di Livorno. In effetti fu proprio nel corso della sua missione alla corte di Francia (dicembre 1690-dicembre 1691) che venne sottoscritto tra le potenze belligeranti un trattato per il rispetto della neutralità del porto.
Il felice esito della missione francese dovette contribuire non poco ad assicurare al D. la stima ed il favore di Cosimo III che d'ora in poi gli affiderà diversi incarichi importanti e delicati e lo gratificherà, progressivamente, delle cariche di corte più ambite. Dal maggio del 1694 a quello del 1695 è inviato in missione a Roma per sostenere di fronte alla Congregazione dell'Immunità le ragioni dei ministri dell'ufficio dei Fossi di Pisa, impegnati in una causa contro l'arcivescovado di quella città per l'annoso problema del trattamento fiscale da riservarsi agli ecclesiastici. Non si sa quale sia stato l'esito di questa missione, ma sicuramente la soluzione dovette soddisfare il granduca se immediatamente dopo affidò al D. un altro incarico di rilievo. Il 21 luglio 1695 infatti il D. partì da Firenze diretto in Inghilterra, in qualità di inviato straordinario alla corte di Guglielmo III d'Orange.
Il D. doveva manifestare a Guglielmo, ora riconosciuto unico sovrano dell'Inghilterra, il rispetto e la considerazione granducali e presentargli le condoglianze per la morte della regina Maria, sua consorte e, soprattutto, tenersi informato sulle trattative in corso per la stipulazione della pace tra Francia, Impero, Inghilterra, Olanda, e Spagna, ancora impegnate nella "guerra dei nove anni".
È dopo questa missione in Inghilterra (21 luglio 1695-7 apr. 1696), e senza dubbio in considerazione delle qualità dimostrate, che Cosimo III nominò il D., tra il 1696 e il '97, consigliere di Stato. In tal modo il D. entrò a far parte di quel Consiglio aulico che, formato da membri della famiglia granducale e da cortigiani benemeriti, svolgeva in questo periodo un ruolo di primo piano nel governo dello Stato. Ed è certamente a partire da questo momento che i suoi rapporti con la famiglia granducale si fanno più frequenti e che egli, oltre a ricoprire gli incarichi di gentiluomo di camera e di consigliere di Stato di Cosimo III, è anche primo gentiluomo di camera del cardinale Francesco Maria. Dal novembre del 1697 all'agosto del 1698 il D. si recò, in qualità di inviato straordinario, presso Giovanni Guglielmo, elettore palatino e sposo della figlia del granduca, Anna Maria.
Nel corso della missione, immediatamente successiva al matrimonio del principe Gian Gastone con Anna Maria Francesca di Sassonia Lanenburg, il D. doveva innanzitutto ringraziare, a nome del granduca, l'elettore e l'elettrice delle cure prodigate per la conclusione del contratto matrimoniale, e accertare quali diritti possedessero realmente la sposa del principe Gian Gastone e la sorella di lei sul ducato di Lanenburg, il cui possesso era stato recentemente rivendicato dall'elettore duca di Hannover.
Rientrato in Firenze nell'autunno del 1698, il D. ne ripartì nel gennaio del 1699 per accompagnare a Modena il cardinale Francesco Maria che, in qualità di protettore dell'Impero, si recava in quella città per rallegrarsi delle nozze tra la principessa Guglielmina Amalia di Hannover e Giuseppe I, figlio dell'imperatore Leopoldo. Dal 17 maggio al 18 giugno del 1700 il D. accompagnò Cosimo III a Roma, in occasione del giubileo, e il 24 giugno dello stesso anno, ricorrendo la solennità di S. Giovanni Battista, venne nominato dal granduca suo maestro di camera. È in questa veste che egli, nel periodo 1700-1719, oltre a svolgere il ruolo di intimo consigliere di Cosimo III, curò il cerimoniale degli avvenimenti più importanti del tempo: dai festeggiamenti per l'arrivo di Filippo V di Spagna nel porto di Livorno nel giugno del 1702 alle esequie del cardinale Francesco Maria de' Medici, nel febbraio del 1710. A partire da questo anno fino alla morte, il D. sarà inoltre gran priore dell'Ordine di S. Stefano. Dal 18 marzo del 1719 esercitò la carica di maggiordomo maggiore rimasta vacante per la morte del marchese Francesco Riccardi, avvenuta il 1° marzo dello stesso anno.
Il D. era ormai all'apice della carriera: in qualità di vicemaggiordomo maggiore controllava infatti tutta la vita della corte e ne coordinava le attività in un periodo in cui essa aveva assunto un ruolo decisivo nel determinare gli indirizzi della politica granducale. La sua posizione era così salda che neppure il mutare del sovrano o addirittura della casa regnante, valsero a rimuoverlo dal suo incarico. Con l'avvento di Gian Gastone (1723) il D. continuò infatti ad esercitare, oltre alle funzioni di vicemaggiordomo maggiore, un'influenza preminente nel governo. Dopo l'estinzione di casa Medici e l'avvento dei Lorena nella persona di Francesco Stefano (1737), entrò a far parte del Consiglio di reggenza insieme al principe Marco Creon Bouveau, al generale Carlo Francesco barone di Wachtendonk, al segretario di Guerra Carlo Rinuccini, a Iacopo Giraldi priore dell'Ordine di S. Stefano e all'abate Giovanni Antonio Tornaquinci, primo segretario di Stato. Questo Consiglio, che aveva inizialmente competenza su tutti i settori dell'amministrazione pubblica, governava il granducato tenendosi in contatto con il Consiglio di Toscana istituito appositamente a Vienna da Francesco Stefano di Lorena. Tuttavia la permanenza del D. nel Consiglio di reggenza ebbe breve durata.
Morì infatti a Pisa il 2 dic. 1739 e fu sepolto nella chiesa del S. Sepolcro.
Della sua vita privata non sono rimaste testimonianze; lasciò suoi eredi i nipoti, figli della sorella Artemisia e di Curzio di Giulio Cesare Doni di Perugia.
Fonti e Bibl.: Notizie biogr. generali: Archivio di Stato di Firenze, Carte Sebregondi, 569; Ibid., Carte Ceramelli-Papiani, 547; Ibid., Carte Dei, VIII, 42, c. 61v; Ibid., Carte Pucci, II, 47; Ibid., Manoscritti, 139, c. 255r; 140, cc. 570v, 609r, 627v, 657r, 659r, 690r, 702r, 781r, 797r-798r, 799r; 141, cc. 112r-119r, 502r; 142, cc. 488v-489v; Ibid. Reggenza, 98, ad vocem; Ibid., Manoscritti, 321, cc. n. n.; Ibid.; Mediceo del Principato, 1843, c. 22v; 1845, cc. 44v-45v, 147r-177v; 1847, c. 9r; Ibid., Deposit., 849, cc. n. n. Per le amb. cfr. Ibid., Mediceo del Princ., 5818, 2663, 2716, 4678, 2668, 3923, 5691, 5692, 2668, 2669, 4009; M. Del Piazzo, Gli ambasc. toscani del Princitato (1537-1737), Roma 1953, pp. 22, 72, 94, 99; F. Diaz, Il granducato di Toscana, I Medici, Torino 1976, p. 525; G. Pansini, Franz Stephan von Lothringen und die Reform des Staates der Medici 1737-1765, in Maria Theresia und ihre Zeit, Salzburg-Wien 1979, p. 123.