TOMMASO DA CELANO, CONTE DEL MOLISE
Attestato come fautore di Ottone IV di Bruns-wick, T. si innesta nella linea della contea di Celano. Si sa infatti che nel 1213 è anche conte di Celano e di Albe. Dopo la battaglia di Bouvines del 1214 T. tentò un riavvicinamento deciso a Federico II, ma non fu presente alla sua incoronazione nella basilica di S. Pietro in Roma, pur avendo inviato per ingraziarselo un suo figliolo. Quest'ultimo fece parte del gruppo di baroni che, guidati da Riccardo da Celano, donarono al novello imperatore costosi cavalli da guerra. Nono-stante la mediazione di papa Onorio III, T. non riuscì a ottenere la riconciliazione. La sua opposizione a Federico II sarà da quel momento tenace e disperata, chiudendosi egli a Roccamandolfi mentre la moglie, contessa Giuditta, si ritirava nella Rocca di Boiano.
Federico II si rese subito conto che il consolidamento del suo potere poteva passare soltanto attraverso l'eliminazione della sacca di resistenza costituita dalla contea di Celano. Colpirono certo T. tutte le disposizioni che Federico II emanò in quel preciso torno di tempo. L'imperatore eliminò, infatti, la giurisdizione criminale dei conti, recuperò le fortezze di Terra di Lavoro che dominavano le strade dirette verso il Sud, a Capua e Napoli, e rivolse il suo interesse a quella regione che, posta ai confini con lo Stato della Chiesa e dominata dai ribelli conti di Celano, costituiva la spina nel fianco del Regno. Nel 1221 Federico attaccò e conquistò Boiano convocandovi i baroni fedeli. T. a sua volta li assalì, li mise in fuga e incendiò la città. Raggiunse poi la moglie Giuditta, donna forte e bellicosa, a Roccamandolfi e vi si arroccò. A Celano sul monte Tino, sulla sommità della Serra, v'era inoltre il caposaldo difensivo dei conti dei Marsi, costituito dalla rocca, fortificazione per positura geografica quasi imprendibile. Boiano, Roccamandolfi, Serra di Celano dunque costituirono un intreccio difensivo di tutto rilievo. Federico II fece assegnamento sui tempi lunghi ai quali T. non poteva certo resistere. L'imperatore affidò pertanto la campagna militare a Tommaso I d'Aquino (v.), conte di Acerra e maestro giustiziere di Puglia e Terra di Lavoro.
Come prima azione Tommaso d'Aquino pose l'assedio alla rocca di Boiano della quale s'impossessò venendo a patti con i difensori. Si volse quindi a Roccamandolfi e ne assediò la roccaforte, predisponendo nel frattempo l'assedio di Celano. L'abitato di quest'ultimo si arrese all'imperatore mentre alcuni celanesi rimasero fedeli a T. e si ritirarono nella torre e nella rocca di monte Tino, detta anche di Ovindoli. I celanesi che si erano dati a Federico II fecero anche di più: tentarono invano di conquistare la torre e la rocca e chiesero pertanto l'aiuto dell'imperatore. Il cerchio intorno a T. si strinse sempre di più.
Appena venuto a conoscenza del contemporaneo assedio della rocca di Ovindoli, T. uscì nottetempo da Roccamandolfi, per vie impervie entrò nella rocca assediata e piombando con i suoi sull'abitato di Celano attaccò sul far dell'alba gli imperiali e li mise in fuga. Ormai molta parte del territorio marsicano era sotto il suo controllo. La rocca di Ovindoli venne ancor più munita. T. punì Civita con il saccheggio e Paterno con l'incendio perché erano passate alla parte imperiale.
La rocca di Roccamandolfi resistette ancora mentre Celano si consolidò contro gli imperiali. Il caso di T. divenne per Federico sempre più preoccupante, tanto più in quanto inserito in un contesto di crescente favore allo Svevo. Già prima della sortita dalla rocca di Roccamandolfi Federico II, che si era incontrato a Veroli con il papa Onorio III, aveva dato ordine a Tommaso I d'Aquino di assediare più strettamente la rocca. Inutilmente. Quest'ultimo ricorse pertanto alle blandizie nei confronti di Giuditta, che con i suoi figli dirigeva la resistenza. Le prospettò la possibilità di un'onorevole resa in cambio della salvezza per sé e per i suoi relativamente alle persone ed ai beni. Giuditta accettò e Roccamandolfi con la sua rocca fu quindi assicurata all'imperatore, che la distrusse.
Un primo importante caposaldo di T. dunque cadde. Ormai la resistenza si sfaldava. Lo stesso Federico, tornando nel Regno dal colloquio avuto con i cardinali e con il re di Gerusalemme a Ferentino, si recò personalmente a Celano per la via di Sora. L'imperatore non aveva mai preso parte personalmente alle campagne militari che si erano svolte ai confini settentrionali del Regno. L'eccezione sta forse a dimostrare quanto gli stesse a cuore la riduzione della riottosità di Tommaso. Non solo, ma curò anche la parte diplomatica della campagna. È proprio Federico, personalmente, a ordinare di far condurre a Celano la moglie di T., Giuditta, e il figlio, rimasti dopo la capitolazione a Roccamandolfi. Federico fece parlare la contessa con il marito al fine di farlo recedere dalla linea di resistenza. L'incontro si risolse con un nulla di fatto. L'imperatore si allontanò da Celano, non senza aver prima ordinato di dare in custodia la moglie e il figlio di T. nelle mani del maestro giustiziere Enrico di Morra, ordinando inoltre di fortificare il colle di S. Flaviano. Appena ritornato in Puglia, Federico venne a sapere della richiesta di resa di Tommaso. A mediare era papa Onorio III.
Quali le ragioni di questo repentino cedimento? Forse T. aveva capito che la partita era persa. Che fra le ragioni dell'accanimento di T. non sia da ascrivere anche la promessa che Federico aveva rinnovata ad Onorio di partire entro il 1221 per la crociata? Ma tutto il 1221 era passato e la crociata ebbe luogo senza di lui. L'imperatore si era limitato a inviare due squadre navali al comando dell'ammiraglio Enrico di Malta e dell'ex siniscalco Gualtiero di Palearia (v.), poi vescovo di Catania. L'ultima speranza di T. si era quindi dissolta. Federico era ancora nel Regno e poco v'era da sperare in una prossima sua partenza. T. ragionò realisticamente. Vedeva crescere l'organizzazione del Regno ed egli rappresentava l'ultimo baluardo di una struttura feudale.
Quale futuro per la sua posizione? Piegò il capo e chiese la mediazione di Onorio III. I termini dell'accordo furono i seguenti: 1) T. si impegnava a consegnare Celano e Ovindoli; 2) Federico si impegnava ad assicurare a T. il possesso delle armi, dei bagagli e di tutte le genti che avessero voluto seguirlo; 3) alla contessa sarebbe stato riservato il solo possesso della contea del Molise. T. andò quindi in esilio a Roma. Cessò dunque il dominio feudale della famiglia dei Berardi nella Marsica e Celano subì una violenta distruzione. Ai celanesi venne ingiunto di uscire dalle proprie case con le masserizie e di costruire all'interno di un recinto i loro abituri.
Appena i celanesi furono usciti, l'abitato venne diruto e incendiato, rimanendo in piedi la sola chiesa di S. Giovanni. Celano mutò anche il nome, chiamandosi da allora in poi Cesarea. Si fortificò nuovamente la Serra sopra Celano e gli abitanti che erano stati confinati nel recinto vennero deportati in altre località.
Tuttavia il 15 aprile del 1223 Federico II stipulò con T. un atto di concordia in tredici punti che avrebbe condizionato la stessa possibilità di movimento del conte, subordinata agli spostamenti dell'imperatore in modo che questi ne potesse in ogni momento controllare le intenzioni.
A garanzia T. consegnava suo figlio nelle mani del Gran Maestro dei Cavalieri teutonici assieme al figlio di Rinaldo di Aversa. Questi, nel caso d'inosservanza del patto, sarebbero stati consegnati nelle mani dell'imperatore. La contea del Molise veniva restituita a T., a sua moglie e ai loro eredi, fatta eccezione dei fortilizi dei castelli, che venivano distrutti, e della rocca di Boiano, della quale si riservava il controllo.
Si 'normalizzava' così la posizione di T., conte del Molise.
Fonti e Bibl.: M. Febbonio, Historiae Marsorum libri tres, Neapoli 1678; Friderici II concordia facta cum Comite Celani, in M.G.H., Leges, Legum sectio IV: Constitutiones et acta publica imperatorum et regum, II, a cura di L. Weiland, 1896, pp. 348 ss.; Riccardo di San Germano, Chronica, in R.I.S.2, VII, 2, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938, pp. 83, 94, 101-102, 107-108. T. Brogi, La Marsica antica medievale e fino all'abolizione dei feudi, Roma 1900; F. Terra Abrami, Cronistoria dei Conti dei Marsi, poi detti di Celano, "Bullettino della Società di Storia Patria A.L. Antinori negli Abruzzi", ser. II, 15, 1903, puntata VI (XXXII), pp. 237-252; ser. II, 16, 1904, puntata VI (XXXIII), pp. 55-76; puntata VIII (XXXIV), pp. 138-174; E. Sthamer, Die Hauptstrassen des Königreichs Sicilien im 13. Jahrhundert, in Studi di storia napoletana in onore di Michelangelo Schipa, Napoli 1926, pp. 97 ss.; E. Jamison, I conti di Molise e di Marsia nei secc. XII e XIII, in Convegno Storico Abruzzese-Molisano, Roma, 25-29 marzo 1931, I, Casalbordino 1933, pp. 73-178; I fondi pergamenaceo e cartaceo dell'Archivio della Collegiata di S. Cesidio di Trasacco, a cura di A. Clementi et al., L'Aquila 1984; A. Clementi, Le terre del confine settentrionale, in Storia del Mezzogiorno, a cura di G. Galasso-R. Romeo, II, 1, Napoli 1988, pp. 17-81; Id., L'organizzazione demica del Gran Sasso nel Medioevo, L'Aquila 1991; A. Sennis, Potere centrale e forze locali in un territorio di frontiera: la Marsica tra i secoli VIII e XII, "Bullettino dell'Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano", 99, 1994, nr. 2, pp. 1-78; A. Clementi, Federico II e l'Abruzzo, "Bollettino della Deputazione Abruzzese di Storia Patria", 86, 1996, pp. 69-95.