TOMMASO DA CAPUA
Se si è potuto parlare, con qualche esagerazione, di una "scuola di Capua" per qualificare la retorica fiorita alla corte imperiale e nella Curia nella prima metà del XIII sec., ciò dipende senz'altro dal fatto che i suoi due massimi rappresentanti erano entrambi originari di questa città. A Pier della Vigna (v.), autore o ispiratore dei capolavori della retorica imperiale, si affianca la figura di T., che sotto i pontificati di Innocenzo III, Onorio III e Gregorio IX svolse un ruolo determinante nella cancelleria papale e fu uno dei principali artefici dei tentativi di riavvicinamento diplomatico tra i due poteri rivali, almeno fino alla morte, che probabilmente lo colse nell'agosto del 1239, poco dopo la seconda scomunica di Federico II. La prossimità alla corte imperiale e il ruolo conciliatore da lui svolto non devono nulla al caso, ma si spiegano con l'origine sociale di Tommaso.
Non si conosce la data di nascita di T., ma è noto che apparteneva alla famiglia aristocratica capuana degli Ebulo, e forse era suo fratello il "Petrus de Ebulo" (Pietro da Eboli; v.) che fu in seguito giustiziere nella Terra di Lavoro, podestà di diverse città dell'Italia settentrionale e vicario generale di Lombardia sotto Federico II. Comunque sia, T., che per la sua origine intratteneva stretti legami con gli ambienti campani in cui era reclutata una buona parte dei quadri dirigenti del Regno di Sicilia sotto Federico II, e in particolare il personale della cancelleria imperiale, compare nei documenti sul finire del regno di Innocenzo III. Fu questo il papa che, nel 1215, nominò T. arcivescovo di Napoli, ma decise di impiegarlo a corte; successivamente lo promosse prima cardinale diacono di S. Maria in Via Lata e, alcuni mesi dopo, nel 1216, cardinale prete di S. Sabina. T., che all'epoca aveva senz'altro una trentina d'anni, per qualche mese fu a capo della cancelleria papale, senza tuttavia ricevere il titolo di cancelliere. La morte di Innocenzo III e l'ascesa al soglio di Onorio III lo relegarono in un ruolo di secondo piano, pur non allontanandolo dagli affari della Curia. Nel 1219 fu a capo della Penitenzieria e svolse un'importante attività giuridica come auditore.
Furono soprattutto le legazioni, di cui il cardinale fu incaricato negli anni seguenti, a fare di T. un importante protagonista della prima parte del regno di Federico II. Ebbe un ruolo determinante nelle manovre diplomatiche che precedettero la prima scomunica e la crociata del 1228-1229 (legazione nell'inverno del 1227-1228 presso l'imperatore, insieme al cardinale Ottone di S. Nicola in Carcere Tulliano), e nelle laboriose trattative che, dopo il ritorno di Federico dalla crociata e la disfatta delle truppe pontificie, sfociarono nella conclusione della pace di San Germano (v.) e Ceprano, nell'estate del 1230. La celebre lettera di rimproveri indirizzata da Onorio III a Federico II, Miranda tuis sensibus, opera del dictator, di poco precedente alla prima scomunica ‒ posta in apertura della raccolta delle lettere di T., il suo tema principale è il ritardo dell'imperatore nella partenza per la crociata ‒, può essere assunta a simbolo della centralità della posizione del Capuano nelle relazioni diplomatiche fra papato e Impero sotto Onorio III e all'inizio del pontificato di Gregorio IX.
Dal 1230 al 1239, anno della sua scomparsa, T. partecipò ancora attivamente al gioco diplomatico sempre più serrato che caratterizzò le relazioni tra Federico II e il nuovo papa Gregorio IX. A fianco del cardinale Rinaldo da Ostia, nell'ottobre del 1233, si adoperò per la riconciliazione fra Roma e Viterbo (v.), la cui lotta all'epoca era al centro delle trattative fra la Curia pontificia e la corte imperiale. Alla fine, nel 1237, sempre con Rinaldo da Ostia, tentò una sfortunata mediazione tra le città lombarde e l'imperatore. Il suo ruolo nei tre successivi negoziati, al quale si devono aggiungere ripetute testimonianze epistolari di Federico II, come pure alcune fonti papali, non fanno sussistere alcun dubbio sulla sua posizione politica a partire dall'ascesa al soglio di Onorio III e fino alla sua morte. Avverso ai fautori, all'interno del collegio dei cardinali, di una linea dura nei confronti dell'imperatore, durante tutta la sua attività nella Curia T. si dimostrò un fervente partigiano del riavvicinamento fra Federico e il papato. L'apogeo della sua attività si colloca, in modo emblematico, all'epoca della grande rottura fra Impero e Sede Apostolica, seguita dalla prima riconciliazione alla quale T. lavorò alacremente (1228-1230): morì poco dopo la rottura definitiva del 1239 e la sua scomparsa contribuì senz'altro a indebolire fra i cardinali il partito favorevole alla conciliazione, rendendo più fragile la posizione dell'imperatore in seno alla Curia.
Se sono indubitabili le sue capacità diplomatiche, come pure il supporto datogli dall'ambiente d'origine per navigare fra le due sponde nemiche, nondimeno egli dovette probabilmente la sua ascesa e l'ascendente esercitato nella Curia soprattutto alle sue eccezionali doti di dictator, ben attestate da diverse testimonianze (cronache di Riccardo di San Germano e di Salimbene de Adam) e dagli scritti tramandati che gli sono stati attribuiti. La sua maestria poetica è documentata dagli inni; la sua attività alla testa della Penitenzieria da un formulario di questa stessa istituzione che ci è pervenuto a suo nome e che è stato composto senza dubbio sotto la sua direzione; ma è soprattutto l'insieme formato dalla sua Ars dictandi, breve trattato retorico per la composizione di lettere nello stile della Curia, e dalla Summa dictaminis, un gruppo di oltre cinquecento lettere suddivise in dieci libri raccolte sotto il suo nome, ad aver avuto un'importante posterità. La Summa dictaminis di T. è stata raccolta dalla Curia molti anni dopo la sua morte, all'epoca della lunga vacanza del 1268-1270. In effetti, numerose lettere non è possibile che siano state scritte da lui in quanto successive alla sua scomparsa; altre invece riflettono senz'altro sia un lavoro di redazione collettivo della cancelleria papale, in cui T. ha svolto un ruolo determinante, sia una creazione personale; c'è poi un nucleo di lettere politiche (e precisamente le lettere di predicazione per la crociata) e di lettere private direttamente attribuibili a Tommaso da Capua. Per la storia della sua formazione e per il prestigio duraturo del nome sotto il quale è stata raccolta, questa collezione di lettere presenta quindi strette analogie con quella di Pier della Vigna. Il parallelo è ribadito nei manoscritti, dove talvolta le due collezioni sono state ricopiate una di seguito all'altra, ripristinando in tal modo l'intimo legame che caratterizzava, sia nelle tendenze stilistiche che nel reclutamento, le due cancellerie, imperiale e papale.
Fonti e Bibl.: S.F. Hahn, Collectio monumentorum veterum et recentium ineditorum, I, Brunsvigae 1724, pp. 279 ss. (edizione parziale della Summa dictaminis); A Formulary of the Papal Pen-itentiary in the Thirteenth Century, a cura di H.C. Lea, Philadelphia 1892; Salimbene de Adam, Cronica, in M.G.H., Scriptores, XXXII, a cura di O. Holder-Egger, 1905-1913, pp. 184, 383; G.M. Dreves-C. Blume, Ein Jahrtausend lateinischer Hymnendichtung, I, Leipzig 1909, pp. 319-322; Acta pacis ad S. Germanum anno MCCXXX initae. Die Aktenstücke zum Frieden von S. Germano 1230, in M.G.H., Epistolae selectae, IV, a cura di K. Hampe, 1926; E. Heller, Die Ars dictandi des Thomas von Capua, Heidelberg 1929; Riccardo di San Germano, Chronica, in R.I.S.2, VII, 2, a cura di C.A. Garufi, 1936-1938, p. 168; Hand-schriftenverzeichnis zur Briefsammlung des Petrus de Vinea, in M.G.H., Hilfsmittel, XVIII, a cura di H.M. Schaller, 2002. H. Zimmermann, Die päpstliche Legation in der ersten Hälfte des 13. Jahrhunderts, Paderborn 1913; H.M. Schaller, Studien zur Briefsammlung des Kardinals Thomas von Capua, "Deutsches Archiv für Erforschung des Mittelalters", 21, 1965, pp. 371-518; N. Kamp, Kirche und Monarchie im staufischen Königreich Sizilien, I, Prospographische Grundlegung: Bistümer und Bischöfe des Königreichs 1194-1266, 1, Abruzzen und Kampanien, München 1973, pp. 315-318.
Traduzione di Maria Paola Arena