CORSINI, Tommaso
Nacque a Firenze il 28 febbr. 1835 da don Neri iunior, marchese di Lajatico, e da Eleonora dei marchesi Rinuccini; nel '58 sposava Anna Barberini Colonna di Sciarra. Aveva frequentato i regolari corsi dell'università di Pisa, laureandosi in scienze matematiche e seguitò sempre a coltivare le scienze esatte (è significativo che volesse sul suo feretro un testo di Archimede sul quale aveva studiato). I contemporanei parlano ampiamente della sua vasta conoscenza delle scienze, della sua erudizione, della cultura letteraria, della sua passione per la storia, in particolare per quella fiorentina. Proprietario di collezioni artistiche e gallerie di eccezionale valore che arricchivano le sue dimore fiorentine di via del Parione e del Prato, le sue dimore romane, e le sue numerose ville, ne fu oculato custode.
Desiderò, tuttavia, porre questi ricchi strumenti culturali a disposizione di un pubblico più vasto, come dimostrò in occasione della vendita allo Stato del suo palazzo romano alla Lungara, allorché cedette gratuitamente la biblioteca Corsiniana e la galleria. La sua sensibilità per il valore dei documenti storici lo portò a favorire in ogni modo la conservazione, l'integrità e la pubblicità degli archivi privati. Per sua iniziativa furono infatti donate all'Archivio di Stato di Firenze le carte del Buondelmonti, già passate nell'archivio Rinuccini (Dono Rinuccini, 580 pergamene dal 1156 al 1695); ed egli stesso donò al Museo archeologico di Firenze oggetti reperiti nel corso di vari scavi nella sua tenuta della Marsiliana ad Albegna nel Grossetano, fra i quali la celebre "fibula corsiniana". Gli interessi intellettuali del C. e la sua minuziosa conoscenza di edifici, monumenti, gallerie e musei sono anche confermati dalle numerose cariche di carattere culturale che ricoprì: presidente dell'Associazione per la difesa di Firenze antica, socio onorario della R. Accademia delle belle arti, presidente della Commissione provinciale per la conservazione di manoscritti e oggetti d'arte, membro della Commissione consultiva di belle arti e antichità del municipio di Firenze. Ma fu anche, per oltre quaranta anni a partire dal 1876, presidente dell'Accademia toscana di scienze lettere ed arti "la Colombaria", presidente della Commissione araldica toscana, membro della Deputazione di storia patria, delegato del R. Istituto Cesare Alfieri e consigliere della Scuola superiore per le arti decorative e industriali.
L'aspetto dominante della personalità del C. è però costituito dalla sua intensa attività politica e amministrativa svolta sia nell'ambito fiorentino sia in quello nazionale, e dalla notevole parte che egli ebbe nella gestione di istituzioni e imprese economiche di grande rilievo.
La scomparsa precoce del padre e il fatto che lo zio don Andrea (alla cui morte ereditò i titoli di principe di Sismano, duca di Casigliano ecc.) aveva dovuto abbandonare Firenze, perché compromesso come legittimista, lo posero, in pratica, a capo di una potente famiglia che si era perfettamente inserita nella classe dominante dello Stato unitario. In tale qualità, egli iniziò subito la sua partecipazione alla vita pubblica, mostrando una particolare sensibilità per i gravi problemi che attendevano i nuovi gruppi dirigenti, soprattutto nei difficili rapporti con i ceti proletari allora in formazione. È sintomatico che, nel '60, egli fosse, insieme al marchese Carlo Strozzi, fondatore e presidente della Società di mutuo soccorso fra gli operai di Firenze. Questa associazione raccoglieva operai ed operaie di tutti i mestieri e, in cambio di un piccolo contributo settimanale, dava diritto, in caso di malattia, invalidità e vecchiaia a ricevere un sussidio giornaliero. Ma vi erano ammessi, in qualità di soci onorari, anche cittadini delle classi abbienti. La sua fondazione, secondo quanto scrive A. Giannelli (p. 361), provocò, nel dicembre, la nascita a Firenze della Fratellanza artigiana d'Italia, di ispirazione mazziniana e repubblicana, che G. Dolfi avrebbe istituito, "geloso del suo ascendente e temendo a ragione gli venisse diminuito dalla comparsa del sodalizio Corsini". In realtà, la Società non dové avere però molto successo se, dopo dieci anni di vita, contava solo ottocentodiciannove iscritti, e molti di questi onorari (S. Fei, 1971, p. 117).
Eletto per la prima volta nelle consultazioni del 22 e 29 ott. 1865, per il collegio di Borgo San Lorenzo, il C. fu riconfermato al Parlamento fino alla XIV legislatura; fu talvolta eletto anche in altri collegi, ma optò sempre per Borgo San Lorenzo. In Parlamento si schierò su posizioni di Centrodestra, insieme ai maggiori rappresentanti della consorteria toscana ai quali era legato da comuni interessi economici e politici.
Così, nel corso della IX legislatura, appoggiò costantemente il governo La Marmora, e l'11 febbr. '67 votò contro l'ordine del giorno Mancini che provocò la caduta del secondo ministero Ricasoli. Poi, nella successiva legislatura, fu tra coloro che votarono la fiducia al ministero Lanza-Sella (12 maggio '70). Ma, nel '71, nel corso della discussione sulla legge delle guarentigie, a proposito dell'art. 17, fu tra i deputati che sottoscrissero il controprogetto Peruzzi che investiva tutta la materia proposta nella seconda parte dello schema della commissione parlamentare, in conformità alle aspirazioni del Ricasoli per una maggiore libertà civile e religiosa. Il suo legame con i gruppi più rappresentativi del moderatismo toscano è confermato, poi, dal fatto che, alla vigilia delle elezioni del novembre '74, la sua candidatura fu sostenuta dal comitato elettorale fiorentino, costituitosi per l'occasione a Firenze il 10 ottobre. Il comitato, pur mirando per il momento alla vittoria della Destra, si disponeva ad aprire la battaglia a favore dell'esercizio privato delle ferrovie, in nome dei principi liberistici propri della Società Adamo Smith, contro l'esercizio statale della rete ferroviaria sostenuto da Lanza, Sella, Spaventa e, poi, anche dal Minghetti. Tuttavia il C., sebbene fosse convinto sostenitore dell'iniziativa privata e dell'economia liberistica, allorché giunse in Parlamento la questione della statalizzazione che provocò la separazione della consorteria dalla Destra storica, si schierò a favore dell'intervento dello Stato, in quanto vedeva nelle ferrovie un servizio d'interesse generale. Così, nella famosa tornata del 18 marzo '76, votò a favore del rinvio della discussione dell'ordine del giorno Mortara, non partecipando quindi alla "rivoluzione parlamentare" che portò alla caduta della Destra e distinguendosi, in questo, dalla maggioranza della consorteria (Atti parlamentari, Camera dei deputati, Discussioni, legislatura XII, sessione 1876, tornata del 18 marzo '76).
Nel 1882 cessava l'attività di deputato per passare al Senato. La sua posizione fu sempre quella di deciso conservatore, sostenitore del maggior rappresentante del conservatorismo toscano, L. G. Cambray Digny, e vicino alle posizioni del Sonnino che, non a caso, era deputato di San Casciano dove la famiglia Corsini era molto influente. In talune occasioni elettorali non sdegnò l'appoggio dei clericali, come nelle elezioni comunali suppletive del giugno '90. A tale proposito si deve anche ricordare che fu fondatore e patrono della Associazione nazionale per soccorrere i missionari italiani, di cui è noto il legame con le nostre vicende coloniali.
Il C. ebbe una parte preminente nella vita amministrativa di Firenze, in un momento particolarmente decisivo per lo sviluppo e la riorganizazzione urbanistica della città. Le elezioni amministrative del settembre `65 portarono il C. nel Consiglio generale del comune di Firenze, dove fu confermato e rimase fino al 5 apr. '78, quando, dopo il fallimento dell'amministrazione comunale, il Consiglio si sciolse e giunse a Firenze un delegato regio, mentre veniva nominata una commissione liquidatrice dei debiti contratti dal comune.
Si concludeva così un periodo assai difficile per la città, sconvolta da una vasta operazione speculativa edilizia legata al trasferimento della capitale a Firenze. Ma, nel momento più delicato di questa operazione, la capitale fu portata a Roma; e vennero così a mancare i presupposti che l'avevano imposta, mentre, per il comune, rimanevano in piedi i pesanti impegni contratti che ora l'amministrazione doveva risolvere con i suoi soli proventi, del tutto insufficienti, nonostante che la popolazione fiorentina fosse sottoposta alla più alta tassazione d'Italia.
Nell'agosto '79 i consiglieri dimissionari furono riproposti all'elettorato fiorentino e di nuovo eletti. Con decreto regio del 1o genn. '80, il C. venne nominato sindaco, carica da cui si dimise l'11 genn. 1886. La sua opera fu soprattutto quella di un accorto e prudente amministratore.
Tuttavia i tempi non erano certo facili, anche se la situazione economica era ormai migliorata, grazie anche all'intervento statale e a prezzo, della sempre esorbitante tassazione. Ciò imponeva agli amministratori una estrema prudenza nell'assumere impegni. D'altro canto, la disoccupazione nel settore edilizio, provocata dal ristagno economico e dal fallimento di molte ditte, forniva un utile pretesto a chi indicava nei grandi lavori edilizi del centro storico una via per riassorbirla. Soprattutto i sostenitori del risanamento integrale, o meglio, distruzione dell'antico ghetto, invocavano impellenti ragioni d'ordine sanitario che si aggiungevano al timore per l'addensarsi nel centro della città di ceti poverissimi, presto conquistati dalla propaganda internazionalista. La posizione del C., in questo grave affare, fu piuttosto cauta; alieno da ogni operazione arrischiata e frettolosa, considerava infatti l'opera di risanamento come un momento di un piano globale di sistemazione dell'intero centro cittadino. Nondimeno, nell' 84, l'epidemia di colera che colpì molte città europee ed italiane, e che poteva trovare un terreno particolarmente propizio nelle condizioni antigieniche del ghetto, accelerò le discussioni, e le pressioni a far presto si intensificarono. Il C. tentò di tergiversare, mosso dalla considerazione che "dopo la crisi terribile dalla quale il comune con molta fatica era uscito non era possibile e neppure conveniente impegnarsi in una grande operazione finanziaria" (cfr. S. Fei, 1977, pp. 97 s.). Né egli si nascondeva che gli espropri, se fossero stati condotti in tempi molto ristretti, avrebbero coinvolto un gran numero di famiglie assai indigenti e causato gravi problemi di ordine pubblico, senza calcolare che l'acquisto di vasti terreni edificabili avrebbe deprezzato il valore delle aree, favorendo operazioni speculative. L'atteggiamento prudente del C. venne così a scontrarsi con le crescenti pressioni dei gruppi finanziari interessati che spingevano ad accelerare i tempi, anche in vista della generale ripresa degli investimenti edilizi che interessava vari centri italiani. Non riuscendo a far prevalere il suo punto di vista, preferì dimettersi.
Se durante la sua gestione ebbe inizio una delle operazioni urbanistiche più disastrose della recente storia italiana, si ebbero però, a Firenze, anche delle innovazioni tecnologiche importanti, come l'impianto delle prime linee tranviarie a trazione meccanica (1881-82) e delle prime apparecchiature telefoniche, gli studi per la canalizzazione dell'acqua potabile nelle strade cittadine e per la costruzione di un emissario sulla riva destra dell'Arno contro il pericolo delle inondazioni. Inoltre, la sua amministrazione dette avvio a importanti restauri in Palazzo Vecchio, al ripristino della cuspide nella torre di Arnolfo ed alla riattivazione della fonte del Verrocchio nel cortile. A proprie spese il C. provvide anche al restauro della chiesa di S. Caterina al Monte a San Gaggio, ordinò i restauri della cappella Rinuccini in S. Croce e, quindi, nella chiesa del Carmine, della sacrestia e della cappella di S. Andrea Corsini e del palazzo pretorio di Scarperia, in Mugello.
Le dimissioni del C. da sindaco non interruppero la sua partecipazione all'amministrazione comunale fiorentina: fu consigliere e membro delle commissioni Finanze, Istruzione e Lavori Pubblici fino al 1907. Il 6 dic. del 1900 fu nuovamente eletto sindaco, ma si dimise il 22 seguente. Dal 1865 fino alla morte fu anche, ininterrottamente, membro del Consiglio provinciale di Firenze, e, negli ultimi venti anni della sua vita, presidente.
Lo, svolgimento di queste funzioni politiche e amministrative non gli fu di ostacolo alla diretta e attiva amministrazione dei vasti possedimenti che si estendevano dalla Toscana alle Marche, dall'Umbria al Lazio ed all'Italia meridionale. Ciò gli permise di mettere a profitto le sue conoscenze d'ingegneria, soprattutto per regolare corsi d'acqua, bonificare terreni paludosi, realizzando importanti miglioramenti agrari e introducendo, tra l'altro, la cultura del tabacco in Toscana. Tali iniziative e interessi gli valsero la nomina a socio onorario dell'Accademia dei Georgofili.
Come molti dei maggiori rappresentanti dell'aristocrazia fiorentina, il C. ebbe, inoltre, notevole parte in attività economiche di grande rilievo locale e nazionale. Del resto, la sua casata si era presto legata con vincoli matrimoniali ad alcune famiglie della grande borghesia toscana, appartenenti all'élite finanziaria del Regno. Basterà dire che, dei fratelli del C., Andrea sposò Beatrice Bastogi, e Cino sposò Luisa Fenzi, appartenenti a famiglie di finanzieri tra le più cospicue. Lo stesso C. ebbe parte diretta in importanti istituzioni, come la Cassa di risparmio e depositi di Firenze, della quale fu presidente dal '93 alla morte, e che riorganizzò, trasformandola in una banca che, pur continuando ad operare tra i ceti dei piccoli imprenditori e agricoltori, poteva svolgere notevoli compiti anche nel campo creditizio e finanziario. Nel corso del 1870 egli fu, poi, socio fondatore, insieme, tra gli altri, al Balduino, di una grande società di assicurazioni, La Fondiaria incendio, di cui fu presidente dal momento della fondazione sino alla morte. Quindi, nel 1900, successe a Pietro Bastogi nella presidenza del Consiglio di amministrazione della Società italiana per le strade ferrate meridionali; ed anche tale carica tenne sino alla fine della sua vita.
La sua presidenza coincise con la ripresa delle discussioni sul problema dell'esercizio ferroviario e con la preparazione del progetto di statalizzazione approvato con la legge del 22 apr. 1905, durante il ministero Fortis. Tale legge lasciò però insoluta la questione del riscatto delle Meridionali e della liquidazione delle gestioni passate; e il problema continuò ad impegnare il governo, anche durante la presidenza Sonnino, e fu, anzi, causa occasionale della caduta di questo gabinetto. Infine, durante il successivo governo Giolitti, la legge del 15 luglio 1906 portò al definitivo riscatto delle Meridionali, previo pagamento di sessanta annualità, pari a 43.043.845 lire. Così il C. si trovò a presiedere le Meridionali proprio nel periodo della loro progressiva trasformazione in una grande holding finanziaria.
Durante la prima guerra mondiale fu tra i componenti più attivi del Comitato fiorentino per il soccorso alle famiglie dei militari e si dedicò ad opere di assistenza, organizzando anche ospedali militari. Morì ad Albegna (Grosseto), nella villa della Marsiliana, il 22 maggio 1919.
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