CASTELLANI, Tommaso
Nacque da nobile, famiglia bolognese in data imprecisata, ma sicuramente collocabile nell'ultimo quarto del sec. XV. Non possediamo notizie circa i suoi studi, ma si può supporre che essi dovettero indirizzarsi verso le discipline letterarie e, più precisamente, alla conoscenza di quella volgar poesia che intorno alla metà del Quattrocento stava guadagnando prestigio nei confronti del latino. Nell'ambito della produzione del C. entrambe le direttive saranno rappresentate; ma non v'è dubbio che la sezione più interessante di tale attività, ed anche quella cui l'autore annetteva la maggiore importanza, sia costituita dalle rime in volgare.
Ben presto il C. dovette offrire i primi saggi della sua abilità di rimatore meritando la stima dei concittadini e guadagnandosi rapidamente una certa rinomanza nelle città vicine. A distanza di oltre un secolo Lorenzo Segati, componendo il Thomas Castellanus poeta Bononiensis, confermava le lodi dello scrittore attribuendo ampi onori ad altri membri della famiglia, fra cui il medico faentino Pier Nicola: "Nec Bononia tantum, sed et alibi doctrina perinsigner viros emisit ampla Castellanorum familia".
Più tardi la sfera dei suoi stimatori si ingrandì fino ad includere Francesco I di Francia e il duca di Milano Francesco II Sforza presso il quale il C. si recò svolgendo l'ufficio non meglio identificato di segretario (fu forse uno dei tanti letterati della corte sforzesca, che era impegnata, su un piano di concorrenza anche culturale con le altre grandi corti della penisola, ad accaparrarsi, oltre che rinomati umanisti, anche i poeti di più facile vena encomiastica).
Richiamato in patria intorno al 1540, nel 1541 fu degli Anziani durante il gonfalonierato di Gian Francesco Isolani, e in questa carica cessò di vivere, probabilmente molto vecchio, il 20 settembre del medesimo anno. Le sue esequie furono approntate a pubbliche spese e avvennero, a detta dei contemporanei, con gran concorso di pubblico. Fu sepolto nella cattedrale di S. Pietro, ove si leggeva, fino al Settecento, un'iscrizione lapidaria composta in suo onore.
Dopo la sua morte fu dato alle stampe, a cura del fratello Bernardino, il maggior numero dei suoi versi in volgare: il libro, col titolo di Sonetti e canzoni, apparve a Bologna nel 1545 dedicato dal raccoglitore al cardinale Guido Ascanio Sforza. In effetti tale raccolta si rivela molto inferiore alle aspettative che aveva lasciato nutrire l'eccellente fama goduta dall'autore in vita. Si tratta di componimenti, per lo più di carattere amoroso, che, senza inserirsi in una trama di. "romanzo" sentimentale, si ricollegano per scelte linguistiche e ambizioni di stile al modello petrarchesco, quale poteva imporsi - prima della riforma bembiana - alla generazione di scrittori che ebbe nel Tebaldeo e in Serafino Aquilano i massimi rappresentanti.
I nomi di questi capiscuola non vengono a caso citati per delineare un profilo del rimatore bolognese: ché di essi il C. sembra largamente risentire nella scelta delle più accese metafore di tradizione petrarchistica, nella predilezione per le forti antitesi, per un costrutto sintattico a tutto rilievo che tende, più che alla sommessa linearità del discorso, ad un virtuosismo tutto esteriore. Solo che del Tebaldeo o dell'Aquilano vengono improvvisamente a mancare le doti salienti: le improvvise acutezze verbali, l'estro fantastico, sì che il canzoniere del C. sembra più frutto di un'improvvisazione pedestre e talvolta dilettantesca che di un autentico piglio inventivo che certamente non mancò al migliori petrarchisti di scuola quattrocentesca.
Anche nei casi in cui interviene il calco dai classici la lirica dello scrittore bolognese sembra esorbitare dalla precettistica lirica del Bembo per dar luogo a un tipo di composizione rimasto fedele alla pluridimensionalità della poesia cortigiana del Quattrocento. Che tale caratteristica dello stile sia frutto di un ingegno giovanile e che gran parte della produzione sia,da riferire ad una parte soltanto della vita del C. sono fatti ovviamente indimostrabili data la scarsezza di notizie che possediamo su di lui.
Parimenti poco nota è la biografia di una nipote del C., Girolama, nata a Bologna intorno alla metà del sec. XVI. Dallo zio fu educata allo studio della poesia, finché, nel 1580, decise di vestire l'abito monacale nel monastero bolognese di S. Giovanni Battista. Da questa data la sua vita dovette svolgersi tranquillamente tra gli uffici connessi, alla professione religiosa e i diversivi poetici che probabilmente la accompagnarono per tutta la vita. Non si conosce l'anno della morte, che dovette sopraggiungere a Bologna nel monastero dove Girolama aveva trascorso l'intera sua esistenza.
Il maggior nucleo delle sue poesie apparve nelle Rime diverse di alcune nobilissime donne virtuose, Lucca 1590: la raccolta che Ludovico Domenichi compose, come è noto, in cludendo una larga compagine di rimatrici contemporanee. In questa silloge Girolama è rappresentata con un buon numero di sonetti, di pentimento o d'ispirazione religiosa, che la apparentano, in maniera non del tutto estrinseca, alla poesia petrarchistica di fine secolo, alla quale la scrittrice bolognese si riconnette per stile e per temi ispiratori.
Un'altra antologia cinquecentesca presenta qualche componimento di Girolama. Si tratta di quella curata da Ettore Bottrigari dal titolo Rime scelte di vari eccellentissimi autori (Venezia 1592) ove compare una breve corrispondenza poetica che la rimatrice scambiò con Domenico Micheli.
Bibl.: L. Legati, Thomas Castellanus poeta Bononiensis reviviscens..., Bononiae 1667; G. M. Crescimbeni, Storia della volgar poesia, II, Venezia 1730, p. 152; F. S. Quadrio, Della storia e della ragione di ogni poesia, II, 1, Milano 1741, pp. 88 ss.; G. Fantuzzi, Notizie degli scrittori bolognesi..., III, Bologna 1783, pp. 146 s.; IX, ibid. 1794, p. 84. Per Girolama: oltre al Fantuzzi, vedi P. L. Ferri, Biblioteca femminile ital., Padova 1842, p. 108; G. G. Sbaraglia, Supplementum et castigatio ad Scriptores trium Ordinum S. Francisci..., I, Romae 1908, p. 361.