BUONAVENTURI, Tommaso
Nacque da Francesco, di nobile famiglia fiorentina, e da Laura Segni nel 1675. Per parte di madre era imparentato con il senatore Alessandro Segni, e certamente rambiente familiare influì sul suo orientamento verso gli studi letterari eruditi. Fu allievo di Antonmaria Salvini, che lo indirizzò allo studio del greco; ma quando più tardi il Salvini si schierò accanto ad Alessandro Marchetti nella disputa filosofica che fra il 1711 e il 1712 contrappose questo al padre Guido Grandi, il B., che si era invece schierato con il Grandi, fu suo critico severo, e si attrasse forti biasimi per un atteggiamento che fu giudicato poco riconoscente.
Fece una brillante carriera alla corte di Cosimo III de' Medici: dal 1713 al 1723 fu direttore e revisore della Stamperia granducale, e tutto quanto vi si pubblicò in quel decennio, soprattutto di autori toscani, fu a cura del B., spesso coadiuvato da Giovanni Bottari. Nel 1714, inoltre, alla morte di Antonio Magliabechi, gli succedette come segretario dell'Accademia fiorentina. Aggregato all'Accademia della Crusca col nome accademico di Aspro - appropriato, come pare, al suo carattere chiuso e sgarbato - e all'Arcadia col nome di Oebalo Emonio, ebbe fra gli amici più noti Vincenzo da Filicaia, Guido Grandi, Giuseppe Averani e Cipriano Antonino Targioni.
Fosche e misteriose sono le circostanze della sua morte, provocata da una schioppettata che lo colpì, mentre rincasava a sera inoltrata, il 21 sett. 1731.
Al funerale, si ebbero da parte del pubblico manifestazioni di giubilo per la sua morte. Una satira contemporanea parla di "pubblica nemesi", e pare alludere ad una sua vera o presunta ingratitudine verso i Medici. Egli era stato infatti, fra l'altro, provveditore della Cassa del monte redimibile, e in essa furono riscontrati ammanchi di cui gli fu addebitata la responsabilità; dopo la sua morte furono però raccolte testimonianze a riabilitazione della sua memoria, ed essendo emersa la colpevolezza del sottocancelliere Bartolomeo Benini, che fu pertanto condannato al carcere a vita, il B. risultò innocente.
Fra le sue opere si ricorda la Vita di Vincenzio da Filicaja (apparsa in Vite degli Arcadi illustri, II, Firenze 1708) e diverse altre prefazioni, molte delle quali ricche di spunti biografici ed eruditi, a libri pubblicati nella Stamperia granducale. Molto apprezzata dai contemporanei per i ricchi contributi alla cultura letteraria è quella premessa all'edizione della Bellamano di Giusto de' Conti (Firenze 1715); ma non meno importante è quella che precede la prima edizione (1715) delle Lezioni Accademiche di Evangelista Torricelli, postume, con il primo esauriente racconto della vita dell'autore. Furono inoltre pubblicate dal B. nel 1720 le Lettere de' santi e beati fiorentini.
Ma il suo lavoro di maggiore impegno è senz'altro la cura della seconda edizione, prima fiorentina, delle Opere di Galileo, cui attese in collaborazione con il Bresciani e valendosi dei consigli di Guido Grandi, che era in grado meglio del B. di orientarsi fra i testi scientifici. L'edizione uscì a Firenze nel 1718 con una dotta prefazione del B. e con note illustrative del Grandi (che ne costituiscono tutto sommato, per il lettore d'oggi, il maggior pregio). Per la prima volta compaiono alcuni inediti importanti, ma nella disposizione dei trattati, e in particolare degli inediti, non è rispettato alcun criterio d'ordine e razionalità, come ha fatto rilevare il Favaro, curatore della moderna edizione nazionale delle opere di Galileo; pare inoltre, stando ad un documento manoscritto trovato e citato dal Favaro, che si debba imputare alla negligenza del B. e del Bresciani nel restituire i prestiti lo smarrimento di molti manoscritti. In quest'editone compare per la prima volta il trattato galileiano Della forza della percossa, che era stato in possesso del Viviani quando il Borelli aveva dato alle stampe il suo De vi percussionis, ma che il Viviani non aveva reso noto. Il Borelli nella prefazione al suo trattato nega sull'autorità del Torricelli che Galileo abbia mai scritto su quel tema;il B. osserva invece con esattezza, in una lettera al Grandi del 4 luglio 1713 (Pisa, Bibl. univ., ms. 86, c. 47) che il trattato di Galileo è incompiuto, "ma vi è tanto, che vi si vede dentro il fondamento della dottrina del Borelli". Nell'edizione del B. questo trattato, che costituisce, come hanno mostrato i moderni editori, la giornata sesta dei Discorsi e dimostrazioni intorno a due nuove scienze, è erroneamente collocato in luogo di giornata quinta. L'edizione fu comunque al suo tempo un grande avvenimento, per la ricchezza dei materiali nuovi che offriva.
Fontie Bibl.: S. Salvini,Fasti consolati dell'Accademia fiorentina, Firenze 1717, pp. 653 s.; A. Zeno, Lettere, Venezia 1785, pp. 14 s.; Novelle letterarie di Firenze, VIII (1748), col. 403; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, p. 2366; A. Favaro, Per l'edizione nazionale delle opere di G. Galilei, Firenze 1888; G. Galilei, Opere (ediz. naz.), VIII, pp. 28-33; Id., Discorsie dimostrazioni intorno a due nuove scienze, a cura di L. Geymonat e A. Carugo, Torino 1958, pp. 850 s.