BELLACCI, Tommaso (Tommaso da Firenze)
Nacque a Firenze, nel quartiere presso il Ponte delle Grazie, da famiglia originaria di Linari (presso Barberino Val d'Elsa), probabilmente nel 1370.
Il cognome di Bellacci non compare nelle fonti, né nella successiva letteratura sul B. (e per questo è messo in dubbio negli Acta Sanctorum, p. 862), fino al momento della sua beatificazione (1771); nel decreto di conferma del culto gli viene senz'altro attribuito (ibid., p. 868), e dopo di allora accettato senza discussione nelle biografie più recenti e da tutta la tradizione francescana.
Dopo una prima dissipata giovinezza, entra nella "Compagnia del Ceppo" di fervente religiosità; e poco dopo il 1390 è accolto nell'Ordine francescano dei minori osservanti nel convento di Fiesole sotto la guida spirituale di Giovanni da Stronconio. Acquista nell'Ordine tanto prestigio che nel 1418, alla morte di Giovanni da Stronconio, è fatto vicario per la Puglia e la Calabria. In quest'ultima regione gli si attribuisce la fondazione di sei conventi.
Nel 1419 è a Firenze presso papa Martino V; per mandato del pontefice ed a richiesta di Gherardo Appiani, signore di Piombino, inizia poco tempo dopo la lotta per l'eliminazione della dissidenza dei fraticelli nella Marenuna senese, fondando così il monastero di S. Francesco di Monte Muro sopra Scarlino nel Grossetano, che divenne il centro prediletto della sua attività (tanto che in alcuni documenti egli è indicato col nome di Tommaso da Scarlino). L'azione del B. si estese all'isola d'Elba, dove per concessione de. senese Bartolomeo Ghini, vescovo di Massa Marittima e Populonia, istituì il convento di S. Cerbone; ed in Corsica, dove dimorò un anno e dove fondò i monasteri di Calvi, Bonifacio e Nonza. Durante questo primo periodo della sua vita il B. ebbe anche numerosi discepoli, fra i quali il principe Ladislao di Ungheria, Clemente Capponi dell'illustre famiglia fiorentina, Gerolamo Della Stufa, anch'egli nobile fiorentino, Polidoro Romano, già podestà di Siena, ed altri ancora.
Nel 1438 Giovanni da Capistrano lo sceglie a suo compagno nella missione, affidatagli dal maestro generale dei minori, di visitare la provincia d'Oriente, e in particolare Gerusalemme e gli stabilimenti genovesi nel Mar Nero.
L'anno seguente (1439) Eugenio IV inviava in Levante, per la preparazione dell'intervento dei cristiani orientali al concilio di Firenze, Alberto da Sarteano, con due lettere, una diretta a Tomaso, imperatore delle Indie, e l'altra al prete Gianni, imperatore d'Etiopia. Della missione, composta da circa quaranta persone, facevano parte, tra gli altri, frate Battista, poi vicario generale degli osservanti, Bartolomeo del Pelacane e il Bellacci. Partita da Venezia, la niíssione si diresse a Gerusalemme e di qui al Cairo, dove si trovava prima del 12 sett. 1440. Quando Alberto da Sarteano si fu accertato, che il sultano di Egitto non gli avrebbe permesso di recarsi in Etiopia per la valle del Nilo, decise di inviare il B. in Etiopia per la via dell'Asia, già seguita dai domenicani nei loro precedenti tentativi di raggiungere quell'impero africano cristiano.
A quella via, e cioè al transito dal Golfo Persico per l'Oceano Indiano al golfo di Aden, si era pensato non solo per la diffidenza del sultano a consentire il passaggio verso l'Alto Nilo (diffidenza sormontata solo per brevi periodi); ma ancora per l'idea, così diffusa sino, al Rinascimento, che l'India fosse separata dall'Africa, e quindi dall'Etiopia, soltanto da un breve tratto di mare (quello che fra, Mauro nel 1459 chiamerà poi: "el cavo de Diab", dal nome indiano delle isole Laccadive).
Il B. partì su di una nave per raggiungere Costantinopoli nel 1440, ma la nave fu catturata dai Turchi; egli fu messo con i suoi compagni a remare sulle galere, subendo, a quanto dicono le fonti, tormenti e supplizi. Giunta la notizia a Costantinopoli, alcuni mercanti fiorentini nel Levante lo riscattarono insieme a tre confratelli; ma il B., nonostante il pericolo, volle riprendere il suo viaggio per raggiungere la Persia attraverso la tradizionale "via settentrionale" per la colonia genovese di Caffa, il mar d'Azof la Georgia ed infine. Tabriz. Ma fu di nuovo preso dai Turchi, sembra nella Tracia, e tenuto prigioniero sin che gli stessi mercanti fiorentini nuovamente lo riscattarono. Ed allora per la terza volta il B. ed i suoi compagni "seguitando la strada inverso l'India", come riferisce un cronista contemporaneo, "entromo nelle terre moresche" e li furono catturatì definitivamente. È incerto il luogo di questa terza prigionia che erroneamente il Morello dice essere l'Etiopia; i biografi parlano ancora di crudelissimi tormenti subiti dal Bellacci.
Tuttavia, giunta in Italia la notizia di questa nuova cattura del B., Alberto da Sarteano scrisse, il 24 ott. 1443, al papa Eugenio IV chiedendogli di riscattarlo con i suoi compagni. Con i fondi concessi dal papa e con quelli raccolti dall'Ordine fu inviato in Levante Giovanni da Marostica, il quale insieme col mercante Giovanni Martini, che nel 1438 aveva ospitato in Cipro la missione guidata da Giovanni da Capistrano, di cui faceva parte il B., trattò ed ottenne il suo riscatto. Tornato così a Firenze nel 1444, il B. fu accolto nel convento di S. Croce. Ricevuto poi dal papa Eugenio IV in Roma, si trasferì all'Aquila presso il suo antico superiore Giovanni da Capistrano, allora vicario della Provincia cismontana dei minori osservanti. Il Capistrano gli assegnò il convento di Monte Piano, nell'Abruzzo, non lontano da Ortona, dove il B. visse un periodo di vita edificante, suscitando la devota ammirazione di quelle popolazioni. Poi, preso ancora dai ricordi delle sue sofferenze nel Levante, decise di recarsi a Roma a chiedere l'autorizzazione del nuovo papa Niccolò V a tornare nei paesi musulmani, ma in viaggio si ammalò e fu trasportato a Rieti nel convento di S. Francesco, dove morì il 31 ott. 1447.
Di una immediata frequenza di miracoli presso la tomba del B. nella chiesa di S. Francesco in Rieti è prova la curiosa notizia, che si trova già nel suo primo biografo, secondo la quale Giovanni da Capistrano si sarebbe recato presso la tomba a pregare: il beato di interrompere, i miracoli per non offuscare la fama di santità di Bernardino da Siena, e non compromettere l'esito del processo di canonizzazione.
Nel 1514 il cardinale Antonio Del Monte, legato apostolico in Umbria, concesse indulgenze ai pellegrini che visitavano la tomba del Bellacci. Nello stesso anno, quindi, i Reatini promossero la sua beatificazione, che però fu approvata soltanto nel 1771.
Fonti e Bibl.: Petri Morelli Vitae b. Thomae florentini, in Acta Sanctorum, Octobris, XIII, Parisiis 1883, pp. 871-892; Vita del B. Tommaso da Firenze (testo inedito del sec.XV), a cura di S. Mencherini, in La Verna, IX(1912), pp. 514-522; XI (1913), pp. 31-41; Studi francescani, I(1914), pp. 87-102, 223-234; 486-495, II (1915), pp. 41-48, 105-117; La Franceschina, a cura di N. Cavanna, I, Firenze 1931, pp. 215-249; Compendium Chronicarum Fratrum Minorum scrittum a P. Mariano de Florentia, in Archivum Francisc. Hist., IV(1911), pp. 123, 124; D. Pulinari, Cronache dei Frati Minori della Provincia di Toscana, a cura di S. Mencherini, Arezzo 1913, ad Indicem; F. A. Savorini, Storia delle gesta del beato Tommaso da Firenze, Fermo-Rieti 1773; G. Fiore, Della Calabria illustrata, II, Napoli 1743. pp. 402, 404; L. Oliger, De Dialogo contra Fraticellos S. Iacobi da. Marchia, in Archivum Francisc. Hist., IV(1911), p. 3; Id., Statuta observantium Provinciae S. Angeli in Apuleia, ibid., VIII(1915), p. 97; S. Tosti, Descriptia Codicum Franciscanorum Bibliothecae Riccardianae Florentinae, ibid., IX(1916), p. 410; XIV (1921), p. 246; S. Mencherini, Lettera ed epigrafe sul b. T. B., in Studi francescani, XI (1925), pp. 387-89; L. Wadding, Annales minorum, XI, Quaracchi 1932, pp. 81 s., 336-345; E. Cerulli, L'Etiopia del sec. XV in nuovi documenti storici, in Africa ital., V (1933), p. 59; F. Biccellari, Missioni del b. Alberto in Oriente, in Studi francescani, XI(1939), p. 165; M. Bertagna, Frater Silvester Senensis O. F. M. concionator seculi XV, in Archivum Francisc. Hist., XLV (1952), pp. 153 s.; Encicl. cattolica, I, coll. 6945.; II, col. 1182.