BARLACCHI, Tommaso
Mancano del B. esatti dati biografici. Attivo a Roma dopo il Sacco del 1527, ènoto più che come incisore come editore-calcografo e mercante di stampe. Dopo che la bottega del più celebre incisore italiano del tempo, Marcantonio Raimondi, era stata messa a soqquadro dalla soldataglia del duca di Borbone ed i suoi migliori allievi si erano dati alla fuga, il B. si adoperò, in gara con Antonio Salamanca, per ridar vita a un'arte già illustre e all'industria che intorno ad essa era fiorita, ricercando e restaurando i rami dispersi o danneggiati e richiamando gli intagliatori e gli stampatori alla loro attività. E questo è il suo merito principale, cui va aggiunto quello di aver valorizzato per primo un intagliatore di eccezionale talento come Enea Vico, al quale anzi si vuole che abbia insegnato a maneggiare il bulino. Uno dei primi rami che il Vico pubblicò, come per dar prova della sua abilità, èuna copia in controparte della Lucrezia romana che Marcantonio Raimondi aveva incisa a suo tempo da un disegno di Raffaello e reca appunto l'indirizzo: "Tomasius Barl. excudebat 1541". Un altro rame di Enea Vico, e cioè uno dei ritratti che egli incise di Carlo V (Bartsch, 251), reca l'indirizzo "Tomasius da Saloniho excudebat".
Codesto indirizzo diede luogo alla supposizione che il B. fosse nativo di Salonicco, contrariamente all'opinione dell'abate Zani, il quale lo supponeva nato a Salona, suggerendo la lettura, poco plausibile, "Salonitho".
Probabilmente anche l'altro ritratto di Carlo V, inciso dal Vico in un ovale ornato "di Vittorie e di spoglie", come dice il Vasari, "di che fu premiato da Sua Maestà e lodato da ognuno", compreso il Doni che ne parla nella Zucca e nelle Foglie della zucca, uscì dai torchi del B.; ma non reca indirizzo. Certo non fu edito dal Salamanca, il quale invece ne fece fare una copia in controparte da Nicolò Della Casa e la mise in circolazione in concorrenza con l'altro. Questo era l'ambiente in cui si svolgeva a quel tempo l'attività degli incisori e dei loro editori.
Il B. diede anche in luce nel 1542 una raccolta di grottesche, sul cui frontespizio si leggono il suo indirizzo, la data e le iniziali E. V. (Enea Vico). In calce ad una di tali stampe si legge invece "Tomaso Barlacchi faciebat 1542 E ciò che autorizza a credere che il B. abbia continuato ad incidere anche quando aveva al suo servizio incisori quali il Beatricetto e il Vico. Il Bartsch anzi affaccia l'ipotesi che tutte le grottesche prive delle iniziali di Enea Vico siano state incise da lui. Il Vasari dice anche che "molte istorie che Raffaello aveva dipinto per il corridore e loggie di Palazzo" (Vaticano) furono "rintagliate da Tomaso Barlacchi", insieme con le "storie de' panni che Raffaello fece pel Concistoro pubblico". Ma si tratta di una confusione, in quanto quei rami, incisi a suo tempo dal "Maestro del Dado" e da altri allievi di Marcantonio, furono dal B. soltanto ripubblicati dopo i necessari restauri. Il rame più celebre dato in luce dal B. è quello intagliato da Enea Vico con la figurazione del Primo ratto di Elena (non già, come dice il Bartsch, credendo di correggere un errore del Vasari, la Lotta fra i Lapiti e i Centauri per il ratto d'Ippodamia). Il rame reca la data del 1542 e l'indirizzo: "Tom. Barl. Exc.".
Il B. fu coadiuvato da suo figlio Francesco, di cui troveremo più tardi l'indirizzo su una stampa di Battista Franco; ma il suo fondo di rami incisi fu assorbito in seguito dal più grande dei mercanti di stampe del Cinquecento, Antonio Lafrery, e dai suoi credi, che ne inclusero alcune anche nelle diverse edizioni dello Speculum Romanae Magnificentiae.
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