ARABIA, Tommaso
Nato a Monteleone Calabro, da Pasquale e da Maria Teresa Fonzi, nell'aprile 1831, si trasferì giovanissimo (1846) a Napoli, ove lo aveva preceduto e dove lo introdusse negli ambienti culturali il fratello Francesco Saverio. Seguì i corsi universitari, avendo come professore, tra gli altri, il De Sanctis ed entrò nella cerchia degli Spaventa. Pervaso di spirito unitario e patriottico, fece parte dei circoli studenteschi aperti alle idee liberali e, anche per il suo cacattere impulsivo e imprudente, attirò l'attenzione e la sorveglianza della polizia borbonica. Fra l'altro, nel 1856, aiutò A. Nociti e G. B. Falcone, compromessi nell'attentato di A. Milano contro Ferdinando II, a sfuggire alla polizia.
Seguì gli studi giuridici e quelli letterari, partecipando alle prime dispute fra classici e romantici. Pur non avendo avuto una chiara posizione ideologica, l'A. è da annoverarsi tra i romantici: difatti propugnava, in contrasto col fratefio, sostenitore della perfezione formale dell'opera d'arte, il verso libero e sciolto, vibrante di passione. Nel 1856, insieme col fratello, fondò lo Spettatore napoletano, ottenendo di poter dar vita a una cronaca politica seppure censurata e, in quel periodico, pubblicò, tra le altre cose, uno studio sulla "lirica italiana".
La molteplice attività dell'A. si dispiegò anche nel teatro e, ancor oggi, son da ricordare le sue tragedie, specialmente per l'elemento di rottura che contenevano; sebbene ispirate a temi classici - Francesco Ferrucci; Piccarda Donati (1853); Saffo (1857); Anna Bolena (1859) , costituivano un tentativo di risollevare il teatro italiano dedito in prevalenza a traduzioni da testi stranieri e a rimaneggiamenti di opere classiche (egli stesso fu l'editore di una scelta di opere di Shakespeare tradotte da G. Carcano, in tre, voll., Napoli 1856).
Le opere dell'A. rifuggivano infatti, per lo più, dall'ossequio alle tre unità aristoteliche e, soprattutto nelle parti poetiche, erano vivificate piuttosto dall'autenticità dell'espressione, scaturita dalla passione viva, che dal gusto classicheggiante. I contemporanei non apprezzarono molto questo genere di comporre che, per giunta, inseriva nel testo motivi patriottici a spese della verità storica, ma è comunque da sottolinearsi positivamente il tentativo operato dall'A. per svincolare il teatro tragico dal peso della tradizione.
La censura si accanì sui suoi lavori: egli non poté infatti far rappresentare Francesco Ferrucci né Piccarda Donati della quale, però, fu permessa la stampa (1853; 2 ed. 1858) - e solo nel giugno del 1857, al teatro dei Fiorentini, egli vide rappresentato un suo lavoro, Saffo, messo in scena dalla compagnia diretta da Adamo Alberti, nonostante che il re Ferdinando II avesse detto di temere più "questa femminuccia" che il Ferrucci. Il successo fu enorme, specie per il fatto che Saffo veniva presentata come incitatrice di virtù civili e patriottiche, ma la censura interruppe le rappresentazioni dopo la dodicesima serata. Parte della critica, soprattutto quella accademica, lo attaccò violentemente e, pur riconoscendone il valore poetico, non, rilevò in lui alcuna validità come tragediografo; ne sorse una polemica specie fra E. Pessina sostenitore dell'A. e V. Petra fermo alla tradizione classica, pubblicata poi col titolo di La guerra saffica tra V. Petra ed E. Pessina (Napoli 1857). Il 19 genn. 1859, al teatro del Fondo, andò in scena Anna Bolena, tragedia che l'A. aveva scritta per Adelaide Ristori, ma, nonostante il valore dell'interprete, il successo fu limitato e si ebbe una sola replica nel giorno successivo. La critica in complesso fu benevola e sottolineò gli efficaci momenti poetici dell'opera, ma non man di calcare la mano sulle lungaggini, sui molti contatti con il famoso libretto di Felice Romani e sull'abbandono delle tre unità.
Nello stesso anno l'A. fondò, insieme a Vincenzo Cuciniello, l'Opinione Nazionale, periodico unitario, cavourriano e antimazziniano e lo diresse fino a tutto il 1860: fra l'altro vi pubblicò una lettera di Giorgio Pallavicino (3 ottobre) che invitava Mazzini a lasciare Napoli e la successiva risposta del Mazzini (6 ottobre). Fu poi vicedirettore della Gazzetta Ufficiale; passò quindi nella carriera prefettizia e giunse ad essere nominato consigliere di stato. Nel 1864 scrisse un racconto, Silvino e, più tardi, alcuni saggi giuridici tra i quali La Nuova Italia e la sua Costituzione (Napoli 1873).
Morì a Roma il 25 marzo 1896.
Bibl.: Omnibus, Napoli, XXV (1857), n. 45, p. 180; ibid., n. 48, p. 192, rec. alla Saffo; Iride, Napoli, III (1859), n. 32, pp. 254 ss., rec. all'Anna Bolena; L. A. Villari, I tempi, la vita, i costumi, gli amici, le prose e poesie scelte di Francesco Saverio Arabia (Studio sulla Napoli letteraria dal 1820 al 1860), Firenze 1903, pp. 115-117, 134-136 e passim; R.De Cesare, La fine di un Regno, Città di Castello 1909, I, pp. 91, 129, 144, 152-53, 212; II, pp. 43, 309; P. Romano [P. Alatril, Silvio Spaventa. Biografia politica, Bari 1942, pp. 113, 182; V. G. Galati, Gli scrittori delle Calabrie (Diz. bio-bibliografico), I ,Firenze 1928, pp. 184-186; Encicl. dello Spettacolo, I, Roma 1954, coll. 769.