ANTICI, Tommaso
Discendente da nobile famiglia di Recanati - che poi si fuse con quella romana dei Mattei nacque il 10maggio 1731. Tranne che per il periodo centrale della sua vita, in cui fu inviato del re di Polonia a Roma, abbiamo di lui notizie scarse e lacunose. Certo è ch'egli, come del resto buona parte degli uomini di Chiesa del sec. XVIII, di religioso non ebbe se non l'abito: vissuto in una Roma popolata d'intríghi e d'intriganti diplomatici, religiosi o laici che fossero, fu maestro in quell'arte, abilmente destreggiandosi in un ambiente che gli era quasi del tutto ostile. Dove, da semplice auditore e discepolo del cardinale Rossi, egli divenne ministro di più sovrani: dal 1765 - grazie all'interessamento di quello stesso cardinale e di una nobildonna romana, Livia Altieri - fu abilissimo e fedelissimo inviato dell'imbere Stanislao Augusto; carica, questa, cui si aggiunse più tardi (1773) quella di agente dello elettore del Palatinato e di Baviera. Varia ed instabile era in quel periodo la situazione della contesa Polonia, e sempre più problematiche le condizioni del clero, su cui si scontravano gli interessi politicoreligiosi della Russia da una parte e della Chiesa di Roma dall'altra. E l'A. intervenne in modo più o meno diretto, m particolare affrontando la questione delle condizioni del clero, non senza aver prima sostenuto il richiamo del nunzio apostolico a Varsavia, monsignor Durini, per incapacità politica, col diffondere voci sulla partecipazione di lui all'attentato contro Stanislao Augusto. Ma i buoni rapporti che intercorsero fra l'A. ed il nunzio Garampi non rimasero tali quando a questo succedette l'Archetti, con il quale egli ebbe a trattare soprattutto per la complessa questione dei gesuiti.
Infatti, fin da quando, nel 1769, ancora durante il pontificato di Clemente XIII, insistenti si erano fatte le pressioni delle corti borboniche per la soppressione dell'Ordine, l'A. aveva dichiarato di essere pronto ad appoggiare la proposta francese per l'abolizione della Compagnia di Gesù. Atteggiamento che non fu bene accetto né allo stesso papa,come era naturale, né all'ambasciatore francese a Roma, il cardinale de Bemis, che era ostile all'A., insieme con un altro potente prelato, il cardinale Boncompagni. Ma, soppressa la Compagnia nel 1773 e sorto l'importante e delicato problema concernente il noviziato, l'ordinazione e in genere tutta l'attività dei gesuiti, fu proprio l'A., sempre ansioso di curare gli interessi polacchi, a entrare in rapporto con il ministro russo in Polonia, il conte Stakelberg, tenace sostenitore dell'appoggio dato da Caterina II al vescovo di Varsavia. Cercò di cattivarsene il favore, rivelandogli la approvazione di Pio VI per l'atteggiamento della zarina nei riguardi dei gesuiti fuggiaschi.
Nel complesso gioco politico-diplomatico di quegli anni però la posizione dell'A., preoccupato soprattutto di inserirsi nelle diverse vicende che potevano riguardarlo, fu oscillante: fra il 1779 e il 1780 tentò, sempre in nome del re di Polonia, di interporre la propria mediazione nelle trattative in corso fra Mosca e Madrid, al fine di giungere, in Russia, ad una totale eliminazione della Compagnia di Gesù: abile ed audace allo stesso tempo fu il progetto che l'A. sottopose, a tale scopo, all'approvazione di Stanislao Augusto.
In esso erano previste la completa soppressione dei gesuiti della Russia Bianca e l'istituzione, con la loro collaborazione, di un tipo di scuole simili a quelle, laiche, già sorte in Slesia. Tentativo che falli per la decisa opposizione del conte di Floridablanca, ambasciatore spagnolo a Roma.
Non meno importanti e delicati furono gli altri problemi di cui l'A. ebbe modo di occuparsi: tali, le trattative sul clero scismatico di Polonia, sui vescovi ruteni e della Posnania; tali, le questioni concernenti la posizione del metropolita di Russia, connesse ai non facili rapporti con il clero scismatico, e quelle - cui erano legati più stretti interessi della Polonia e della Curia - delle concessioni beneficiarie; tale, infine, l'atteggiamento del clero polacco nella Confederazione di Bar, che l'A. non esitò a disapprovare e ad ostacolare.
Tutto ciò, pur facendo intravedere i limiti concreti della sua azione diplomatica, non offre mai, tuttavia, la possibilità di ricavare una idea esatta della sua tempra di politico e di religioso. Benché nominato cardinale nel 1776 solo dietro le pressioni di Stanislao Augusto, dell'elettore palatino e dello stesso Federico II, che riuscirono a vincere la riluttanza di Pio VI - l'A. si mostrò poco propenso ad accogliere e far proprie le posizioni curiali. Prova ne sia, innanzitutto, l'avere egli appoggiato, nel 1790, la decisione unilaterale della dieta di Varsavia di elaborare un piano di nuova e più equa ripartizione delle diocesi del regno; e l'avere difeso presso il papa, nel 1792, quello Scipione Piattoli, abate fiorentino in Polonia, il quale era stato attaccato violentemente dalla Curia per aver sostenuto l'indipendenza del potere civile da quello ecclesiastico.
Ma, nonostante queste divergenze, della sua abilità lo stesso Pio VI aveva avuto un'ennesima prova quando, nel 1784, come agente di Baviera presso la Curia ed incaricato d'affari dell'arcivescovo di Colonia, l'A. aveva sostenuto a fondo il progetto di una nunziatura a Monaco, che avrebbe portato ad un rafforzamento della posizione diplomatica dell'elettore. Ed infatti, dopo i primi passi abbastanza favorevoli, l'A. seppe trattare l'affare con tale energia che il pontefice si vide alla fine costretto a cedere. E della stima, suo malgrado, di quest'ultimo, prova fu, nel 1791, la nomina dell'A. a prefetto delle Congregazioni del Concilio e delle Indulgenze.
Quando, all'inizio del 1797, mentre Bonaparte moveva contro lo Stato della Chiesa, a Roma si vide chiaramente come ogni speranza in un appoggio o difesa da parte di Vienna o di Napoli fosse del tutto vana, fu l'A. che - avesse o no chiara visione della situazione del momento - nelle sempre più frequenti congregazioni sostenne e riuscì a far prevalere il partito della pace con il generale, contro quello della guerra ad oltranza, di cui era fautore il cardinale Alessandro Albani. E quando, poi, le truppe francesi occuparono Roma, l'A. non esitò, nel collasso politico dello Stato pontificio, ad abbandonare l'abito cardinalizio. La sua rinuncia, insieme con quella del cardinale Altieri - i due soli esempi dei genere nell'ambiente di Curia - ebbe grande risonanza. Pur non essendo chiaro se il motivo determinante di essa sia stata la paura di rappresaglie francesi, o - come dissero i contemporanei - l'ambizione di alti onori nella giovane repubblica, ècerto che il suo atteggiamento non fu dettato, come per altri uomini di Chiesa del tempo, da un contrasto più profondo, in campo disciplinare o dottrinale.
All'ambigua lettera da lui scritta al papa, il 7 marzo 1798, questi esitò a rispondere: considerazioni d'ordine prudenziale lo trattenevano dall'accettare la rinuncia dell'A. e quella dell'Altieri. Egli temeva, infatti, che ciò avrebbe dato il via ad una serie di defezioni nell'alto e nel basso clero. Tuttavia, tali esitazioni furono successivamente vinte, anche per le pressioni dei cardinali Antonelli e Spina, entrambi ostili all'Antici. Questi, una volta libero dai suoi legami e doveri di porporato, non tralasciò di rendere omaggio ai rappresentanti del nuovo potere costituito prima di ritirarsi nella patria Recanati.
Da dove, tuttavia, si fece ben presto risentire. In occasione dei conclave di Venezia del 1800 inviò un abile memoriale, in cui, sostenendo che la rinuncia gli era stata estorta con la violenza, chiese di essere riammesso nel collegio cardinalizio. Di fronte al deciso rifiuto dei cardinali, l'A. non insistette, pur non tralasciando d'inviare al nuovo pontefice, Pio VII, una lettera ispirata ad umile pentimento. Trascorse gli ultimi anni a Recanati, dove morì il 4 genn. 1812.
Fonti e Bibl.: Arch. Segreto Vaticano, Polonia, voll. 395, 287, 316, 330, 344 I (alcuni biglietti e memorie dell'A., riguardanti in particolare le questioni del clero, ed alcune lettere fra lo stesso, la segreteria di Stato ed il nunzio pontificio a Varsavia); Bibl. Vallicelliana, Roma, Fondo Falzacappa: Memoria in difesa della rinuncia fatta dai Cardinali Antici e Altieri alla dignità cardinalizia nel 1798 e Relazione del card. Antonelli su l'avvenuto in Roma dal 1797 al 1799; Monitore di Roma, 14 marzo 1798; Vetera Monumenta Poloniae et Lithuaniae, a cura di A. Theiner, IV, Romae 1864, pp. 105, 276, 321, 357, 392, 394, 406, 413, 553; G. A. Sala, Diario romano, in Miscell. d. Soc. romana di storia Patria, I (1882), pp. 91, 93, 114, 144; M. Leopardi, Autobiografia, Roma 1883, pp. 78, 82, 84; Correspondance diplomatique et mémoires inédits du Cardinal Maury (1792-1817), a cura di A. Ricard, I, Lille 1891, pp. 229 s., 270; Lettere di Filippo Mazzei alla Corte di Polonia (1788-1792), a cura di R. Ciampini, I, Bologna 1937, p. 43, 47, 49, 50, 58 s., 68, 69, 76, 79; V. Meysztowicz, De Archivo Nuntiaturae Varsaviensis, Vaticani 1944, pp. 22, 75; P. Savio, De actis Nuntiaturae Poloniae, Vaticani 1947, pp. 99, 101, 103; A. Theiner, Storia del pontificato di Clemente XIV, II, Milano 1855, pp. 10, 29, 105 s. , 279; G. Rosa, Notizie del cardinale Andrea Archetti, in Arch. stor. ital., s. 3, I (1865), pp. 74. 81; J. Du Teil, Rome, Naples et le Directoire, Paris 1902, p. 92; A. Lumbroso, Ricordi e documenti sul conclave di Venezia, Roma 1903, p. 6; J. Gendry, Pie VI, Paris 1905, I, pp. 37, 118, 168, 380; II, pp. 298, 309, 311, 444-446; E. Celani, I preliminari del conclave di Venezia, in Arch. d. Soc. romana di storia patria, XXXVI. 3-4, (1913), pp. 480, 481, 483 s., 485, 492; A. D'Ancona, Scipione Piattoli e la Polonia,Firenze 1915, pp. 30-31, 32, 33, 224-225; L. v. Pastor, Storia dei Papi, XVI, 2 e 3, Roma 1934, passim; V. E. Giuntella, La Giacobina Repubblica Romana, in Arch. d. Soc. romana di storia patria, LXXIII(1950), p. 17; J. Leflon., Pie VII, Paris 1958, p. 550; Dict. d'Hist. et de Géogr. Ecclés., III, coll. 542 s.