SALERNITANO, Tommaso Aniello
– Nacque a Napoli il 7 marzo 1521 da Giovanni Antonio, scrivano di Cancelleria, e dalla sua prima moglie, Francina (Padiglione, 1857, p. 9). Fu il maggiore di dodici figli, tra cui Scipione, vescovo di Acerra dal 1571; Pompeo, consigliere del Sacro Regio Consiglio dal 1579; Giovan Leonardo, musicista e socio fondatore dell’Accademia dei Sereni.
Filosofia e diritto connotarono la formazione giovanile di Salernitano indirizzandolo precocemente verso gli studi giuridici. Appena diciottenne fu ammesso a interpretare glossas nello Studio pubblico (Toppi, 1659, p. 177). Assunto il titolo dottorale in utroque iure all’età di 22 anni, superando la prova conclusiva a pieni voti con la clausola «viva vocis vivisque suffragijs ac nemine discrepante» (Del Bagno, 2000, p. 176), si dedicò con successo e largo apprezzamento all’avvocatura. Salernitano sarebbe stato anche «scelto a dar lezioni di Giurisprudenza feudale» e nominato giudice della Gran Corte della Vicaria (Padiglione, 1857, pp. 10 s., che non indica la fonte). La sapiente perizia tecnica, combinata all’acume e alla stima incontrata nel foro, lo accreditarono rapidamente presso gli ambienti di governo. Costituendosi i presupposti di una brillante carriera ministeriale, l’ascesa agli uffici di vertice dell’apparato giurisdizionale partenopeo ebbe inizio nel maggio del 1557, con la nomina a presidente della Regia Camera della Sommaria; seguì quella a presidente del Sacro Regio Consiglio nell’agosto del 1566, a reggente di Cancelleria nel 1570.
Il suo cursus honorum, come ricordato dal nipote Giuseppe (in apertura alle Decisiones), contemporaneamente si arricchì di numerosi altri incarichi prestigiosi: fu prescelto «inter Regios Procuratores» e «inter assessores Principis» per gestire delicati affari di Stato, tra cui la risoluzione della questione successoria di Bona Sforza. Si trattò di un intrigo di politica internazionale scoppiato (non senza anticipazioni) dopo che alla regina di Polonia moribonda fu sottoposto un testamento da firmare che istituiva il figlio Sigismondo Augusto erede universale di un patrimonio sostanzialmente svuotato dai legati. Specie contro il trasferimento alla Corona spagnola dei feudi posseduti nel Mezzogiorno (Ducato di Bari e Principato di Rossano) il discendente depauperato non tardò a rivendicare i diritti violati, fino a rivolgersi all’imperatore Ferdinando d’Austria, suo suocero, affinché fungesse da arbitro. A rappresentare gli interessi di Filippo II, fu inviato a Vienna nel 1561 Salernitano il quale, risalendo al titolo di provenienza dei domini e attraverso la disamina delle clausole d’investitura, riuscì a dimostrare che l’avvenuta devoluzione era di per sé valida, a prescindere dall’autenticità delle disposizioni testamentarie. Di indubbio spessore giuridico, i suoi argomenti (riassunti da De Ponte, 1616) risultarono affatto convincenti e decisivi. Quando nel 1569 Sigismondo Augusto tornò all’attacco, tentando di recuperare almeno la rendita sui 430.000 ducati che la madre aveva prestato a Filippo II, del riesame della questione fu interessato Salernitano, che già «aveva saputo far trionfare il suo Re» e che da ultimo preparò un ‘prospetto’ esplicativo di tutti i documenti riguardanti la «successione degli Sforzeschi» (Pepe, 1900, p. 270).
È ipotizzabile che fosse collegato alla prima fase di questa vicenda il privilegio concesso dall’imperatore Massimiliano II, il 16 ottobre 1568, con cui si insignivano Salernitano e i suoi sette fratelli, nonché i discendenti maschi nati e nascituri «in infinitum» del titolo di «Milites sive Equites Auratos» con tutte le annesse prerogative (Bysshe, 1654, p. 25). Nello stesso anno il giurista fu aggregato al seggio di Portanova di Salerno con ‘instrumento’ del notaio Matteo Francesco Faracha. A lui e ai suoi numerosi collaterali il maestro Marc’Antonio Mazzone di Miglionico, nel settembre del 1569, dedicò una raccolta di madrigali a cinque voci edita a Venezia.
Nel clima di tensione generato dai tumulti del 1564, contro il tentativo d’introdurre a Napoli l’Inquisizione spagnola e non meno dalla promulgazione dei decreti tridentini, Salernitano fu impegnato in prima linea, insieme al reggente Francesco Antonio Villano, nella tutela dei diritti della giurisdizione regia (Giannone, 1723, p. 105). La sua comprovata abilità nella mediazione giuridico-istituzionale e le competenze maturate nella conservazione e difesa «de n.ros derechos y regalias», della buona amministrazione e del «pacifico vivir» dei sudditi, dopo tre lustri indussero la corte madrilena a inviarlo a Roma, presso l’ambasciatore spagnolo, che necessitava di un consulente esperto di giurisdizione ecclesiastica e secolare del Regno di Napoli (Napoli, Biblioteca nazionale, ms. XV.B.11, c. 405).
Probabilmente fu nel 1564 (Padiglione, 1855, p. 178) che il giurista partì per la Sicilia, ove imperversava un’importante crisi economica e sociale. In veste di ispettore delle magistrature partecipò alle attività di ristrutturazione della Magna Curia dei maestri razionali di Palermo, nello spirito di una riforma orientata, secondo il modello costituzionale partenopeo, in direzione regalistico-ministeriale (secondo Toppi, 1659, pp. 177 s., per erigere il tribunale della Sommaria). La trasformazione in tribunale del Real Patrimonio fu sancita dalla prammatica de reformatione tribunalium del 6 novembre 1569, che sottrasse la guida delle tre principali Corti di giustizia ai corrispondenti grandi uffici, per consegnarla ad altrettanti presidenti togati.
Nell’ottobre del 1570 il reggente Salernitano, nell’alta qualità di procuratore di Margherita d’Austria, figlia naturale di Carlo V, intervenne nel Parlamento generale del Regno, ove votò prima di tutti gli altri titolati, in applicazione del principio secondo cui, ai fini delle precedenze, «procurator et balius reputetur pro barone», nonché in ragione del sangue imperiale della duchessa (Tapia, 1626, p. 342). È documentata la sua partecipazione anche al Parlamento del 1578 con quattro procure baronali (Cernigliaro, 1984, p. 402).
La lunga esperienza di magistrato e statista, sommandosi a quella maturata in ambito economico-fiscale, risultò decisiva in diverse operazioni incidenti sugli equilibri istituzionali del Regno di Napoli: nell’ottobre del 1577 si espresse a favore della partecipazione del tesoriere generale alle riunioni del Consiglio Collaterale, ma circoscrivendola alle sole occasioni in cui erano ammessi i consiglieri di Stato (Pilati, 1994, p. 405). Negli stessi anni contribuì alla definizione del cartello tra i quattro maggiori banchi della capitale, che impiantava un regime di monopolio e che fu stipulato definitivamente nel 1580.
Da segnalare pure i suoi interventi prescrittivi in materia di processo. Scipione Rovito testimoniava che Salernitano, da presidente del Sacro Regio Consiglio, aveva avviato la pratica di deliberare «junctis Aulis», quando «incidit articulus dubius», e disposto nel settembre 1568, con decreto «in forma legis» che soltanto l’attuario designato dal commissario della causa potesse ricevere la «cautio»; lo menzionava ancora come autore di un importante decreto del Collaterale del luglio 1581, in cui si statuiva che il presidente del Sacro Regio Consiglio, «declaratus suspectus alicuius», dovesse astenersi dal votare nelle relative controversie e non anche dall’ordinaria e «simplex commissio et distributio causarum» tra i consiglieri, a esclusione del caso di inimicizia. In tema di sindacato degli ufficiali, nel precedente gennaio sancì il principio che i mastridatti fossero privi di giurisdizione, orientando la delibera del Collaterale in netto contrasto con una decisio di Vincenzo de Franchis, ma non precludendo il futuro ripristino della concordia (Petra, 1693, p. 287).
Fu molto attivo anche nella vita accademica come membro ordinario del Collegio napoletano dei dottori giuristi, svolgendo continuativamente da ottobre 1569 la funzione di promotore degli studenti e assegnando i punti da discutere all’esame di laurea. Elettone priore, assunse la guida del Collegio nell’anno 1571 (Del Bagno, 2000, p. 182). Fu il primo reggente di Cancelleria a espletare l’ufficio di protettore dello Studio pubblico nel 1578 e si può supporre che lo ricoprì già due anni prima, quando preparò una lunga relazione per dirimere i contrasti insorti tra i dottori sul recente modus operandi e preservare la stabilità istituzionale. Ricche di encomi appaiono le dediche incluse in due opere di cui fu ispiratore: il Compendium di Giovan Battista Palomba del 1573 e la raccolta postuma di scritti del regio consigliere Giovan Tommaso Minadoi, realizzata nel 1576.
Si spense a Napoli il 10 giugno 1584 e fu sepolto nella cappella gentilizia sita nella chiesa di S. Maria delle Grazie. L’iscrizione funeraria, dovuta alla penna di Paolo Regio, poeta e vescovo di Vico Equense, riassumeva le tappe peculiari della sua carriera appellandolo patrizio napoletano.
L’unica sua opera consisté in una selezione di sessantuno decisioni dei supremi tribunali del regno alla cui definizione aveva partecipato, con l’aggiunta di trentasei allegazioni (raccolte con autonomo frontespizio) prodotte da praestantissimi giureconsulti e corredate del dispositivo della relativa sentenza nonché del suo votum. La pubblicazione del testo con annesso ritratto avvenne postuma, nel 1631, curata dal nipote Giuseppe, figlio di Giovan Leonardo (Salerno, Biblioteca provinciale, G. Ruggi, Liber Notamentorum..., ms. 103, c. 74), e con le annotazioni di Giovan Battista de Toro, che a testimonianza della eminentia dell’autore, in premessa alla raccolta, riportò tutte le laudes formulate dai giuristi coevi.
Sia le decisiones sia le allegationes decisae risultano incentrate prevalentemente su questioni successorie e dotali, feudali e di immunità fiscali, sulle regalie e sull’organizzazione degli uffici minori. Nella prima sezione, denotava una duplice familiarità con Salernitano la controversia vertente sulla prassi ultradecennale di nomina degli scrivani (avviata dal Segretario del Regno, Juan de Soto) e di cui aveva beneficiato già suo padre (dec. LVI). Nella seconda sezione, il caso di Marco Antonio Floccaro, giuridicamente non imponente, segnalava l’assoluta rilevanza del diritto feudale in campo costituzionale e universitario (all. VIII).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Napoli, R.C. Sommaria, Diversi, II num., f. 6, Notamento delle scritture concernenti il ducato di Bari concesso agli Sforza, duca di Milo e principe di Rossano; Napoli, Biblioteca nazionale, ms. XV.B.11, cc. 13-15, 1° ott. 1560; c. 405, 17 lug. 1579; Salerno, Biblioteca provinciale, G. Ruggi, Liber Notamentorum familiarum Salerni et provinciae Principatus Citra (sec. XVII), ms. 103, c. 74; G.F. De Ponte, Consiliorum sive iuris responsorum, Neapoli 1616, cons. LXXV, nn. 8-10, pp. 441 s.; C. Tapia, Decisiones supremi Italiae Senatus, Neapoli 1626, dec. XXI, n. 37, pp. 341 s.; E. Bysshe, Notae, in N. Upton, De studio militari, Londini 1654, pp. 25 s.; N. Toppi, De origine tribunalium, II, Neapoli 1659, l. III, cap. I, pp. 177-180; C. Petra, Commentaria luculenta, et absoluta, in Universos Ritus M.C.V. Regni Neapolitani, IV, Neapoli, 1693, ritus CCXCV, nn. 5-6, pp. 286 s.; P. Giannone, Istoria civile del regno di Napoli, Napoli 1723, t. IV, l. XXXII, cap. VIII, pp. 128 s.; l. XXXII, cap. V, n. II, p. 105; l. XXXIII, cap. II, n. I, pp. 167, 175 s.; t. III, l. XXVI, cap. IV, n. I, pp. 382 s.; S. Rovito, Luculenta commentaria in singulas Regni Neapolitani pragmaticas sanctiones, Neapoli 1742, De officio SRC, pramm. XLI, n. 2, p. 528 e pramm. IX, n. 1, p. 531; De suspitionibus officialium, pramm. XV, nn. 1, 11, pp. 671-673; L. Giustiniani, Memorie istoriche degli scrittori legali del regno di Napoli, III, Napoli 1788, pp. 148-151; S. Ciampi, Notizie dei secoli XV e XVI sull’Italia Polonia e Russia, colle vite di Bona Sforza de’ duchi di Milano, regina di Polonia e di Giovanni de’ Medici, detto delle Bande nere, Firenze 1833, pp. 56-58; C. Padiglione, Memorie storiche artistiche del tempio di S. Maria delle Grazie Maggiore a Capo Napoli, Napoli 1855, pp. 173-180; Id., Biografia di Tommaso Salernitano reggente di Cancelleria e vice-protonotario del Regno, Napoli 1857, pp. 1-22; L. Pepe, Storia della successione degli Sforzeschi negli Stati di Puglia e di Calabria e documenti, Bari 1900, pp. 245 ss.; B. Croce, L’Accademia dei Sereni, in Archivio storico per le province napoletane, 1919, pp. 368-376; N. Cortese, L’età spagnuola, in F. Torraca et al., Storia della Università di Napoli, Napoli 1924, pp. 273, 367; P.L. Rovito, Respublica dei togati. Giuristi e società nella Napoli del Seicento, Napoli 1982, p. 249, n. 51; V. Sciuti Russi, Astrea in Sicilia. Il ministero togato nella società siciliana dei secoli XVI e XVII, Napoli 1983, pp. 79 ss.; A. Cernigliaro, Sovranità e feudo nel regno di Napoli. 1505-1557, II, Napoli 1984, p. 402, n. 30; G. Intorcia, Magistrature del regno di Napoli. Analisi prosopografica. Secoli XVI-XVII, Napoli 1987, p. 373; I. Ascione, Il Segretario del Regno. Note su una magistratura napoletana fra XVI e XVIII secolo, in Rassegna degli Archivi di Stato, LII (1992), 3, pp. 569 ss.; I. Del Bagno, Legum doctores. La formazione del ceto giuridico a Napoli tra Cinque e Seicento, Napoli 1993, pp. 44 s., 110, 207 s.; R. Pilati, Officia Principis. Politica e amministrazione a Napoli nel Cinquecento, Napoli 1994, pp. 271, 276, 405; M.N. Miletti, Tra equità e dottrina. Il Sacro Regio Consiglio e le «decisiones» di V. de Franchis, Napoli 1995, p. 12, 363; J.A. Bernstein, Music printing in Reinaissance Venice, New York 1998, pp. 778-780; M.N. Miletti, Stylus judicandi. Le raccolte di «decisiones» del regno di Napoli in età moderna, Napoli 1998, pp. 20, 136 s., 219; I. Del Bagno, Il Collegio napoletano dei Dottori. Privilegi decreti decisioni, Napoli 2000, pp. 16 s., 68, 72, 176-178, 181-183, 188-193, 196, 274-276, 279, 282.