VERNAZZA, Tommasa (in religione Battista). – Nacque a Genova, probabilmente il 24 marzo 1497, da Ettore (v. la voce in questo Dizionario)
, notaio e principale ispiratore della rete delle confraternite del Divino Amore, e da Bartolomea Risso.
Dopo aver trascorso un’infanzia particolarmente serena, appassionandosi alla musica e alla poesia, la prematura scomparsa della madre, avvenuta nel 1508, spinse Vernazza verso la via del chiostro. All’età di tredici anni, il 24 giugno 1510, fece il suo ingresso nel monastero di S. Maria delle Grazie di Genova, tra le canonichesse regolari lateranensi, prendendo il nome di Battista. In una lettera autobiografica, scritta anni più tardi, avrebbe ricordato l’esperienza del noviziato, «mezzo freddo e mezzo caldo» (Nuova ristampa delle opere spirituali..., 1755, p. 236), che le diede tuttavia la possibilità di conoscere le proprie inclinazioni e di orientarsi verso il totale abbandono alla volontà e all’amore di Dio, prima manifestazione di quella dedizione alla carità che avrebbe dominato la sua biografia e le sue opere.
Trascorse in clausura più di settant’anni, scanditi solamente dalle progressioni di carriera: fu responsabile delle cucine, maestra di noviziato, economa, vicaria e per più di dieci anni priora del monastero. Durante questi incarichi ebbe modo di far valere, e non soltanto nei confronti delle consorelle, il suo spiccato carisma. Divenne infatti uno dei punti di riferimento della devozione cittadina. La sua intensa spiritualità, unita alla capacità di conciliare vita contemplativa con vita attiva, veicolò l’interesse di una piccola cerchia di fedeli, perlopiù appartenenti alla congregazione maschile dei canonici lateranensi, che la cercavano per avvalersi del suo spirito di consiglio. In monastero, Vernazza poté dedicarsi ai suoi interessi letterari e ancora giovanissima ottenne dal padre spirituale la licenza di scrivere. Il continuo confronto con i superiori, ai quali mostrava il contenuto delle sue opere e della sua corrispondenza e al cui giudizio rimetteva ogni decisione legata alle responsabilità istituzionali e alle scelte personali, è emblematico del processo di disciplinamento che in quegli anni stava trasformando la vita religiosa dell’Italia settentrionale.
L’obbedienza nei confronti delle gerarchie non le impedì tuttavia di rivendicare il suo ruolo di guida delle monache di S. Maria delle Grazie. Nel 1542, quando il monastero stava per essere affidato ai rappresentanti di un altro ordine religioso a causa della cattiva condotta di alcuni canonici lateranensi, Vernazza scrisse un’accorata lettera all’arcivescovo di Genova Innocenzo Cibo, con la quale chiese e ottenne di punire solamente i responsabili degli errori in modo da non recare, attraverso un siffatto cambiamento, «gran perturbatione» (Nuova ristampa delle opere spirituali..., cit., p. 197) all’equilibrio della vita monastica.
La sua corrispondenza intercetta alcuni importanti episodi della vita religiosa del XVI secolo. Nel 1576 la donna raccontò al confessore Gasparo Scotto il ruolo da lei avuto nella condanna, avvenuta negli anni Venti, del membro del Divino Amore genovese Battista Fieschi, suo padrino di battesimo. Non convinta delle tesi e delle «pestifere parole» (ibid., p. 217) di ispirazione luterana di Fieschi, aveva mostrato il contenuto delle lettere a Callisto Fornari, collaboratore del padre nelle attività caritative e futuro inquisitore generale d’Italia, creando i presupposti per l’organizzazione del processo. Nel 1581, lo stesso Scotto le chiese di illustrare gli episodi più emblematici della sua infanzia e il rapporto che la legava ai genitori. Per il suo contenuto la lunga autobiografia rappresenta tuttora una fonte di primaria importanza per comprendere il pensiero e le attività di Ettore Vernazza. Ma la sua corrispondenza rivela anche l’importanza che la donna attribuiva alla direzione delle coscienze e agli altri compiti religiosi, come sottolineò al chierico regolare teatino Andrea Avellino che nel 1578, desideroso di ritirarsi totalmente dal mondo per dedicarsi alla sola contemplazione, si rivolse a lei per sciogliere i suoi dubbi.
Oltre all’epistolario, l’imponente produzione letteraria di Tommasa Vernazza annovera trattati devoti in prosa e in versi, come il Trattato dell’unione dell’anima con Dio sopra il Pater noster del 1538, forse il suo lavoro più noto, commenti alle Scritture, quarantasei Dubia speculativi che, posti sotto forma di domanda, impegnarono due teologi nella risposta, poesie di argomento religioso, meditazioni, cantici spirituali. L’opera, intrisa di un intenso afflato spirituale che indica il personale bisogno di un abbandono alla volontà divina, attraversa un arco cronologico molto ampio, rappresentativo dei mutamenti del secolo, del percorso interiore della donna e delle sue conoscenze, riconducibili alla mistica medievale e ispirate dai testi in volgare trecenteschi e quattrocenteschi.
Morì a Genova nel 1587.
Oggetto di un’intensa devozione locale, il 22 giugno 1972 fu proclamata venerabile da papa Paolo VI.
Opere. Una lunga azione di espunzione e revisione, intrapresa a partire dagli anni Settanta del Cinquecento da Gasparo Scotto, fu portata a termine un anno dopo la morte, allorquando fu presentata la prima pubblicazione degli scritti, in tre volumi: Opere spirituali della reverenda et devotissima vergine di Christo, donna Battista da Genova, canonica regolare lateranense (Venezia, F. Ziletti, 1588). Questa edizione fu arricchita nel 1602 dall’epistolario e da un profilo agiografico della suora, scritto dal lateranense Dionigi Capretti, che ne contestualizzò l’esperienza religiosa, centrata principalmente sull’esercizio dell’umiltà e dell’obbedienza, all’interno dei canoni tridentini (Delle opere spirituali della reverenda et divotissima vergine di Christo donna Battista da Genova canonica regolare lateranense, Verona, 1602, I-IV). Una Nuova ristampa delle opere spirituali della madre donna Battista Vernazza canonica regolare lateranese nel monastero di Santa Maria delle Grazie di Genova, vide la luce, in sei volumi, a Genova nel 1755.
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