NAPOLI, Tomaso Maria (Francesco Tomaso Antonio)
– Figlio di Domenico e Giovanna, nacque a Palermo il 16 aprile 1659, quarto di sette figli. Fu battezzato col nome di Francesco Tomaso Antonio nella parrocchia di S. Giacomo dove la famiglia risiedeva e nella quale era compreso anche il quartiere degli orafi.
Si ipotizza che il padre sia stato un importante orafo, così come lo zio Francesco Tomaso, considerato il reiterarsi del loro cognome tra le maestranze attive a Palermo nel Settecento (Neil, 2004; Scaduto, 2007).
Fu probabilmente avviato al mestiere di orafo, ma nel 1676 entrò nel convento di S. Domenico a Palermo dedicandosi allo studio di teologia, matematica e architettura. Assegnato al convento domenicano della città di Napoli nel 1679, tornò presto in quello palermitano, divenendone nel 1682 padre lettore e assumendo il nome di Tomaso Maria.
L’attività di architetto di Napoli è documentata a partire dal 1686, tre anni dopo la morte di Andrea Cirrincione (1683), progettista della ricostruzione della chiesa di S. Domenico a Palermo (Sarullo, 1993), del quale certamente fu allievo e collaboratore (Neil, 2004). Appena due anni dopo, però, probabilmente spinto dal desiderio di allargare le sue conoscenze, si recò a Roma, dove compose il trattato Utriusque architecturae compendium in duos librum divisum, edito nel 1688 a Roma da Giovan Battista Moli.
I due libri riguardano l’architettura civile e militare secondo i principi di Vitruvio e dei maestri del classicismo, tra cui Alberti, Scamozzi, Vignola e Palladio a cui fa esplicito riferimento. L’opera, dedicata a Carlo Fontana, nello studio del quale l’autore consolidò la formazione professionale e a cui riconosceva «illuminante magistero e largo mecenatismo» (Barresi, 2003, p. 391), intendeva divulgare in 53 pagine complessive le regole fondanti di entrambe le architetture.
Il soggiorno romano fu però brevissimo, se già nel 1689 Napoli risulta impegnato nella ricostruzione della cattedrale di Ragusa (odierna Dubrovnik). Giunto in questa città nella primavera del 1689 su invito del Consiglio dei pregadi, vi rimase per circa nove anni, intervallando il soggiorno con brevi viaggi a Vienna, probabilmente al seguito del principe Eugenio di Savoia, quale ingegnere militare nelle guerre contro i turchi (Meli, 1938-39). In tal modo consolidò la sua formazione professionale, sì da esser considerato «il solo architetto siciliano che conservi vivide tracce del barocco austriaco» (Brandi, 1985).
La cattedrale ragusana era stata riedificata da Andrea Buffalini dopo il terremoto che aveva devastato la città nel 1667. Napoli intervenne con alcune modifiche nella modellazione del sistema della finestratura superiore e della volta a crociera che avrebbe sostituito la volta a botte, conferendo all’intera struttura maggiore plasticità rispetto al repertorio linguistico del progetto originario.
In qualità di architetto della Repubblica di Ragusa, carica che tenne dal 1689 al 1700, è probabile che sia intervenuto in moltissimi cantieri cittadini, revisionando le fortificazioni e occupandosi anche di architettura effimera, quale la tomba del Cristo per il Venerdì Santo del 1691 (Prijatelj, 1958). Fu anche impegnato nel restauro del palazzo del Rettore e nell’ultimazione di palazzo Sorkočević, conclusi entrambi da Nicola del Gaudio (Horvat-Levaj, 2007).
Tornò nella città natale nel 1711, probabilmente richiamato per dirigere i lavori della fabbrica di S. Domenico, dopo che Andrea Palma aveva abbandonato la direzione del cantiere, forse per «una controversia col capomastro» (Neil, 2004). Divenne il reale responsabile dell’importante edificio sino alla morte, malgrado l’avvicendarsi di altri architetti nel corso degli anni. Le esperienze acquisite durante i soggiorni lontano da Palermo gli conferirono fama e notorietà, tanto da essere eletto «ingegnere militare» (Meli, 1938-39) quale coadiutore dell’architetto del Senato, Paolo Amato, sino al 1713. Furono anni di intenso lavoro, perché, malgrado fosse occupato nella direzione della fabbrica domenicana, ricoprì anche altri importanti incarichi sia per ordini religiosi sia per committenti privati. Dal marzo 1712 sino all’anno successivo lavorò al completamento nel monastero dei Sett’Angeli sul Cassaro, nei pressi della cattedrale palermitana, distrutto nel secolo scorso. Le committenze private rappresentarono però gli impegni principali di questo periodo. Nel 1712 la principessa Anna Maria Gravina Valguarnera gli chiese il disegno di un «casino con tutte le stanze e officine nella contrada della Bagheria» (Scaduto, 2007).
Esaltando le qualità del sito, di notevole bellezza, Napoli ideò un blocco parallelepipedo in posizione dominante il paesaggio circostante. L’articolato prospetto principale, definito dall’ordine gigante corinzio, affacciato su uno spazio pressoché ellittico chiuso da due braccia formate dai corpi bassi della villa, rientra nella zona centrale per contenere uno scalone composto da due rampe sinuose. La villa, dai caratteri solenni e monumentali e dai chiari riferimenti all’architettura rinascimentale e barocca, si coniuga perfettamente con l’amenità dei luoghi e fu considerata, fin dal Settecento, «una delle più belle e magnifiche dell’isola (Descrizione, 1785).
A Napoli fu attribuita agli inizi del secolo scorso anche la realizzazione di villa Palagonia (Agati, 1905), conosciuta come ‘villa dei mostri’, di proprietà del principe Ferdinando Francesco Gravina Cruillas e Bonanno e, malgrado non siano riscontrabili fonti certe in proposito a causa della dispersione di parte dell’archivio Palagonia, la sua paternità non è stata più contestata. È certo che nel 1715 si formarono i «capitoli d’oneri» (Scaduto, 2007) per la costruzione di una villa a pianta concava pseudo-pentagonale, con chiari riferimenti a costruzioni fortificate come villa Farnese a Caprarola, inserita in fondo a un lungo viale d’accesso e circondata da una recinzione circolare tendente a realizzare una ‘spazialità chiusa’ rispetto al paesaggio circostante.
Nel 1721, con l’arrivo dei regnanti asburgici in Sicilia Napoli, probabilmente in virtù dell’antica collaborazione con la corte viennese, fu nominato «Architetto del Regno e della Real Camera» (Neil, 1995), incarico che ricoprì dal 1722 al 1725 con il principale compito di soprintendere agli edifici militari. Per celebrare l’arrivo di Carlo d’Asburgo pose sul terrapieno della fortezza palermitana del regio Castello a mare la statua di S. Giovanni Nepomuceno, martire boemo e protettore dei ponti (oggiconservata inunacappelladellachiesa diS.MariadegliAngeli a Palermo).
A Eugenio di Savoia dedicò due compendi di architettura militare (Breve trattato dell’architettura militare moderna cavato dai più insigni autori, Palermo 1722; Breve ristretto dell’architettura militare e fortificazione offensiva e difensiva, ibid. 1723), indirizzati, probabilmente, alla formazione dei giovani studiosi del seminario domenicano (Neil, 2004; Scaduto, 2007) e in cui guarda principalmente alle opere del matematico Jacques Ozanam e del maresciallo Sébastien Le Prestre de Vauban «tra i massimi teorici in Europa dell’arte di edificare» (Scaduto, 2007).
L’opera più rilevante di quegli anni fu la sistemazione della piazza davanti alla chiesa di S. Domenico, il cui ingrandimento era stato avviato sin dagli anni Quaranta del XVII secolo, a seguito del progetto di Cirrincione. Sin dal 1717, i monaci avevano avviato la procedura di acquisto di alcune case intorno all’area del convento, con il proposito di allargare e regolarizzare lo spazio adiacente la chiesa. Era necessario, in particolare, creare uno spazio antistante il prospetto principale del nuovo edificio, per celebrarne la maestosa facciata, e l’idea di Napoli fu quella di disporre «nobil teatro ad ornamento della sua chiesa» (Mongitore, Memorie, sec. XVIII), innalzando una statua in bronzo della Madonna del Rosario sopra una colonna votiva in marmo, ispirata alla colonna della Madonna della Platz am Hof di Vienna.
Il progetto assumeva anche un significato politico in coincidenza dell’arrivo in Sicilia di Carlo VI e della consorte Elisabetta di Brunswick, che sarebbero stati celebrati con statue adiacenti la colonna votiva (Aricò - Guidoni, 1983), e nel 1724, per presentarlo all’imperatore a Vienna, Napoli preparò un modello della colonna, oggi perduto, ma individuabile in una medaglia raffigurante il monumento. Successivamente il progetto fu aspramente criticato da Giovanni Biagio Amico, che lo definì «miserabile e senza niuna magnificenza» e, nel 1728, lo trasformò, ingrandendolo e arricchendo di nuovi mensoloni e ornamenti il basamento del piedistallo. L’opera di Napoli fu invece celebrata dal pittore Francesco Sortino in un quadro, anch’esso perduto, che rappresentava il frate domenicano accanto alla colonna dell’Immacolata, a testimonianza della sua notorietà in quegli anni (Boscarino, 1961).
Ancora impegnato nella riparazione del campanile destro della chiesa di S. Domenico danneggiato da un fulmine (Barilaro, 1971), Napoli è citato nella cronaca di Mongitore, in data 6 aprile 1724, per la progettazione, sul lato meridionale della cattedrale di Palermo, di un imponente «Teatro per il Trionfo della Santa Fede», in legno, commissionato dal «Sant’Uffizio dell’Inquisizione e del Senato» di Palermo.
Morì a Palermo, nel convento di S. Domenico, il 12 giugno 1725.
Fonti e Bibl.: J. Quétif - J. Échard, Scriptores Ordinis Praedicatorum, II, Paris 1721, p. 719; A. Mongitore, Memorie dei pittori, scultori, architetti, artefici in cera siciliani (sec. XVIII), a cura di E. Natoli, Palermo 1977, pp. 145 s.; Id., Diario palermitano… dal 1° gennaio del 1720 al 23 dicembre del 1736, in Diari della città di Palermo dal sec. XVI al XIX, a cura di G. Di Marzo, in Biblioteca storica e letteraria di Sicilia, IX, Palermo 1896, passim; L. Olivier, Annali del real convento di S. Domenico di Palermo (1779-84), a cura di M. Randazzo, Palermo 2006, p. 285; Descrizione della villa Valguarnera, Palermo 1785; A. Gallo, Notizie intorno agli architetti siciliani e agli esteri soggiornanti in Sicilia da’ tempi più antichi fino al corrente anno 1838, inI manoscritti di Agostino Gallo, a cura di C. Pastena, II, a cura di A. Mazzè, Palermo 2000, pp. 122 s.; V. Marchese, Memorie dei più insigni pittori, scultori e architetti domenicani, II, Bologna 1879, pp. 496-498; M. Stinco, Biografie ed elogi funebri, Palermo 1879, pp. 39-42; S. Agati, La villa Palagonia, in Sicilia illustrata, Palermo 1905, passim; F. Meli, Degli architetti del Senato di Palermo nei secoli XVII e XVIII, in Archivio storico siciliano, IV-V (1938-39), pp. 448 s.; V. Ziino, Documenti e testimonianze sulla costruzione della villa Valguarnera, in Atti del VII Congresso nazionale di storia dell’architettura, Palermo 1956, pp. 229-333; K. Prijatelj, Documenti za historiju Dubrovačke barokne arhitekture [Documenti di storia dell’architettura barocca a Dubrovnik], in Tkalčićev zbornik [Atti di Tkalčićev], II, Zagreb 1958, pp. 129, 148 s.; S. Boscarino, Studi e rilievi di architettura siciliana, Messina 1961, p. 23; A. Barilaro, S. Domenico di Palermo Pantheon degli uomini illustridi Sicilia, Palermo 1971, p. 58; N. Aricò - E. Guidoni,La geometria come principio. Momenti della progettazione urbana Palermo nei secoli XVII e XVIII, in Abitare a Palermo. Due palazzi e la loro storia tra Cinquecento e Ottocento, Roma 1983, pp. 31-38; M. Barresi, Villa Palagonia e villa Valguarnera, in Monumenti d’Italia. Ville e giardini, Novara 1984, pp. 471-473, 476-479, 498 s.; C. Brandi, Disegno dell’architettura italiana, Torino 1985, p. 263; R. Scaduto, Il frate di villa Palagonia, in Il Paese,1985, n. 2, pp. 71-80; M.A. Coniglione - S. Forte, Il libro dei frati professi del convento di S. Domenico di Palermo, II, Receptiones post Concilium Tridentinum 1575-1813, inArchivum fratrum praedicatorum, LV (1985), pp. 115-274; L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani, I, Architettura, a cura di M.C. Ruggieri Tricoli, Palermo 1993, pp. 317 s.; E.H. Neil, Architecture in context: the villas of Bagheria, Sicily, Cambridge, MA, 1995; Id., Architects and architecture in 17th and 18th century in Palermo: new documents, in Annali di architettura del CISA, 1995, n. 7, pp. 159-176; E. Wilberding, T.M. N. and Utriusque Architecturae Compendium (1688), in Gazette des beaux-arts, CXXVII (1996), pp. 107-112; S. Boscarino, Sicilia barocca. Architettura e città. 1610-1760, Roma 1997, pp. 224-228; R. Scaduto, Un segno della cultura barocca europea a Bagheria. L’arco della Ss. Trinità di villa Palagonia, Bagheria 1999, pp. 1-40; M. Barresi, T.M. N., architetto e trattatista sedicente vitruviano in Vitruvio nella cultura architettonica antica, medievale e moderna. Atti del Convegno internazionale, Genova… 2001, a cura di G. Ciotta et al., Genova 2003, pp. 390-399; K. Horvat-Levaj, Strani projektanti i domaća tradicija u dubrovaćkoj baroknoj arhitektur [Progettisti stranieri e nazionali dell’architettura barocca a Dubrovnik], in Zbornik I Kongresa hrvatskih povjesničara umjetnosti. Zagreb… 2001 [Atti del I Congresso di storia dell’arte croata. Zagabria … 2001], Zagreb 2004, pp. 75-85; E. Neil, L’architetto T.M. N. O.p. (1659-1725), in Ferdinando Sanfelice. Napoli e l’Europa, a cura di A. Gambardella, Napoli 2004, pp. 365-375; K. Horvat-Levaj - R. Seferovic, Baroque reconstruction of the rector’s palaceinDubrovnik, in Dubrovnik Annals, X (2006), pp. 87-122; K. Horvat-Levaj, T. N. u Dubroviniku [T. N. a Dubrovnik], in Umjetnički dodiri dviju jadranskih obala u 17. i 18. stoljeću [Arte nelle due coste adriatiche tra XVII e XVIII secolo], Split 2007, pp. 31-52; R. Scaduto, Villa Palagonia: storia e restauro, Bagheria 2007, pp. 79-119; L. Olivier, Annali del real convento di S. Domenico di Palermo (1779-84), a cura di M. Randazzo, Palermo 2006, p. 285; U. Thieme - F. Becker,Künstlerlexikon,XXV, p. 342.