TOMASI, Pietro marchese della Torretta
– Nacque a Palermo il 7 aprile 1873 da Giuseppe, principe di Lampedusa, e da Stefania Papè e Vanni, dei principi di Valdina, secondogenito di una famiglia di antico lignaggio i cui membri avevano nel tempo ricoperto alte cariche politiche, militari ed ecclesiastiche.
Laureatosi in giurisprudenza a Palermo nel 1895, nel 1898 vinse il concorso per volontario nella carriera diplomatica, quando, dopo il convulso periodo crispino, la politica estera era tornata nelle mani di Emilio Visconti Venosta e l’amministrazione centrale del ministero degli Affari esteri in quelle di Giacomo Malvano. Prima destinazione di una carriera destinata a svolgersi tutta in sedi di inner circle fu Vienna, dove ebbe la possibilità di entrare in contatto con Costantino Nigra, che ne giudicò molto positivamente il profilo (Rapporto del 1° gennaio 1899, Archivio storico diplomatico, Personale, Serie I, Diplomatici e consoli, pos. T 26). Fu poi inviato come addetto di legazione a Pietroburgo, dove trovò come capomissione Roberto Morra di Lavriano, che lo ebbe in grande considerazione, patrocinandone a più riprese l’avanzamento a segretario di legazione, ruolo al quale fu promosso soltanto nel 1905.
Nel movimento diplomatico effettuato dal ministro Tommaso Tittoni nel 1906, fu destinato in un primo tempo a Vienna, per poi invece essere confermato a Pietroburgo nel settembre di quell’anno, sede nella quale Morra era stato sostituito da Giulio Melegari. In quella prima fase della sua esperienza professionale in Russia si occupò prevalentemente di problemi economici, con particolare riguardo alla legislazione industriale e ai rapporti commerciali italo-russi.
Promosso segretario di legazione di seconda classe nel 1907 e in servizio al ministero, nel 1910 Tomasi della Torretta fu nominato capo di gabinetto del ministro degli Esteri Antonino di San Giuliano, ciò che costituì per lui un’importante lezione di politica e di diplomazia, in anni di rinnovato dinamismo della politica estera italiana. Promosso consigliere di legazione di seconda classe nel 1911 e tornato a Pietroburgo, fu da quella sede che seguì le vicende della guerra italo-turca, in ligia esecuzione delle istruzioni ministeriali. Si trattava di rassicurare il governo imperiale che l’iniziativa italiana non andasse a turbare l’equilibrio tra le potenze europee. Già in buoni rapporti con Alexandr Petrovič Izvolskij, il ministro degli Esteri degli accordi di Racconigi, ebbe buone relazioni anche con il suo successore Sergej Dmitrievič Sazonoff, il cui atteggiamento giudicò «leale, amichevole ed energico» (Tomasi della Torretta a di San Giuliano, 1° maggio 1912, Documenti diplomatici italiani, Quarta serie, VII-VIII, p. 848) e attraverso il quale capì che negli sviluppi della guerra italo-turca non vi erano possibilità né di una intesa tra Russia e Austria-Ungheria, persistendo il risentimento per la crisi balcanica del 1908-09, né di un riavvicinamento con la Germania, né tantomeno di un accordo a tre comprendente anche Costantinopoli, tendente a garantire l’integrità del territorio ottomano. Nell’ottobre del 1912 Tomasi della Torretta poteva trasmettere a Roma ampie rassicurazioni che la Russia avrebbe riconosciuto la piena sovranità dell’Italia sulla Libia indipendentemente dalle risoluzioni delle altre potenze (ibid., p. 1171).
Trasferito a Monaco di Baviera con credenziali di inviato straordinario e ministro plenipotenziario nel 1913, nel gennaio del 1914 fu promosso consigliere di legazione di prima classe e, quasi un anno dopo, al ruolo di inviato straordinario e ministro plenipotenziario di seconda classe, svolgendo servizio al ministero sino a tutto il 1916. Fu successivamente nominato capo di una missione commerciale italiana in Russia che si chiuse nel marzo del 1917, proprio quando stava per crollare il potere zarista. Con decreto 18 novembre 1917 Tomasi della Torretta fu destinato ancora in Russia con il compito di reggere l’ambasciata di Pietrogrado, dove arrivò qualche settimana dopo le elezioni dell’Assemblea costituente. Anche in quel caso si dimostrò fedele esecutore delle direttive ministeriali nel senso di una ferma avversione a concessioni nei confronti del governo massimalista di Lenin. Si trovò a fronteggiare una delicatissima situazione, informando prontamente Roma sulle intenzioni di pace con la Germania del governo bolscevico, mettendone in evidenza le potenzialità rivoluzionarie per il rischio di effetti deleteri sul fronte interno italiano. Pur battendo molto sulle difficoltà in cui si barcamenava il potere bolscevico, fu consapevole della determinazione con la quale veniva condotto il processo rivoluzionario.
Come ha scritto Giorgio Petracchi (1993), Tomasi della Torretta fu «il diplomatico che più dei suoi predecessori fece uno sforzo per capire il bolscevismo» (p. 180).
È noto tuttavia il suo sgomento per i metodi poco ortodossi del governo di Lenin nei confronti dei rappresentanti degli Stati esteri, come in occasione dell’arresto del ministro di Romania Constantin Diamandy per ritorsione nei confronti dell’operato delle truppe romene contro quelle russe, che provocò lo sdegno di tutto il corpo diplomatico (Tomasi della Torretta a Sidney Sonnino il 16 gennaio 1918, Documenti diplomatici italiani, Quinta serie, X, pp. 63 s.). Si applicò con grande energia perché non ci fossero cedimenti sul fronte degli Alleati e assunse un ruolo di punta nel partito dell’intransigenza. Per questo suo atteggiamento, fu egli stesso vittima di un’aggressione da parte di tre uomini all’uscita di una riunione del corpo diplomatico: fu l’ambasciatore francese Joseph Noulens a confermargli che a compiere il gesto erano stati tre emissari del governo dei Soviet (Tomasi della Torretta al ministero, 26 gennaio 1920). Nello scioglimento dell’Assemblea costituente Tomasi della Torretta vide il pretesto per l’abbandono di Pietrogrado da parte delle missioni diplomatiche alleate, strategia pienamente condivisa da Sidney Sonnino, che nell’interpretazione del diplomatico avrebbe costituito «l’ultimo colpo nel completo fallimento del regime massimalista» (lettera a Sonnino, 16 marzo 1918, p. 348). Lasciata tra molte difficoltà la città il 3 marzo 1918 si spostò a nord-ovest – a Vologda, poi a Kandalakša, Murmansk e successivamente ad Arcangelo – dove assistette con favore alla costituzione di un governo composto da membri della disciolta Assemblea costituente e pressò per una partecipazione italiana alla spedizione militare interalleata che avrebbe dovuto combattere i bolscevichi. Informato da Sonnino ai primi di agosto del 1918 che il governo italiano aveva deciso l’invio di un contingente militare analogo a quello degli Alleati, Tomasi della Torretta dovette registrare le crescenti difficoltà militari su quel fronte, determinate anche dai ripetuti episodi di ammutinamento, che crebbero dopo l’armistizio sul fronte occidentale.
Destinato nel 1919 come delegato e consigliere tecnico alla Conferenza della pace di Versailles, in cui si occupò della questione orientale, con regio decreto 26 ottobre 1920 fu destinato a Vienna, trovandosi nuovamente nella delicata posizione di dover riallacciare buone relazioni diplomatiche con l’ex nemico. In quello stesso anno sposò la cantante lirica Alice Barbi, vedova del barone Boris Wolff-Stomersee, già uomo di corte dello zar e dal quale Alice aveva avuto due figlie, Alessandra e Olga. Dal matrimonio con Barbi non nacquero figli (v. la voce in questo Dizionario).
Il 7 luglio 1921 Tomasi fu nominato ministro degli Esteri del governo Bonomi. Nell’interpretazione del senatore Vittorio Rolandi Ricci, che non lo aveva in grande considerazione, si trattò di una «designazione di Contarini» (Rolandi Ricci a Giovanni Giolitti, 28 agosto 1921, in Dalle carte di Giovanni Giolitti..., III, a cura di C. Pavone, 1962, p. 342), al tempo potentissimo segretario del ministero, nome di punta del ‘clan dei siciliani’ e gradito ai nazionalisti. In quella occasione, il conte Carlo Sforza confessò a Giolitti il suo pentimento nell’aver suggerito a Bonomi il nome di della Torretta, ritenendolo un «continuatore» della linea da lui intrapresa e invece ora troppo sensibile «agli elogi del Giornale d’Italia e dell’Idea Nazionale» (Sforza a Giolitti, 18 novembre 1921, p. 357).
A questo proposito, Giorgio Rumi (1968, pp. 160-166) ha ben ricostruito l’accoglienza positiva del nome del diplomatico siciliano negli ambienti nazionalisti e anche fascisti, che confidavano in un cambio di passo rispetto alla condotta di Sforza. Contrariamente al suo predecessore, infatti, abbandonò la linea di sostegno dell’Italia ai Paesi della Piccola Intesa e puntò invece a un ruolo importante di Roma in un blocco continentale di rinnovata collaborazione tra Austria e Ungheria e con attenzione alla ripresa dei rapporti con la Germania (Monzali, 2018, p. 94), ciò che doveva impensierire sia Praga sia Belgrado e che spiega la posizione dell’Italia rispetto alla questione della conservazione del Burgenland all’Austria. Per quanto riguarda i rapporti con le grandi potenze cercò un’intesa con l’Inghilterra, appoggiandola in Consiglio supremo per la soluzione della questione dell’Alta Slesia in senso a essa favorevole, cercando in cambio un appoggio per la tutela degli interessi italiani nel Mediterraneo orientale e per l’acquisizione di una influenza predominante in Albania, intesa che fallì per il rifiuto del Foreign office (Micheletta, 1999, p. 743). Tentò quindi di mantenere una posizione di equidistanza, nel rispetto della tradizione diplomatica di matrice liberale, evitando il rischio di una emarginazione dell’Italia, ciò che spiega la sua prudenza in occasione della Conferenza di Cannes sulle riparazioni, quando non risparmiò critiche all’idea di un patto difensivo anglo-francese (p. 745). Un sicuro successo furono invece i risultati della Conferenza sul disarmo di Washington in cui l’Italia ottenne la parità della dotazione navale con la Francia.
Già nominato senatore nel 1921 per la categoria 5, quella riservata ai ministri segretari di Stato, dopo l’esperienza di governo, che si concluse nel febbraio del 1922, nel novembre dello stesso anno fu destinato a Londra con credenziali di ambasciatore, ruolo al quale fu nominato il 31 dicembre 1923. Fu collocato a riposo per «contingenze di servizio» con decorrenza 3 agosto 1928, un provvedimento di natura politica finalizzato a eliminare un esponente della diplomazia tradizionale che, secondo Fabio Grassi Orsini (2015, p. 1097), si spiega per la necessità da parte di Benito Mussolini di liberare la sede di Londra e destinarvi Antonio Chiaromonte Bordonaro, in modo tale da eliminare, dopo il ‘siluramento’ di Salvatore Contarini, anche la carica di segretario generale e non avere più ostacoli nella gestione della macchina amministrativa.
Da quel momento iniziò un percorso di non allineamento di della Torretta al regime fascista: non si iscrisse mai al Partito nazionale fascista e fece parte della piccola ma autorevole opposizione in Senato. Fu tra coloro che nel 1943, prima del 25 luglio, chiesero al re di convocare la Camera alta per discutere della situazione politica con l’obiettivo di sfiduciare Mussolini (ibid., p. 1098). In riconoscimento di questa opposizione al fascismo fu designato nel luglio del 1944 presidente del Senato, carica ‘virtuale’ in assenza di camere rappresentative, ma di grande significato nel segno della volontà di ripristino di un sistema parlamentare bicamerale, di cui era un convinto sostenitore. Ebbe poi un ruolo nella transizione democratica in seno alle componenti moderate e monarchiche: nel 1944 fu vicino ad Alberto Bergamini nella Concentrazione democratico liberale ed entrò in Consulta nazionale, per poi aderire al Partito democratico di Enzo Selvaggi approvando la scelta di Umberto II di lasciare il Paese dopo il risultato referendario. Si schierò contro la firma del trattato di pace del 1947, ma non si associò all’attacco di Vittorio Emanuele Orlando contro Alcide De Gasperi, e dissentendo comunque dall’impostazione che alla politica estera aveva dato Sforza, ritenendo che l’Italia dovesse rimanere neutrale tra i due blocchi, posizione che fu poi indebitamente sfruttata dai partiti di sinistra.
Nominato senatore della Repubblica di diritto nel 1948, morì a Roma il 4 dicembre 1962.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, Carte Pietro Tomasi della Torretta; Ministero degli Affari esteri, Archivio storico diplomatico, Personale, Serie I, Diplomatici e consoli (1860-1972), pos. T 26; Ambasciata d’Italia a Pietrogrado, bb. 34-38; Ambasciata d’Italia a Vienna, bb. 250-260; Ambasciata d’Italia a Londra, bb. 530-540, 550-557, 572-581, 593-601, 614-621, 634-643, 660-669; Documenti diplomatici italiani, Serie terza (1896-1907, vol. VIII); Serie quarta (1903-14, voll. V,VI, VII, VIII, XII; Serie quinta (1914-18, voll. I, III, VII-XI); Serie sesta (1918-22, voll. I, III); Serie settima (1922-35, voll. I-V, VII); Dalle carte di Giovanni Giolitti. Quarant’anni di politica italiana, III, a cura di C. Pavone, Milano 1962, pp. 341-343, 346, 357.
G. Rumi, Alle origini della politica estera fascista, Bari 1968, pp. 135, 151 s., 160-166; G. Petracchi, La Russia rivoluzionaria nella politica italiana 1917-25, Roma-Bari 1982, pp. 16 s. e passim; La formazione della diplomazia nazionale (1861-1915). Repertorio bio-bibliografico dei funzionari del Mae, Roma 1987, ad nomen; G. Petracchi, Da San Pietroburgo a Mosca. La diplomazia italiana in Russia 1861-1941, Roma 1993, p. 97 e passim; L. Micheletta, Italia e Gran Bretagna nel primo dopoguerra, Roma 1999, p. 9 e passim; F. Lucifero, L’ultimo re. I diari del ministro della Real Casa 1944-1946, a cura di F. Perfetti, Milano 2002, p. 114 e passim; B. Croce, Taccuini di guerra, 1943-1945, a cura di C. Cassani, Milani 2004, p. 223; F. Grassi Orsini, T. della T. P., in Dizionario del liberalismo italiano, II, Le biografie, Soveria Mannelli 2015, pp. 1094-1098; L. Monzali, Francesco Tommasini. L’Italia e la rinascita della Polonia indipendente, Roma 2018, pp. 94-96.