tolleranza
Il rispetto della diversità
Il principio di tolleranza si è affermato originariamente in riferimento alla religione come riconoscimento della libertà di coscienza in nome della coesistenza pacifica di tutte le confessioni e degli orientamenti di fede. In senso più vasto, la tolleranza è intesa come libertà di coscienza, come rispetto di tutte le convinzioni non solo in materia di religione, ma anche di politica, morale e scienza
È dopo la Riforma, nelle lotte che contrapposero l’una all’altra le varie parti della cristianità, che il principio della tolleranza come riconoscimento del diritto alla libertà religiosa comincia ad affacciarsi quale elemento indispensabile della vita civile, diventando oggetto di un’intensa riflessione filosofica.
Già nel Medioevo s. Tommaso d’Aquino aveva sostenuto che si potevano tollerare, cioè sopportare, le differenze di culto fra cristiani, ebrei e musulmani, facendo propria l’idea di s. Agostino che la fede, opera della grazia, non può essere imposta dagli uomini. Gli intellettuali del Rinascimento dal canto loro avevano nutrito il progetto di una religione filosofica capace di risolvere i conflitti tra i seguaci delle diverse religioni. Tuttavia l’argomento fondamentale a favore della tolleranza fu avanzato nel 1670 dal filosofo olandese Baruch Spinoza, che difese la libertà di pensiero sostenendo che non si può reprimere la coscienza.
Nel 1689 il filosofo inglese John Locke, nella Epistola sulla tolleranza, sostenne che gli articoli di fede non possono essere imposti dalla legge civile, perché credere non dipende dalla nostra volontà e le credenze non hanno nessuna relazione con i diritti civili degli altri uomini. La Chiesa è una società privata, libera e volontaria, nella quale non si deve essere costretti a entrare e dalla quale si deve poter uscire senza subire conseguenze di carattere civile. Locke riteneva che la tolleranza avrebbe assicurato concordia e tranquillità alla società civile, perché Chiese diverse, private di potere politico, avrebbero potuto convivere in pace e nessuna di esse avrebbe potuto costituire una minaccia per il sovrano.
Nella cultura francese l’idea di tolleranza si affermò alla fine del Seicento soprattutto attraverso la polemica del pensatore Pierre Bayle contro il dogmatismo e la pretesa di imporre con la forza convincimenti religiosi. Dopo il 1750 la Francia fu inondata da scritti sulla tolleranza, tra i quali il maggior successo arrise al Trattato sulla tolleranza di Voltaire, pubblicato nel 1763, che riconduceva la tolleranza alla regola «non fare agli altri ciò che non si vorrebbe fatto a sé stessi».
Alla fine del Settecento si afferma l’idea che Stato e religione costituiscano due sfere distinte, e il principio della tolleranza approderà via via nelle costituzioni e nelle varie dichiarazioni dei diritti: nel 1789 l’Assemblea costituente francese inserì la libertà di coscienza tra i diritti dell’uomo; nel 1791 l’esempio fu seguito dalla Costituzione federale degli Stati Uniti.
Alla fine di questo cammino si afferma un concetto della tolleranza intesa come libertà in senso più ampio, non soltanto religioso. Già nella Costituzione francese del 1793, che riconosceva «il diritto di manifestare il proprio pensiero e le proprie opinioni», si affaccia la tendenza a ricondurre la tolleranza alla libertà. La tolleranza s’identifica quindi progressivamente con la libertà di coscienza, che il filosofo inglese John Stuart Mill, nel trattato Sulla libertà pubblicato nel 1859, definiva come «libertà di pensare e di sentire, libertà assoluta di opinione e sentimento su qualsiasi tema, pratico o speculativo, scientifico, morale o teologico».
In un ulteriore ampliamento del suo significato, il principio di tolleranza diventerà sinonimo di pluralismo non soltanto delle idee, ma anche della varietà degli stili di vita degli uomini.
L’unico limite alla tolleranza intesa come libertà è dato dalla proibizione di infliggere un danno a qualcuno. Le differenze, cioè, possono e devono essere tollerate o riconosciute solo nella misura in cui non arrecano danni a nessuno, e quindi non violano i diritti fondamentali della persona, né mettono a repentaglio la costituzione stessa della società, la possibilità di una convivenza pacifica tra individui e gruppi eterogenei.