TOGA (toga, da tego "copro")
Era il principale capo di vestiario del cittadino romano. Non risulta che venisse mai usata come unico indumento maschile. Normalmente veniva indossata al disopra della tunica, che perciò raramente poteva apparire alla vista. La forma primitiva, di un'estrema semplicità, è quella del drappo tessuto, quale veniva fuori dal telaio casalingo. Non è quindi necessario ritenere la toga come derivata ai Romani dall'Etruria: l'influsso di questa poté esercitarsi invece sugli elementi accessorî, decorativi.
Le fonti letterarie e monumentali, integrandosi a vicenda, ci dànno una visione storica pressoché completa del soggetto. Plinio (Nat. Hist., VIII, 74; IX, 63) afferma come d'origine etrusca non la toga in sé, ma la toga praetexta, la quale lungo il lato principale si adornava di un largo bordo rosso, che valse dapprima come distintivo della dignità regia, e successivamente come distintivo del grado di console e delle più alte cariche statali e sacerdotali.
Ciò non impedì che la toga praetexta venisse adottata anche come veste dei giovinetti di libera condizione, detti perciò praetextati. All'età di sedici anni, con una cerimonia solenne, i giovinetti romani sostituivano la toga praetexta con la toga virilis, o pura, così detta per essere interamente bianca. Il tessuto della toga doveva essere in origine di lana: in seguito si ebbero toghe di tessuto anche più sottile, di lino.
La toga era considerata l'indumento nazionale ancora al tempo di Augusto, il quale aveva vietato ai cittadini di comparire nel Foro senza di essa (Suet., Aug., 40, 5). Così anche sul teatro fu detta fabula praetexta la tragedia di soggetto romano.
Un problema specialmente arduo è quello costituito dalla forma e dalle dimensioni della toga, l'una e le altre modificatesi attraverso i secoli, e in varia maniera perciò ricostruibili in base ai monumenti figurati. Specialmente importanti al riguardo le opere statuarie. Il più antico esempio di statua togata è quello della statua di arte etrusco-romana, detta l'"Arringatore" (Firenze, Museo archeologico; v. etruschi, XIV, tav. lxxxvi). Si riconosce qui un tipo simile a quello di un mantello: si trattava, in realtà, di un'ampia superficie semicircolare di stoffa, con probabili smussature agli estremi. Dopo un primo lembo gettato sulla spalla sinistra, il resto della toga era fatto passare sotto l'ascella destra, finché anche il lembo opposto andava a ricadere sopra la spalla sinistra. Il braccio sinistro rimaneva così coperto dalla toga; perfettamente visibile e libero invece il braccio destro.
A seconda delle dimensioni la toga si disponeva intorno alla persona con una ricchezza maggiore o minore di pieghe. Già nell'ultimo secolo della repubblica la toga virile romana era divenuta molto più ampia di quanto si usava nel sec. III-II a. C., tanto da arrivare comodamente sino alle caviglie, e da avvolgersi intorno alla persona, con grande abbondanza di pieghe. I rilievi dell'Ara Pacis Augustae (13 a. C.) esibiscono, sulle varie fogge di portare la toga in Roma, una documentazione varia e interessante. Prevale qui, naturalmente, quella che è la foggia tradizionale. Ma è pure frequente una foggia più ricercata e meno pratica, che si potrebbe dire greca, consistente nel coprire della toga anzitutto il dorso con ambe le spalle, e facendo descrivere dalla toga sul petto una specie di insenatura (sinus), da cui viene fuori obliquamente la mano destra. La medesima varietà di fogge in uso presso gli adulti si trovano sugli stessi rilievi adottata per i fanciulli in toga praetexta.
L'"Augusto di Via Labicana" (v. augusto, V, fig. a p. 349) ci dimostra il modo particolare che veniva tenuto nell'indossare la toga nei sacrifici. La toga imperiale è così ampia da potersi ritenere il doppio di quella primitiva dell'"Arringatore". Essendo obbligatorio di sacrificare a capo coperto (capite velato), la toga veniva dal sacrificante rialzata sulla nuca fino a ricoprire anche la testa. Ciò malgrado, la toga risulta di una tale ampiezza che i lembi di essa toccano terra. Anche la toga imperiale si adornava di una fascia di porpora. La maniera poi come la toga si veniva avvolgendo intorno alla persona è del tutto simile a quella dell'"Arringatore": sono soltanto più numerose e più abbondanti, in grazia dell'ampiezza, le sue insenature.
Sulla maniera di indossare la toga e di disporne le ricche pieghe sul petto e intorno alla persona, aveva naturalmente la sua parte, oltre alla tradizione e alla moda, anche il gusto personale. Per i Romani più eleganti il drappeggiarsi irreprensibilmente nella toga era un'operazione cui si dedicavano cure meticolose (Macrob., Saturnalia, III, 13, 4). A partire dalla metà del sec. II s'incontrano figure statuarie e busti su cui il drappeggiamento della toga comporta una spessa fascia (tabula) disposta sul petto orizzontalmente o quasi, della larghezza di un palmo. Per ottenere la tabula si doveva ripiegare più volte su sé stesso l'orlo diritto della toga, in tutta la sua lunghezza. Tale ripiegatura, opportunamente spianata, veniva disposta aderente sul petto, avendo cura che i giri successivi della toga intorno alla persona non nascondessero la fascia. Affinché questa rimanesse anzi in piena evidenza, il secondo lembo estremo della toga, riportato verso la spalla sinistra, veniva assicurato, forse con una fibula, al disotto della fascia medesima. Una tale foggia di disporre la toga dovette avere, almeno in origine, un carattere pratico, nel senso che valeva a ridurre a volontà l'ampiezza dell'indumento, e a facilitarne quindi l'adattamento elegante intorno a una persona anche di non alta statura.
Un'altra particolare maniera di drappeggiare la toga era il cosiddetto cinctus gabinus, più volte ricordato dagli scrittori e considerato una foggia introdotta in Roma da Gabii: consisteva nell'avvolgere il secondo lembo della toga come una cintura intorno ai fianchi: tale foggia era ammessa soltanto per ragioni rituali, e nei casi in cui si andava capite velato. Unico esempio noto di cinctus gabinus è quello fornitoci da una miniatura del codice virgiliano vaticano. L'avvolgimento intorno ai fianchi doveva permettere una maggiore libertà e speditezza nei movimenti delle braccia.
Tutto considerato, la toga, tipo di vestiario quant'altro mai solenne e pittoresco, era anche divenuto un indumento tutt'altro che semplice e di pratico uso. A lungo andare si comprende come all'infuori del pubblico cerimoniale gli stessi cittadini romani preferissero indumenti più comodi e più leggieri, come il pallio. Nel mondo ufficiale romano, a partire dal sec. II, e non senza l'influsso dell'elemento forestiero, pur seguitandosi a indossare la toga, si procurò di ridurne gl'inconvenienti, fors'anche modificandone il taglio, e certo riducendone l'ampiezza. Per il che rimase sempre in vigore, ed ebbe anzi sempre più diffusione, la tabulatio, attestata anche dai rilievi dell'Arco di Costantino. Le più tarde testimonianze monumentali in proposito ci sono fornite dai dittici consolari di avorio, dove ì personaggi rappresentati indossano toghe d'una lunghezza inferiore a quella della tunica sottostante.
Come è documentato dagli stessi rilievi dei dittici, nel periodo imperiale tardo si procurò di ovviare in qualche modo alla diminuita ampiezza e solennità tradizionale della toga, mediante una particolare ricchezza di ornamenti ricamati, e forse policromi. Tali applicazioni a ricamo, se sporadicamente erano già in uso da molto tempo, giustificando l'espressione letteraria di toga picta, erano stati dapprima ristretti ai soli orli della toga, mentre in seguito, e specialmente in età bizantina, furono estesi all'intera superficie dell'indumento. Una varietà della toga era la trabea, che era una toga ornata di fasce (trabes) di porpora o d'altro colore; era in origine propria del re, poi dei consoli o di sacerdoti in speciali cerimonie, infine dei cavalieri; nella commedia trabeata essa caratterizzava l'ordine equestre.
Medioevo ed età moderna. - Trasformatasi completamente, divenuta ricchissima e appesantita da ricami, avendo risentito l'influenza bizantina, la toga scompare alla fine del sec. VI, sostituita dal pallio greco, che spesso viene erroneamente confuso con la toga stessa. Dopo molti secoli la toga riappare a Venezia nel sec. XIV: è allora una veste maschile lunga e larga, con maniche aperte o aderenti al braccio: ben diversa dall'antica toga, ha tuttavia come quella il valore simbolico dell'autorità e della dignità: dal sec. XIV fino al sec. XVIII la toga veneziana fu la veste dei senatori, dei nobili, dei magistrati: da Venezia l'uso si diffuse poi in tutta Italia. Nel 1360 a Venezia fu concessa la toga nera ai medici, mentre i nobili e i magistrati portavano la toga rossa; nelle occasioni solenni si portava la toga foderata di pelli preziose e in stoffe a colori diversi secondo il grado dei varî uffici: purpurea per i senatori, violacea per i "savii grandi", rossa per i capi del Consiglio dei Dieci: sulla spalla la toga aveva una striscia di stoffa (stola) del colore della toga; di damasco, di velluto e di panno nell'inverno, d'armesino nell'estate, la toga si portava sopra altre vesti, nei tribunali, nelle ambascerie, nelle feste, sino alla fine del sec. XVIII con pochissime varianti nella foggia. La toga veneziana (veste patrizia) veniva indossata a vent'anni, entrando nel Maggior Consiglio; ma la giovane generazione della fine del sec. XVII non amava la toga, troppo severa e imponente: il Consiglio dei Dieci fu quindi costretto nel 1710 a minacciare 5 anni di carcere e 1000 ducati di multa ai nobili che si presentassero in pubblico senza la veste prescritta. Alla fine del sec. XVIII la toga patrizia da lutto aveva strascico e cappuccio; per le cerimonie civili veniva portata aperta sulla "velada" o sulla "romana"; scomparsa dopo la rivoluzione francese, la toga è rimasta per i magistrati, giudici, avvocati nei tribunali, e recentemente è stata riadottata nelle cerimonie ufficiali universitarie, per i rettori e per i professori.
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