TOBIA
. Nome di uno dei libri deuterocanonici della Bibbia e di chi ne è protagonista.
I protagonisti, in realtà, sono due, padre e figlio. Essi nel testo latino della volgata hanno lo stesso nome Tobia (Tobias); ma nei testi delle altre recensioni (v. appresso) hanno due nomi differenti, chiamandosi il padre Tobit (Τωβείτ; Τωβείϑ; Τωβίτ) e il figlio Tobia (Τωβίας; Τωβιά). Ad ogni modo è certo che i due nomi sono due diverse forme d'abbreviazione dello stesso nome ebraico Ṭōbiyyāhu, "Mio-bene-è-Jahvè" (cfr. II Cronache, XVII, 8). Il racconto dei loro fatti è, in sostanza, il seguente.
T., pio israelita della tribù di Neftali, fu condotto in esilio a Ninive dal re Enemessar (Salmanassar) insieme con sua moglie Anna e con suo figlio T., e anche in esilio restò fedelissimo alle prescrizioni dell'ebraismo e si prodigava in opere di beneficenza, specialmente in seppellire morti. Il re lo favoriva; in questo tempo T. depositò 10 talenti d'argento presso Gabael, un giudeo di Rages, città della Media. Sotto il re Sennacherib (chiamato figlio di Salmanassar) T. cadde in disgrazia, e fuggì, ma per intercessione di suo nipote Achiacharus riottenne il favore del nuovo re Sarchedonus (Assarhaddon) e ritornò. Riprese quindi le opere di beneficenza, ma subito dopo diventò cieco perché un giorno, dormendo fuor di casa sotto il tetto (essendo impuro, per aver poco prima seppellito un morto) le rondini gli fecero cadere sugli occhi escrementi caldi; anche ridotto in questo stato e in miseria, rimase sempre pio e benefico, nonostante i rimproveri della moglie, ma sfiduciato pregò Dio di morire. Nello stesso tempo a Ecbatana città della Media, c'era una ragazza giudea, Sara figlia di Raguel, che pur avendo sposato sette volte aveva visto morire tutti e sette i mariti nella notte nuziale, perché il demonio Asmodeo li uccideva: di ciò Sara era rimproverata da un'ancella, quasi essa li avesse uccisi, onde anch'ella nella sua afflizione pregò Dio di morire. A liberare i due afflitti fu inviato l'angelo Raffaele. T., nella sua indigenza, mandò suo figlio Tobia a ritirare la somma depositata presso Gabael; mettendosi il giovane in viaggio, gli si offrì a fargli guida Raffaele presentandosi come un certo Azaria: lungo la strada, facendo Tobia un bagno nel Tigri, un enorme pesce minacciò di divorarlo, ma per consiglio di Raffaele egli, catturatolo, ne estrasse il cuore, il fegato e il fiele, conservandoli quali medicamenti. Passando per Ecbatana, Tobia dimorò presso Raguel e ne domandò la figlia Sara in moglie; fissate le nozze, secondo le prescrizioni di Raffaele, egli bruciò il cuore e il fegato del pesce, e con questo esorcismo il demonio Asmodeo fu relegato in Egitto né poté danneggiare il nuovo matrimonio, che si celebrò con castigatezza e preghiere. Nel frattempo Raffaele andò a Rages, e ritirò il denaro da Gabael. Terminate le feste nuziali, T. con sua moglie e con metà delle ricchezze di Raguel tornò a Ninive; ivi egli guarì suo padre dalla cecità, applicandogli sugli occhi il fiele del pesce, e infine il sedicente Azaria manifestò la sua vera natura, annunziando di essere uno dei sette Spiriti che stanno davanti a Dio, e scomparve. T. morì vecchissimo a Ninive, dopo aver raccomandato ai suoi di allontanarsi dalla città che stava per esser distrutta; T. si trasferì allora a. Ecbatana, ove ereditò l'intera fortuna di Raguel, e morì anch'egli vecchissimo, dopo aver saputo che Ninive era stata distrutta.
Questo racconto è trasmesso, con divergenze, da più recensioni. La recensione greca si suddivide in tre tipi: il tipo contenuto nei codici Vaticano (B) e Alessandrino (A); il tipo del codice Sinaitico (א), più ampio di episodî e di parole che il precedente; il tipo (riguardante il tratto Tobia, VI, 9-XIII, 8) dei codici 44, 106, 107, 610, d'indole composita. La recensione dell'Itala (vetus Latina) segue dappresso il Greco; quella della Volgata fu fatta da sopra un testo aramaico in un sol giorno e con aiuto altrui, come dice il suo autore S. Girolamo (Praef. ad Chromatium et Heliod.). Vi sono poi la recensione siriaca e l'armena, che seguono più o meno le greche. Una recensione aramaica fu scoperta e pubblicata da A. Neubauer, The book of Tobit. A Chaldee text, ecc. (Oxford 1878), ma è certamente una versione dal greco e probabilmente non anteriore al sec. VII d. C. Infine esistono più recensioni ebraiche, quella edita da S. Münster (Basilea 1542), quella edita da P. Fagius (Isnae 1542), e altre due edite da M. Gaster (Londra 1897); ma anche queste sono traduzioni, non testi originali.
L'abbondanza delle recensioni, ognuna con le sue particolarità, è già una prova che il racconto fu divulgatissimo. Certamente il suo testo originale era in una lingua semitica, ma non consta con sicurezza se in ebraico o in aramaico, sebbene questo secondo caso sembri più probabile.
Lo scopo del racconto è, chiaramente, quello di raccamandare l'osservanza della legge ebraica, la pratica delle opere di beneficenza (elemosina, seppellire i morti), dimostrando come la Provvidenza divina retribuisca in questa stessa vita il giudeo pio e benefico, anche se sembri che per qualche tempo lo abbia abbandonato sottoponendolo a una prova transitoria.
Molto più dibattuta è la questione della storicità del racconto. Fino ai tempi della Riforma protestante non si dubitò che i fatti narrati nel libro di Tobia fossero tutti storici e realmente accaduti: ma da quel tempo si cominciò a richiamare in dubbio tale storicità, e oggi sono molto più numerosi gli studiosi che la negano del tutto o la riducono a un piccolo nucleo, che non quelli che la mantengono integralmente. Questi ultimi suppongono che il libro sia sorto sulle basi o di appunti o di tradizioni orali provenienti dai protagonisti stessi, Tobit e Tobia: ma tale supposizione non è confortata da alcuna prova di fatto. Gli altri ritengono che la composizione sia essenzialmente didattica, pur servendosi di una forma narrativa apparentemente storica (a un dipresso, come oggi un romanzo storico educativo): fra costoro alcuni ritengono che i fatti narrati siano totalmente inventati, mentre altri suppongono che vi possa essere una piccola base storica ma su cui si è lavorato d'invenzione allo scopo didattico del racconto. Si ripete, cioè, in sostanza, la questione riguardante il libro di Giuditta.
Contro la storicità del libro è stato rilevato che: non fu Salmanassar che portò in esilio la tribù di Neftali, bensì fu Tiglatpileser III (cfr. II [IV] Re, XV, 29); Sennacherib non fu figlio di Salmanassar ma di Sargon; in alcune recensioni si dice che Ninive fu espugnata da Assuero e da Nabucodonosor (in realtà fu presa da Ciassare e Nabopolassar), si dànno informazioni geograficamentre false circa la posizione del fiume Tigri rispetto a Ecbatana, e di questa città rispetto a Rages, ecc. A tali difficoltà i partigiani della storicità del libro rispondono di solito che si tratta di errori o abusive aggiunte dei varî traduttori o amanuensi, poiché il testo originale è andato perduto e noi oggi non abbiamo che traduzioni più o meno sicure.
Altri insistono sui concetti teologici o di vita religiosa del libro, che ne dimostrerebbero l'epoca tardiva (il concetto dei "sette Spiriti" che stanno davanti a Dio proverrebbe da quello degli Amesha-Spenta dei Persiani; il concetto del demonio Asmodeo dall'Aeshma-daeva persiano; l'insistenza sulla purità legale accuserebbe un'epoca posteriore di molto all'esilio babilonese, ecc.). Ma il rilievo più importante è la presenza nel libro di Tobia del personaggio Achiacharus, tipico protagonista di un vasto ciclo di composizioni didattiche che si diffuse in tutto l'Oriente antico (v. aḥīqār): quasi tutti, perciò, ammettono che vi sia con questo personaggio un'interferenza di tale ciclo in Tobia (cfr. F. Nau, Histoire et sages e d'Aḥikar l'Assyrien, Parigi 1909, pp. 49-59).
A seconda delle opinioni, s'attribuisce il libro di Tobia a varie epoche dal sec. IV a. C. in poi (salvo i pochi che l'assegnano a tempi anteriori all'esilio).
Il libro è accettato come canonico dalla Chiesa cattolica; e in realtà la più antica tradizione ecclesiastica lo ha utilizzato, citandolo alla stessa stregua di altri libri canonici (Policarpo, Ad Phil., X, 2; Didaché, I, 2; Clemente Aless., Stromata, II, 23, che cita Tobia, IV, 16, come ἡ γραϕή; Origene, Ad Afric., XIII, ecc.).
Bibl.: D. C. Simpson, The book of Tobit, in Charles, The Apocrypha and Pseudep. of the Old Test., Oxford 1913, pp. 174-241; E. Dimmler, Tobias, Judith, Esther, Machabäer übersetzt, eingel. u. erkl., M. Gladbach 1922; E. Kalt, Das Buch Tobias, Steyl 1924; G. Perio, Il libro di Tobia, Como 1924; R. Galdos, Commentaria expositio in l. Tobit, Parigi 1931; M. Śchumpp, Das Buch Tobias, Münster 1933. Vedi inoltre la bibliografia aḥīqār.