Vedi TIVOLI dell'anno: 1966 - 1973 - 1997
TIVOLI (v. vol. vii, p. 887)
L'origine della città è ricostruibile secondo i parametri ormai noti per molti centri laziali: essa è dovuta ad una sorta di fenomeno sinecistico di diversi gruppi la cui esistenza è provata dalla scoperta di necropoli protostoriche (Acquoria, Rocca Pia) e dai rinvenimenti di materiali coevi effettuati in più punti nell'area della città. La necropoli databile al V sec. a. C. scoperta nell'area della Cartiera Amicucci (area Parmegiani) in Piazza D. Tani, è forse da mettersi in relazione, posta com'è immediatamente a ridosso delle mura, con la prima fase della Tibur urbanizzata. Altre aree di sepolture sono state rintracciate nella zona compresa tra Piazza Santa Croce ed il Convitto Nazionale A. di Savoia (III-II sec. a. C.) e nella zona dei Cunicoli Gregoriani ai lati dell'antica Via Valeria (fine età repubblicana ed età imperiale). La localizzazione di queste aree sepolcrali già di per sé ci offre un solido spunto per tracciare lo sviluppo urbanistico della città ancora quasi completamente sconosciuto per la mancanza di utili studî topografici. Le piante archeologiche note mostrano infatti grosse inesattezze da cui derivano descrizioni dell'abitato e dei singoli monumenti assai spesso improprie.
Iniziando dalla cinta muraria si può dire che essa ci è conservata per pochissimi tratti nella sua struttura originaria, presumibilmente databile al IV sec. a. C., in opus quadratum di tufo giallo, oppure di tufo nero con cortina in blocchi di travertino poroso ovvero in solo travertino. I tratti originali si hanno nelle vie del Colle, Campitelli, della Missione, Palatina (Palazzo Caporossi) e Piazza D. Tani. Le fortificazioni dell'acropoli (Castrovetere, Cittadella) sono ancora conservate in più punti. Ad età assai più tarda appartiene il tratto visibile in Piazza del Comune che è universalmente citato come tratto originale. La tecnica di esecuzione ne fa infatti incontrovertibilmente un restauro tardissimo (forse VI sec. d. C.) eseguito con materiali antichi. Tratti delle fortificazioni del tardo Impero in opera laterizia con torri quadrate ricalcanti quasi certamente l'allineamento difensivo più antico, si hanno in Via del Colle (cosiddetta Porta Maggiore), vicolo Raulini e nella Cartiera Parmegiani in Piazza D. Tani. La cinta urbana ebbe verisimilmente sei porte: Porta Maggiore, impropriamente chiamata Porta Romana (Via del Colle), anonima (Via della Missione), cosiddetta Porta Aventia (Via del Governo?), anonima (Via dei Sosii), Porta Varana o Variana (presso il Castrovetere), Porta Esquilina (Piazza D. Tani) e tre posterule: di San Pantaleone (Via di Postera), de Vesta (Via di Vesta) ed una posterula anonima all'estremità N dell'acropoli.
All'interno di questa cerchia l'abitato era terrazzato per mezzo di sostruzioni in opus quadratum di tufo (Via dei Ferri, della Missione, del Duomo, di San Paolo, Piazza del Seminario) o da vasti criptoportici sostruttivi (Via del Tempio d'Ercole, Piazza D. Tani, Via del Colle) miranti a regolarizzare i pendii. La rete stradale è in massima parte sopravvivente in quella moderna e la sua irregolarità è dovuta al carattere del tessuto urbanistico "per accrescimento".
Un intricato sistema di acquedotti sotterranei, derivanti l'acqua dall'Aniene subito a monte di Ponte Gregoriano, corre sotto l'abitato attraversandolo da N-E a S-O (Canali di Orazio, Brizio, Forma, Spada, Casacotta, del Pelago, Leonino [?]). Essi portavano l'acqua sia alle ville poste lungo le pendici N e O della città sia ai luoghi pubblici (Foro), ma soprattutto erano destinati, come ancor oggi, agli opifici ed ai molini che sfruttavano per il loro funzionamento l'impeto delle acque. Infine venivano usati per l'irrigazione dei campi mentre una larga porzione di esse raggiungeva il Santuario di Ercole Vincitore.
Già a partire dal I sec. a. C. l'antico perimetro difensivo fu oltrepassato nell'arco meridionale ed occidentale da varie costruzioni pubbliche e private fino a raggiungere nel II sec. d. C. l'attuale Rocca Pia con la costruzione dell'anfiteatro. Il Foro cittadino va collocato nell'odierna Piazza del Duomo, dove per secoli si era visto il luogo del Santuario di Ercole Vincitore. Particolare interesse monumentale hanno il Ponderarium, l'Augusteum ed i due templi dell'Acropoli la cui attribuzione è ignota (quasi certamente quello rotondo va riferito ad Ercole, ma è escluso per insormontabili ragioni cronologiche che possa trattarsi dell'Hercules Saxanus ricordato dal C.I.L., xiv, 3543 = Inscr. Ital., 48). Nella vasta zona detta un tempo Valle Gaudente, compresa tra la Via del Colle ed il Giardino Garibaldi ed in massima parte occupata dalla Villa d'Este, sorse fin dal I sec. a. C. una serie di ville di cui alcune furono impropriamente attribuite ai Metelli ed a C. Mario.
Il massimo e meno conosciuto monumento tiburtino è il santuario extraurbano di Hercules Victor per secoli ritenuto villa di Mecenate o di Augusto. Si tratta di una vasta area rettangolare contornata su tre lati da un doppio ordine di portici, di cui si conserva solo una parte di quello inferiore nel lato N. L'aedes vera e propria sorgeva al centro del lato N-E e dinanzi aveva una scalinata semicircolare facilmente riconoscibile per una cavea teatrale. Lo schema tempio-teatro richiama esempî più antichi quali il tempio punico di Cagliari e quello di Giunone a Gabi. La pianta del tempio ci è nota da rilievi del Perez-Castillo e più ancora da quelli del Thierry che nel 1862 fece eseguire anche dei saggi di scavo. Essa ci testimonia un tempio ottastilo, periptero sine postico. La cella si presentava divisa in tre navate da un doppio colonnato interno posto assai vicino alle pareti laterali. Sul fondo si apriva una nicchia a scarsella, verisimilmente destinata ad ospitare la statua di culto. Ai lati di essa vi erano due piccoli vani ad uso di disimpegno. Quello di destra rispetto all'abside mostrava una scaletta d'accesso ad un ambiente rettangolare inglobato interamente nel podio. Il vano, in cui va riconosciuta la favissa è disposto trasversalmente rispetto al podio stesso, e presenta sul fondo una stanzetta più piccola.
Il tempio col suo podio si innalzava su di un alto basamento la cui fronte si apriva in una scalinata fiancheggiata da due avancorpi ciascuno dei quali ospitava una nicchia con fontana. All'interno della cella si conservavano ancora nel secolo scorso resti del mosaico pavimentale. Ora del tempio nulla è visibile se si escludono le due pareti di spiccato del basamento inferiore, essendo tutto il resto coperto dalle strutture in cemento relative a vasconi di carico dell'ENEL.
Per quanto è dato osservare oggi, la costruzione del santuario appare omogenea e si può collocare nella prima metà del I sec. a. C. Nessun elemento costruttivo fa pensare a restauri o ricostruzioni di età flavia (E.A.A., s. v. Tivoli; 890) e va assolutamente escluso il rapporto con l'epigrafe di Sulpicius Trophimus (C.I.L., xiv, 3543 = Inscr. Ital., 48) che riporta una dedica ad Hercules Saxanus e la notizia di varî restauri poco dopo il 79 d. C. L'epigrafe non fu rinvenuta nella cella del tempio (E.A.A., loc. cit.) ma era già nota nel sec. XVI e visibile nella Piazza del Duomo.
Il grande santuario - che chiaramente rappresenta l'estensione di un luogo di culto di più vetuste tradizioni, ma che nulla ha a che vedere con i rinvenimenti arcaici localizzati nella zona dell'Acquoria - determinava con la sua costruzione lo sconvolgimento della rete stradale precedente. La difficoltà fu superata con la nota galleria, detta nel Medioevo Porta Oscura, entro la quale passava il Clivus Tiburtinus. In tal modo, attraverso l'attuale Strada degli Stabilimenti, raggiungeva la Porta Esquilina. Un'altra via si staccava dal Clivus Tiburtinus a valle del santuario e attraverso le vie del Tartaro, degli Orti e del Colle entrava nell'abitato per Porta Maggiore.
Tra i maggiori monumenti posti fuori dell'antico perimetro fortificato, oltre il cosiddetto Tempio della Tosse, nel quale va forse visto il vestibolo di una villa, sono il cosiddetto Mercato Coperto di via del Colle, nel quale forse è più probabile vedere un tratto di via tecta in corrispondenza dell'ampliamento della superiore area forense; le terme poste nell'area dell'attuale chiesa di S. Andrea, e l'Anfiteatro sito a ridosso della Rocca Pia. Quest'ultimo, solo in parte rimesso in luce, è costruito in opus mixtum collocabile in età adrianea (si veda anche C.I.L., xiv, 4259, = Inscr. Ital., 202) ed ha dimensioni massime, per quello che è dato calcolare dai resti oggi visibili, di m 85 × poco meno di 65. La profondità delle gradinate fino al limite dell'arena è di m 12. Il monumento è addossato al pendio del colle sul lato meridionale. Una strada basolata ne attraversa le strutture nella zona NE. L'anfiteatro è conservato per un'altezza massima di m 3, poiché durante la costruzione della Rocca Pia, le strutture furono azzerate al livello di spiccato della fortezza per impedire che servissero da riparo agli attaccanti.
Bibl.: C. F. Giuliani, Note di topografia Tiburtina (1-4), in Atti e Mem. della Soc. Tiburtina di Storia e d'Arte, XXXVIII, 1965, p. 147 ss.; id., L'aspetto urbanistico di Tivoli nell'antichità, in Palatino, s. 4, XI, 1967, p. 859 ss.; id., Ara arcaica rinvenuta a Tivoli, in Atti e Mem. della Soc. Tiburtina di Storia e d'Arte, XL, 1967, p. 177 ss.; id., Note di Top. Tiburtina (5-7), ibid., XLI, 1968. Per i singoli monumenti: cosiddetto Mercato: A. Boethius, Die Warenhäuser in Ferentino und Tivoli, in Acta Archeologica, 1932, p. 191 ss.; cosiddetto Tempio della Tosse: F. W. Deichmann, in Jahrb. Arch. Inst., 1941, c. 730 ss.; L. Crema, Enc. Classica, sez. III, vol. XII, L'Architettura Romana, Torino 1959, p. 628, figg. 830 ss.; C. F. Giuliani, Forma Italiae, Tibur, parte prima, Roma 1970; per il territorio: Th. Ashby, The Via Tiburtina, in Papers of the British School Rome, III, 1906, p. 144 ss.; C. F. Giuliani, Forma Italiae, Tibur, parte II, Roma 1966; L. Quilici, La carta archeologica e monumentale del territorio del Comune di Tivoli, in Atti e Mem. della Soc. Tiburtina di Storia e d'Arte, XL, 1967, p. 181 ss.; F. Sciarretta, Contributi alla preistoria e protostoria di Tivoli e del suo territorio, in Atti e Mem. della Soc. Tiburtina di St. e d'Arte, XLII, 1969, p. 7 ss.