Tito
L’imperatore che fu ricordato dai Romani come «delizia del genere umano»
Tito Flavio Vespasiano regnò per un periodo di tempo brevissimo, appena due anni e mezzo (79-81 d.C.), ma tanto bastò per lasciare il ricordo di un monarca buono, giusto e saggio. Fu lui a inaugurare, nell’80, il Colosseo, voluto da suo padre, l’imperatore Vespasiano
Nato a Roma nel 39 d.C., durante gli ultimi anni del regno di Nerone Tito affiancò il padre Vespasiano, governatore della provincia di Siria, nella difficile impresa di sedare la grande rivolta scoppiata in Giudea. Le attività militari del giovane generale ci sono raccontate con molti particolari dallo storico contemporaneo Flavio Giuseppe, in origine uno dei capi dei rivoltosi, ma in seguito devoto seguace e amico di Tito. Le numerose imprese di Tito in Giudea si concentrarono in particolare negli ultimi anni della rivolta, dal 67 al 70.
Nel luglio del 69 Vespasiano venne acclamato imperatore dalle sue truppe, con i suoi due figli, Tito e Domiziano, come Cesari. Vespasiano lasciò allora il compito di completare la sottomissione dei ribelli al figlio maggiore, incarico che Tito assolse con successo, conquistando, in particolare, la ben difesa città di Gerusalemme. La repressione della rivolta fu molto dura: la popolazione della città ribelle venne in parte sterminata, in parte trascinata a Roma in catene per il trionfo, in parte venduta in schiavitù. Il Tempio dei Giudei venne distrutto nel 70 e mai più ricostruito (Ebrei).
Dopo aver sistemato la situazione in Oriente, Tito ritornò a Roma nel 71 per celebrarvi il trionfo assieme al padre. Il grande evento sarà eternato dalla costruzione di uno splendido arco trionfale, ultimato dal fratello Domiziano, sul quale è rappresentata, tra l’altro, la celebre scena del trasporto della menorah, il candelabro ebraico a sette bracci– nel corso del trionfo stesso.
Durante la lunga permanenza in Giudea Tito ebbe modo di conoscere e amare Berenice, una principessa giudaica, sorella di Agrippa II, sovrano vassallo della sottomessa Giudea. L’affettuosa amicizia del futuro imperatore con la regina orientale spiacque molto sia al padre, Vespasiano, sia ai circoli senatori tradizionalisti romani, tanto più che questa relazione indusse Tito a ripudiare la moglie Marcia. Tito però antepose la ragion di Stato ai sentimenti: Berenice venne allontanata da Roma e mai più ricevuta, nemmeno successivamente quando Tito – oramai divenuto imperatore – avrebbe potuto richiamarla a sé. Questa rinuncia venne grandemente apprezzata da tutti, in particolare dai senatori che, da allora in poi, dipingeranno la figura del giovane con toni entusiastici. Fino ad allora, infatti, nella vita del giovane principe non erano mancati momenti di attrito con il Senato. In particolare Tito si mostrò molto rigido nel punire le congiure, anche a costo di non garantire agli accusati un giusto processo.
Alla morte del padre Tito gli successe (79) senza opposizioni. Il suo breve regno non fu caratterizzato da eventi importanti in politica estera, fatta eccezione per l’ampliamento del dominio romano in Britannia a opera di Gneo Giulio Agricola.
Sul piano interno, è da segnalare in particolare la catastrofica eruzione del Vesuvio del 79, che distrusse Ercolano, Pompei e Stabia e che provocò la morte, tra gli altri, del grande scrittore, scienziato e naturalista Plinio il Vecchio. In quel tristissimo frangente Tito passò molto tempo in Campania a rincuorare e ad aiutare la popolazione colpita da quella tragedia, come anche si prodigò a Roma l’anno seguente, quando vi scoppiò una terribile pestilenza.
La politica di Tito in parte riprese e continuò quella del padre, accentuando i provvedimenti tesi alla salvaguardia degli interessi dei veterani e al buon funzionamento dei tribunali. In seguito all’incendio che aveva colpito Roma nell’80, intraprese grandi opere edilizie (terme, acquedotti, strade), che vennero in parte completate dal fratello Domiziano. Morì giovane, nell’estate dell’81, per un improvviso attacco di febbre. Unanime fu il compianto per la sua morte, ed egli venne ricordato con la qualifica di amor ac deliciae generis humani («amore e delizia del genere umano»).