VENIER, Tito
– Nacque con molta probabilità a Creta, nella provincia della Canea, figlio di Nicola Venier (come da un atto estratto dal Catasticum Chanee; Catastici feudorum..., a cura di Ch. Gasparis, 2008) e di Cecilia, anch’essa di famiglia patrizia (ma non identificabile), che il 22 luglio 1352 era da poco vedova, come attesta un atto notarile rogato da Zaccaria de Fredo. La data di nascita potrebbe esser collocata negli anni Trenta; nella cronaca di Lorenzo De Monacis egli viene più volte definito iuvenis, giovane (forse trentenne), al tempo della rivolta (1363-66), cui partecipò anche il fratello Teodorello.
Non vi sono ulteriori informazioni circa la vita privata e la prima giovinezza di Venier, ma i Quaterni consiliorum di Candia tra il 1350 e il 1363 riportano numerose testimonianze della sua attività pubblica. In questi tredici anni Venier fu uno dei più attivi politici veneto-cretesi.
Dopo il coinvolgimento coatto di Creta nella crociata antiturca del 1332-33, alle cui spese l’isola dovette partecipare con l’imposizione di pesanti tassazioni, tra il 1337 e il 1353, si giunse alla stipulazione di accordi commerciali speciali con gli emirati di Mentesche e Aydin (le antiche Efeso e Mileto, che i veneziani chiamavano Theologo e Palatia), che facilitavano i contatti con i mercati turchi. Negli anni Cinquanta, queste brillanti operazioni di mediazione furono portate avanti soprattutto da Venier, il quale ottenne il titolo di sapiens in tutte le occasioni e per tredici anni consecutivi, dal 1350 al 1363. Ad accompagnarlo troviamo quasi sempre Marco Gradenigo e Iacopo Mudazzo, anch’essi futuri capi ribelli.
Il 10 febbraio 1354 Tito Venier fu eletto all’unanimità dal Maggior Consiglio di Candia capitano e armatore di galera. L’anno successivo, il 16 giugno 1355, lo stesso Consiglio elesse un rappresentante per ciascun casato nobiliare per conferire e discutere direttamente con le autorità veneziane al fine di salvaguardare e custodire l’assetto, gli ordinamenti e le istituzioni venete sull’isola: Venier fu eletto portavoce della Ca’ Venier. Ciò presuppone che egli fosse considerato un profondo conoscitore dell’isola e dei suoi problemi di gestione, ma lo fu ugualmente dei linguaggi politici veneziani, con cui si misurò.
Nell’agosto del 1359, e nello stesso mese del 1362, fu incaricato di esporre nuovamente circa le delicate controversie sorte con gli emirati di Theologo e Palatia. Il 12 gennaio 1363 fu eletto assieme ad altri quattro sapienti affinché esaminasse con attenzione le lettere inviate a Venezia dal rettore della Canea e relative all’omicidio del nobile Francesco Dono.
Come suo fratello Teodorello e altri membri della famiglia, Venier divenne dunque in quegli anni un vero e proprio punto di riferimento per la popolazione civile, sia veneziana sia greca autoctona. Gli stretti legami tra il mondo greco e i Venier – attestati ad esempio dalle imbreviature notarili di Franciscus de Cruce – possono essere all’origine del giudizio di De Monacis, il quale affermò che Tito Venier, quasi alla fine della parabola ribelle, assunse, nel privato, atteggiamenti, riti, abitudini greche al fine di captare la loro benevolenza. Tuttavia, lo studio dei documenti menzionati dimostra piuttosto come e quanto egli fosse e si sentisse davvero cretese.
Dopo più di un secolo dall’installazione della signoria veneta su Creta, i costumi dei coloni si erano adeguati a quelli greci, determinando la drammatica escalation di incomprensioni e violenze. Le onerose richieste militari e fiscali della madrepatria crearono le premesse della rivolta.
Nel 1363 infatti, in occasione dell’ennesimo prelievo, imposto per far fronte alle spese di riparazione del porto di Candia, la tensione raggiunse il suo apice. Secondo la cronaca di De Monacis, Venier, di «innata superbia», all’atto di conquista del palazzo ducale di Candia avrebbe urlato al duca «morieris proditor!» («morrai, traditore!») nei confronti del duca di Candia, il quale fu però semplicemente arrestato (Chronicon..., 1758, p. 173).
Anche in tutto il resoconto dell’altro cancelliere-cronista, Raffaino Caresini, la figura di Venier assunse le caratteristiche della crudeltà e dell’empietà: con i suoi complici, commise «latrocinia atque praedas» («scorrerie e rapine», Chronica..., a cura di E. Pastorello, 1923, p. 15) in molti luoghi dell’isola. L’operato dei rivoltosi sembra tuttavia essere stato, nella realtà, molto diverso da come lo presentarono le cronache ‘ufficiali’ veneziane. I ribelli si liberarono dalla soggezione al potere giusdicente di Venezia, e ciò apparve tanto più grave in quanto il processo di rivendicazione fu condotto sul medesimo piano ideologico e giuridico.
Nell’agosto del 1363, Gradenigo fu insignito del titolo di governatore e Venier di quello di prefetto della Canea, inserendosi direttamente nella tradizione veneziana. L’immissione dei nobili arconti greci all’interno del consiglio dei feudati e la parità di diritto stabilita tra ortodossi e cattolici furono segni di una presa di posizione forte e condivisa di fronte alla Serenissima. Secondo un processo celebrato a Venezia nel 1364, contro Nicolò Miegano (‘complice’ di Venier), costui avrebbe ordito un vero e proprio tractatum, cioè una congiura diretta al definitivo rovesciamento dell’autorità veneziana a Creta (Diplomatarium veneto-levantinum..., a cura di G.M. Thomas - R. Predelli, 1899, p. 412). Ma la congiura fu scoperta e i suoi aderenti processati e condannati
La fine di Venier fu drammatica. Braccati dalle truppe veneziane e rifugiatisi sulle alte montagne a est dell’isola, Venier e i suoi fedeli tentarono di coinvolgere attivamente la popolazione autoctona, ma da essi furono infine traditi e consegnati ai veneziani. Secondo quanto racconta De Monacis, quando gli chiesero se volesse un medico per le ferite riportate all’orecchio, egli rispose: «vulnus tuum, quod omnino est immedicabile, non exigit medicinam» («la tua ferita, quando non è ormai più medicabile, non sopporta la medicina»; Chronica..., cit., p. 192). Proferite queste parole, fu decapitato ad Anopoli nel 1366.
Il confronto tra le fonti cretesi e il ritratto tetro e fosco che ci è stato lasciato dalle cronache ‘veneziane’ e ufficiali della rivolta (soprattutto quelle dei cancellieri De Monacis e Caresini), permette di riabilitare la figura di Venier come politico abile e coerente.
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