FLAMININO, Tito Quinzio (T. Quinctius T. f. L. n. Flamininus)
Di gente patrizia, nacque il 229 a. C. Fece le sue prime armi nella guerra annibalica, ed era tribuno dei soldati sotto il console Marcello, quando questi cadde nel 208. Poi fu inviato a Taranto con autorità di propretore nel 205-4. Fu questore, non sappiamo quando, poi senza rivestire né l'edilità, né la pretura, all'età di circa trent'anni, nel 199, si presentò come candidato alle elezioni consolari nel 198, e riuscì eletto nonostante qualche opposizione dei tribuni della plebe. Assunto il consolato, partì immediatamente per la Grecia, dove prese il comando dell'esercito romano che fronteggiava Filippo V di Macedonia ai passi del fiume Aoo nell'odierna Albania. Accordata al nemico una breve tregua, ne profittò per riordinare l'esercito. Respinte le offerte di pace di Filippo, che, riconosciuta ormai la superiorità dei Romani, era pronto a far concessioni larghissime, lo attaccò e lo sbaragliò quasi senza perdite. Di questa vittoria, di alcune piccole azioni guerresche in Focide, di un'azione dimostrativa che fece con l'aiuto del fratello, il propretore Lucio Flaminino, il quale comandava la flotta contro Corinto, profittò per trarre abilmente a sé quasi tutti gli antichi alleati di Filippo, segnatamente l'Epiro, la lega acaica, e la Beozia; sicché unitisi questi agli alleati che Roma già aveva in Grecia, particolarmente cioè gli Etoli, F. era alla testa di una lega che abbracciava, salvo la Tessaglia, quasi tutta la Grecia, quando nel 197 invase la Tessaglia per dare a Filippo il colpo decisivo. La battaglia avvenne nel giugno di quell'anno a Cinoscefale (v.) e fu per i Romani vittoria pienissima dovuta alla loro superiorità tattica e alla geniale manovra ideata da un tribuno militare. Giunto il console a Larissa, Filippo aprì immediatamente trattative con lui, e ottenne la pace rinunziando alla sua flotta da guerra e a tutti i suoi possessi fuori della Macedonia. F. aveva tratto a sé i Greci promettendo loro l'autonomia e mantenne ora la promessa. Alle feste istmie del 196 in nome del senato proclamò solennemente la libertà di tutti i Greci tra gli applausi frenetici di quanti assistevano alle feste. Nel 195 poi, raccolto un sinedrio dei suoi alleati greci per giudicare intorno alla controversia tra gli Achei e Nabide di Sparta, sebbene anche Nabide si fosse dichiarato suo alleato e gli avesse mandato soccorsi in Tessaglia, diede giudizio favorevole agli Achei. Sicché si venne alla guerra contro Nabide. Fu anche questa guerra vittoriosa, sebbene non si venisse a battaglie decisive. Nabide perdette Argo che egli occupava, e dovette cedere agli Achei le città marittime della Laconia. Sarebbe stato possibile a F. prendere Sparta, o costringere Nabide alla resa, ma egli non volle un soverchio incremento dei suoi nuovi alleati Achei, così come non aveva voluto un soverchio incremento della lega etolica. E l'anno seguente 194, egli evacuò completamente la Grecia, comprese le piazzeforti di Demetriade, Calcide e Corinto, che i Romani presidiavano dopo averle ricevute da Filippo per effetto della pace. E trionfò solennemente in Roma recando immenso bottino. Egli lasciava la Grecia libera ma travagliata da discordie e in gran parte insofferente del nuovo ordine di cose. Quando gli Etoli cominciarono apertamente a turbare la pace, e a preparare accordi con Antioco III di Siria, F., inviato nel 192 come legato in Grecia, pur disponendo di pochissime forze, con la sua abilità diplomatica riuscì a frustrare in gran parte le mene degli Etoli e degli altri avversarî di Roma. Certo per non irritare Filippo, tenne un contegno ambiguo coi Demetriesi che temevano di ricadere nelle sue mani, e questo provocò la ribellione di Demetriade e la sua unione all'Etolia; ma assicurò anche ai Romani durante la guerra siriaca la preziosa amicizia di Filippo. F. seppe anche assicurarsi l'amicizia di Atene la cui fedeltà aveva per un momento vacillato. E dopo il successo di Acilio Glabrione alle Termopili continuò a lavorare nella Grecia centrale e nel Peloponneso con grande abilità a vantaggio di Roma. Nell'Eubea ottenne che il console risparmiasse Calcide, la quale era passata ad Antioco, ciò che giovò molto a riconciliare gli animi dei Greci con Roma; poi, fattosi mediatore tra i Romani che assediavano Naupatto e gli Etoli, fece concludere tra i belligeranti una tregua di sei mesi la quale diede agio ai Romani di portare le armi in Asia senza più preoccuparsi per il momento delle cose di Grecia. Nel Peloponneso dove gli Achei erano riusciti ad annettere Sparta alla lega, cercò, sorti alcuni torbidi a Sparta, di farvela tornare con la sua mediazione; ma fu prevenuto da Filopemene, che pacificò Sparta con gli Achei all'infuori della mediazione romana. Gli riuscì però di farsi mediatore tra la lega e Messene e questo fu germe di gravi dissensi futuri. Riunito tutto il Peloponneso, gli Achei cercarono di avere Zacinto, ma qui F. si oppose apertamente e giustificò la sua opposizione dicendo che gli Achei chiusi nel Peloponneso vi sarebbero stati sicuri come la testuggine nel suo guscio. F. fu poi censore insieme con M. Claudio Marcello nel 189. Tale censura non ebbe grande rilievo, ed è notevole soltanto per la relativa larghezza con cui i censori promossero l'acquisto dei pieni dirittì di cittadinanza per parte di taluni di quei municipî che n'erano privi. La seguente censura, quella che tennero Catone e Valerio Flacco (184) colpì gravemente F. con la destituzione del fratello Lucio dal Senato per indegnità. Nel 183 F. era di nuovo in Oriente come legato. Di passaggio nel Peloponneso cercò di carpire agli Achei qualche concessione a favore degli autonomisti di Messene capitanati da Dinocrate, che vantava appunto la sua amicizia con lui. Non ottenne nulla, ma il favore da lui dimostrato agli autonomisti fomentò la ribellione che scoppiò poco dopo, e provocò la guerra in cui Filopemene perdette la vita. F., recatosi poi da Prusia di Bitinia ottenne che quel re si risolvesse a consegnare ai Romani Annibale che s'era rifugiato presso di lui e l'aveva aiutato col suo genio durante la guerra con Eumene. Annibale per non cadere in mano dei nemici si uccise. Questo è l'ultimo fatto a noi ricordato di F. Egli morì ancora in fresca età nel 174, nel quale anno sappiamo da Livio che T. Quinzio Flaminino, quasi certamente un suo figlio, celebrò lussuosi giuochi funebri in onore del padre.
F. fu uno di quegli ufficiali formatisi alla dura scuola della guerra annibalica, ai quali Roma deve le sue meravigliose vittorie dei primi decennî del sec. II. Valente generale, egli fu poi espertissimo politico e diplomatico. Giovò assai al suo successo il suo non simulato filellenismo. Egli certamente credeva in perfetta buona fede di fare gl'interessi dei Greci non meno che quelli di Roma, assicurando la piena autonomia delle città e leghe greche di fronte alla Macedonia, e non è dubbio che la Grecia dopo il 196 ebbe una somma di autonomie e di libertà quale forse non aveva mai goduto lungo tutta la sua storia; né può farglisi colpa se egli non previde che il ricostituire in Grecia un pulviscolo di stati autonomi e l'eliminare ogni tentativo o speranza d'unità nazionale sotto qualsiasi forma, non poteva non moltiplicare le discordie e dando motivo o pretesto a continui interventi romani per eliminarle, preparare la servitù. Come in politica estera, egli patrocinò l'imperialismo stesso vagheggiato da Scipione Africano che voleva il predominio ma non cercava sfruttamento o dominio diretto, così in politica interna egli avversò l'indirizzo favorevole alla plebe rurale e sfavorevole alla nobiltà che era rappresentato da Catone. Tuttavia egli si tenne sempre in disparte dalle cricche nobiliari che si radunavano attorno agli Scipioni, sebbene dovesse avvicinarvelo anche il suo filellenismo.
Bibl.: G. De Sanctis, Storia dei Romani, IV, i, Torino 1923, pp. 82 segg., 135 segg. 168 segg., 242 segg., 259, 587 seg.; G. Colin, Rome et la Grèce, Parigi 1907, passim; M. Holleaux, in Cambr. ancient History, VIII, Cambridge 1930, cap. 6° seg. - Una lettera di F. a quelli di Cirezie in Dittenberger, Sylloge, II, 3ª ed., Lipsia 1907, n. 593. - Per le monete greche con l'effigie di F. v. G. F. Hill, Historical Greek coins, Londra 1906, p. 136 seg.