DOMIZIANO, Tito Flavio (Imperator Caesar Domitianus Augustus)
Imperatore romano dal 13 settembre 81 al 18 settembre 96 d. C. Nacque a Roma il 24 ottobre 51 da T. Flavio Vespasiano e da Flavia Domitilla. Il primo luglio 69, Vespasiano fu acclamato imperatore dalle legioni orientali, e, nonostante l'opposizione dei Vitelliani, Antonio Primo occupò Roma: Vitellio fu ucciso e Vespasiano riconosciuto anche dal senato; D. che si trovava in Roma e a stento si era salvato dai Vitelliani, fu salutato dalle truppe Caesar, ed ebbe conferita la pretura e l'imperium proconsolare. Nell'assenza del padre e del fratello maggiore Tito, D., sia pure con il consiglio di Muciano e di Antonio Primo, tenne il governo commettendo anche varî abusi di potere. Tornato Vespasiano a Roma l'autunno del 71, D. fu aspramente rimproverato, e in seguito, benché abbia avuto cariche e onori (console ordin. nel 73; console suffecto nel 71-75(?)- 76-77-78-80 e diritto di battere moneta), non ebbe parte nell'amministrazione dello stato, né ottenne comandi in guerra. Morto Vespasiano nel 79, Tito si mostrò benevolo verso il fratello e volle considerarlo come consors et successor imperii, e gli offrì in moglie la figlia Giulia, che D., deluso nella sua speranza di essere particeps imperii, rifiutò: anche in seguito i rapporti tra i fratelli furono tutt'altro che cordiali. Nella sua ambiziosa, egoistica smania di potere, D. non solo pare abbia partecipato a cospirazioni, ma il 13 settembre 81, ancora vivo Tito, si precipitò a Roma per farsi acclamare imperatore dalle truppe. Il giorno successivo il senato confermò l'acclamazione. La tribunicia potestas gli fu concessa nei comizî il 30 settembre.
Due sono le principali caratteristiche del regno di D.; e l'una e l'altra in aperto contrasto con le direttive e l'azione del padre e del fratello. La prima è il tentativo di instaurare la monarchia assoluta; la seconda l'attivissima ripresa della politica d' espansione ai confini dell'impero. Erano queste due imprese politiche di assoluta necessità per il consolidamento dell'impero, ma se è merito di D. l'averne avuto chiara visione, e l'averle affrontate, mancavano a lui troppe qualità per condurle gloriosamente a termine.
Agl'inizî del suo regno, confermato Agricola nel governo della Britannia, D. ne fece proseguire il graduale assoggettamento; quando poi le guerre sul Reno e sul Danubio lo costrinsero ad interrompere la conquist della Britannia, l'opera di romanizzazione dell'isola era ormai avviata e si compì in brevi anni (v. britannia, VII, p. 887).
Sul Reno fu nell'83 intrapresa la guerra contro i Catti, e la sistemazione che fu poi attuata di quel pericolosissimo confine dimostra che quella guerra fu un accorto disegno dell'imperatore. La guerra fu condotta da D., consigliato forse da Giulio Frontino, e con almeno 5 legioni oltre alle truppe ausiliarie. I Catti furono vinti e assoggettati dopo una faticosa guerriglia fra le loro foreste, e gran parte del loro territorio (fino a Wetterau) fu annesso all'Impero. Del felice esito della guerra è prova la costruzione della linea fortificata di 370 km. che, togliendo il pericoloso saliente fra la Germania superior e la Vindelicia, rendeva sicure contro le popolazioni germaniche le provincie romane. A D. si deve tutta quella sezione nord, che fu detta Limes Germanicus: l'opera fu naturalmente continuata e compiuta nel secolo successivo. Il territorio di alcune popolazioni fu da D. espropriato con un compenso: il fatto, che a torto la malevola tradizione ha interpretato come pagamento d'un tributo, indica solo che l'imperatore non affrontava guerre se non per necessità. Della guerra con i Catti D. menò trionfo, ottenendo dal senato l'uso della stola triumphalis, la scorta di 24 littori, il titolo di Germanicus, la designazione al consolato per 10 anni. La guerriglia ai confini dei Catti continuò di certo durante la costruzione del Limes.
Più gravi furono le guerre contro i Daci (v.). Esse si combatterono con varia fortuna e terminarono, per quanto riguarda il principato di D., con una pace di compromesso, per la quale Decebalo, restituendo i prigionieri e le insegne conquistate, veniva riconosciuto come sovrano dipendente da Roma. Ciò non impedì a D. di celebrare, a guerra compiuta, sulla fine dell'89, uno splendido trionfo, ottenendo l'onore di una statua nel foro, e il nome di Dacicus. Il trionfo era del resto giustificato anche per la vittoria ottenuta sui Catti, che l'89 si erano uniti a L. Antonio Satumino, governatore della Germania Superiore, quando questi con due legioni si era rivoltato contro D. La ribellione fu però soffocata e Saturnino, ancor prima che giungesse da Roma D., fu vinto e ucciso da L. Appio Norbano. Non si hanno precise notizie della successiva guerra condotta da D. contro i Catti: questi furono forse ricacciati subito al di là del Limes e indotti alla pace. Un'ultima guerra (verso il 92?) D. diresse personalmente in Pannonia contro i Suebi e i Sarmati, che avevano d'improvviso invaso la provincia: l'imperatore respinse gl'invasori, e compl anehe una vasta controffensiva nelle loro terre. Una guerra vittoriosa fu anche quella condotta contro i Nasamoni, della Sirte maggiore, che verso l'86 si erano rivoltati. Anche con i Parti, che avevano aiutato un falso Nerone, vi fu pericolo di guerra, ma il re Pacoro cedette subito alle richieste di D., e consegnò il pretendente.
La politica d'espansione di D. non può quindi giudicarsi nel complesso come svoltasi in perdita, nonostante qualche sconfitta: avviata la romanizzazione in Britannia; vinte o respinte le popolazioni germaniche, un cui ampio territorio fu aggiunto ai confini dell'impero; contenuta la minaccia dei Daci, D. completò la sua opera con la migliore organizzazione delle provincie ai confini; a lui si deve la divisione della Mesia e quella della Germania in due provincie: Inferiore e Superiore. Vennero invece riunite la Galazia e la Cappadocia sotto un unico legato imperiale; mentre nella Siria furono definitivamente annessi due staterelli. Delle numerose colonie con il titolo di Flavia, alcune è probabile che si debbano a D.
Nell'amministrazione interna, colpisce l'attività che D. spiegò per il compimento di grandiose opere pubbliche. A Roma, oltre ad uno splendido palazzo imperiale costruito dall'architetto Rabirio, fu riedificato il tempio di Giove Capitolino, innalzati i templi di Minerva e Vespasiano nel fòro, di Iside e Serapide e di Giove custode sul Campidoglio, della Fortuna redux presso la porta trionfale; costruiti lo Stadio al Palatino e quello per i ludi Capitolini (attuale Piazza Navona); il grandioso bacino per le naumachie; il foro transitorio detto poi di Nerva; compiuti le terme dette più tardi di Traiano, il Colosseo e l'Arco di Tito. In Italia, pur senza tener conto delle sontuose ville di Albano, di Tuscolo e di quelle sulla costa tirrena, si sa che D. costruì la via Domiziana fra Sinuessa e Napoli, restaurò la via Latina, e compì opere di pubblica utilità a Rimini, Aefulae, Benevento, Lilibeo, Cagliari. Per le provincie (oltre alla costruzione del Limes Germanicus) si sa di notevoli lavori per il restauro delle vie della Betica, per la costruzione di una rete stradale nelle provincie asiatiche, e per grandiose opere ad Antiochia. Alla grandiosità delle costruzioni fecero degno riscontro sotto D. lo splendore e la fastosità delle feste e dei giuochi. Nell'88 furono ricelebrati sontuosamente i Ludi saeculares; creazione di D., sull'esempio dei giuochi olimpici e a scopo educativo, fu l'agone capitolino, che, a partire dall'86, si celebrò ogni quattro anni alla presenza dell'imperatore. D. fece celebrare altresì ogni anno ad Albano i Quinquatria Minervae sotto la sorveglianza di uno speciale collegio di sua istituzione. Anche i problemi della scuola e della cultura attirarono l'attenzione di D., che fra l'altro favorì Quintiliano e la sua scuola oratoria, e molto si adoperò per ricostruire le biblioteche andate distrutte e per ricostituirne il patrimonio bibliografico.
Poco si conosce della legislazione domizianea. A intensificare la coltura del grano, proibì che si piantassero in Italia nuovi vigneti, e decretò che si abbattessero gran parte di quelli esistenti nelle provincie; la grave misura però non poté essere attuata, e produsse più danni che vantaggi. Da D. fu anche notevolmente aggravata e resa più severa la legislazione sugli schiavi e la possibilità di manomissione. L'amministrazione della giustizia fu molto a cuore a D., che nei primi anni di regno prese personale visione di molte cause, giudicando equamente, e punì giudici e magistrati corrotti. Negli ultimi anni di regno D. si servì invece della giustizia per la sua politica interna, e per sopperire al bisogno di denaro.
Assunta nell'85 la censoria potestas, e fattasi lo stesso anno conferire la carica di censor perpetuus senza collega, se ne servì anche per un'organica serie di misure contro il malcostume dilagante a Roma. Severissime misure furono prese contro le vestali che avevano mancato ai voti e contro i loro complici; alle donne dissolute fu tolto il diritto di ricevere legati; furono perseguiti i libellisti; proibite le rappresentazioni pubbliche dei pantomimi; rimessa in vigore la lex Iulia de adulterio, e quella Scantinia contro lo stuprum cum viro. D., non religioso nell'intimo, ma osservante delle forme e superstizioso, prese anche una posizione di netta avversione contro le religioni orientali, infierendo specialmente contro i Giudei, che obbligò al pagamento della tassa del didramma. È certo anche che molti cristiani, e fra questi il senatore Acilio Glabrione e gli stretti parenti dell'imperatore Flavio Clemente e Flavia Domitilla (indubbiamente cristiani), furono condannati per ateismo. Ma si trattò di condanne isolate e non di provvedimento generale. Sotto D. sarebbe stato relegato a Patmo anche l'apostolo Giovanni.
Della politica interna di D. l'episodio più importante fu tuttavia il tentativo di instaurare a Roma, di fatto e di diritto, la monarchia assoluta. L'imperatore era già da tempo il vero signore dello stato, e a conferma di questa situazione di fatto D. ottenne dal senato una somma di onori e di poteri affermanti il carattere autocratico e divino del suo comando. Oltre a 22 acclamazioni imperiali delle truppe, ai numerosi trionfi, ai titoli di Germanicus (83), Dacicus (89?), Sarmaticus (92), e a quello di dominus et deus (85), D. fece intitolare al suo nome i mesi di ottobre e novembre; occupò quasi di continuo il consolato; assunse per primo, a complemento della sua autorità, la censoria potestas, e quindi la censura a vita senza collega, che gli conferiva, tra l'altro, il diritto d'integrare e riformare il senato. D. non seppe però giungere, con una logica rivoluzione politica, alla soppressione del superstite ordinamento repubblicano, e il non aver condotto alle estreme conseguenze la lotta politica, mentre determinò l'insuccesso del tentativo, gli accrebbe le ostilità del senato, di cui sono prova numerose congiure.
Già dell'83, come si sa da Cassio Dione e da Eusebio, molti senatori furono uccisi o mandati in esilio; più tardi (settembre 87) dagli Atti degli Arvali e da Cassio Dione vien riferita altra congiura, per la quale molte persone furono accusate davanti al senato ed alcune anche condannate a morte, fra cui Civico Ceriale e Tito Flavio Sabino. L'88 si sollevò, come si è visto, Antonio Saturnino, e poiché la rivolta doveva avere larghe basi, D. infierì senza pietà contro colpevoli e sospetti, sia agli accampamenti, sia, l'anno successivo, a Roma. Dopo questa sollevazione militare, D., esasperato e insieme impaurito dalla minaccia che incombeva sulla sua vita, infierì contro chiunque supponeva o gli veniva indicato avverso al potere imperiale. Ne caddero vittima i più eminenti cittadini, come Elio Lamia, Sallustio Lucullo, Salvio Cocceiano, Elvidio Prisco. Del 93 è inoltre il senatoconsulto provocato da D., che cacciava da Roma e dall'Italia i filosofi, troppo avversi con le loro teorie al formarsi dell'autocrazia. Le condanne sembra che siano servite anche di comodo pretesto a D. per la confisca dei beni, sì da sopperire all'ammanco del fisco imperiale, a cui beneficio l'imperatore aveva del resto già attribuito entrate antecedentemente riscosse dall'erario del senato, come quella notevolissima sulle acque. L'ostilità del senato e dei suoi membri contro l'imperatore si convertì in odio desideroso di vendetta. Il 18 settembre del 96, con la complicità di alcuni suoi fidi famigliari e della stessa imperatrice, D. venne aggredito e ucciso a pugnalate nel suo cubicolo. Gli uccisori furono, bensì, con il consenso del pavido senato, e del nuovo imperatore Nerva, trucidati dai pretoriani; ma, a parte questo sfogo dei soldati, la caduta della dinastia Flavia si compì senza disordini. Il senato, appena sentì di essere padrone della situazione, dannò la memoria dell'odiatissimo imperatore, di cui furono abbattute le statue e cancellato dovunque il nome sulle epigrafi.
Gli antichi descrivono D. di statura alta, di giuste proporzioni, di vigorosa prestanza, e, in giovinezza, di bell'aspetto. Ma gli ultimi anni era divenuto calvo, con le gambe rinsecchite, il ventre obeso. Oltre alle figurazioni sulle monete si posseggono alcuni busti e teste sue: la più significativa è quella conservata nell'Antiquarium del governatorato di Roma.
Fonti: le fonti antiche su D. sono piuttosto scarse, e alcune non scevre di partigianeria. Le maggiori e più equanimi notizie sono nella biografia di D. scritta da Svetonio; pieziosissimi ma non del tutto fededegni sono i dati che i poeti contemporanei Stazio, Marziale e Giovenale forniscono. Non rimane la parte delle Historiae di Tacito dove era narrato il regno di D.; molte notizie sui primi anni di D. si hanno nei libri III-V; altre nella vita di Agricola. Di grande utilità sono le notizie date da Frontino nei suoi Strategemata; da Plinio il Giovane nelle epistole e nel panegirico di Traiano; da Cassio Dione e dai suoi epitomatori; dagli scrittori cristiani.
Bibl.: S. Gsell, Essai sur le règne de l'empereur Domitien, Parigi 1894 (con la bibliogr. preced.); Weynand, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI, coll. 2541-2596; G. Corradi, in Diz. epigr. Di E. De Ruggiero, II, 1960-2046.