TIROIDE (XXXIII, p. 918; App. II, 11, p. 999)
Negli ultimi dieci anni, grazie all'impiego degli isotopi radioattivi dello iodio 131I e 132I), la diagnostica delle tireopatie si è arricchita di prove che permettono un più preciso inquadramento fisiopatologico delle alterazioni funzionali della ghiandola. Va innanzitutto ricordato il test di captazione tiroidea del radioiodio che oggi trova ormai larga applicazione pratica. La tiroide è l'organo più avido di iodio e questa sua avidità è strettamente legata alla sua stessa attività funzionale. Pertanto, se dopo aver somministrato per bocca o per via venosa una dose tracciante di radioiodio, si valuta a mezzo di misurazione dall'esterno ed a intervalli di tempo prestabiliti la percentuale del radioelemento assunta dalla ghiandola, ci si può rendere conto diretto della funzione dell'organo.
Ventiquattro ore dopo la somministrazione del tracciante la percentuale di captazione nel soggetto normale oscilla tra il 20% e il 45%; i valori di captazione sono invece nettamente superiori nell'ipertiroideo, molto più bassi (0-10%) nell'ipotiroideo. In virtù del test di captazione tiroidea è ormai dato di sceverare facilmente i quadri di ipotiroidismo primario da quelli secondarî a difetto della increzione di ormone tireostimolante dell'ipofisi. Difatti negli ipotiroidismi secondarî, dopo un carico di ormone tireotropo del commercio si ha aumento della captazione del radioiodio.
L'impiego del radioiodio consente inoltre la identificazione chimica degli ormoni tiroidei contenuti nei liquidi biologici. Infatti è possibile eseguire la cromatografia (su carta o su colonna) delle iodoproteine segnate che compaiono in circolo dopo somministrazione di una dose di 131I. Sarà però necessario aggiungere all'estratto di iodoproteine ematiche da cromatografare quantità importanti di sostanze note quali la tiroxina (T4), la triiodotironina (T3), la monoiodo- (MIT) e la diiodo-tirosina (DIT). Dopo la migrazione cromatografica si controlla a mezzo di un contatore Geiger la posizione assunta sul cromatogramma dalle iodoproteine segnate. Si rileverà quindi a quali delle sostanze note corrispondono i composti iodoproteici plasmatici: si giungerà in tal modo alla loro identificazione chimica (fig. 1).
Il radioiodio permette infine di studiare la forma e l'estensione del tessuto tiroideo funzionante e di individuare nel contesto della ghiandola le zone dotate di attività aumentata o diminuita.
In questo tipo di ricerche un notevole passo in avanti si è compiuto recentemente grazie all'impiego di apparecchi automatici che permettono di esplorare sistematicamente aree di ampiezza variabile. Questa tecnica, che va sotto il nome di "scintillografia", consente il riconoscimento di anomalie di sviluppo del viscere: ad es. presenza di tiroide linguale (fig. 2), di tiroidi aberranti o di gozzi retrosternali. Ma il maggior interesse della scintillografia risiede nel fatto che essa permette la precoce diagnosi dei tumori tiroidei (fig. 3) e delle loro eventuali metastasi. In quest'ultimo caso l'indagine dovrà necessariamente essere estesa a tutto l'organismo.
Anche in campo terapeutico l'introduzione dello iodio radioattivo ha arrecato nuove possibilità: infatti il radioisotopo oltre che nella terapia delle ipertireosi, trova utile impiego nel trattamento dei tumori funzionanti della tiroide e delle loro metastasi (v. anche endocrinologia, in questa Appendice).