testo, tipi di
Gli studiosi moderni, come già i retori e i grammatici del mondo classico e umanistico, hanno tentato di ordinare i testi raggruppandoli in classi omogenee. Ne sono emerse varie tipologie testuali, divergenti tra loro a seconda del criterio assunto come fondamento, che individuano tipi di testo, articolati in generi e sottogeneri. Mentre i tipi testuali distinti dalle classificazioni tradizionali sono però categorie generali, definibili con tratti universali e reperibili in tutte le lingue e culture, i generi, al di là della loro apparente universalità, implicano l’adattamento del messaggio linguistico alle esigenze comunicative delle diverse società: essi variano quindi da una cultura all’altra, e anche nell’ambito della medesima cultura, da un’epoca storica a un’altra.
In questa voce sono illustrati quattro tra i modelli di classificazione esistenti. Il primo, il più tradizionale, che in ultima analisi risale alla retorica classica, distingue i testi in base a un’ottica funzionale (§ 2). Il secondo li classifica in base ai diversi gradi di rigidità introdotti nel patto comunicativo che lega emittente e destinatario (§ 3). Il terzo, mosso da un’ottica didattica, differenzia i testi in base al tipo di capacità linguistiche e concettuali richieste per la loro produzione ed esercitate grazie alla loro osservazione (§ 4). Il quarto, infine, classifica i testi privilegiandone il canale di trasmissione (§ 5).
La prima e più tradizionale tipologia si fonda sulle funzioni dominanti realizzate con il testo, cioè sul contributo dato alla comunicazione. Essa contempla sostanzialmente le partizioni del discorso individuate dalla ➔ retorica classica: descrizione, narrazione, esposizione, argomentazione.
Tra le tipologie costruite in chiave funzionale, si segue qui quella proposta da Werlich (19822), oggi la più conosciuta. Essa può essere definita a un tempo funzionale e cognitiva, in quanto da una parte tiene conto del focus dominante nei testi – cioè del loro principale centro di interesse e di organizzazione –, dall’altra della capacità cognitiva correlata, che ne consente la comprensione e la produzione (Werlich 19822 : 39-41). In base a questi parametri, i testi si dividono in cinque tipi fondamentali: descrittivo, narrativo, espositivo, argomentativo, istruzionale (o prescrittivo).
I ➔ testi descrittivi possono essere definiti come il risultato di un macroatto linguistico di descrizione, consistente nel costruire un corrispondente linguistico di una porzione di mondo considerata in un contesto spaziale statico e atemporale. Essi rappresentano persone, oggetti, ambienti e sono correlati alla matrice cognitiva che consente di cogliere le percezioni relative allo spazio (Werlich 19822: 93; Lo Duca 2003: 197):
(1) Il castello dell’innominato era a cavaliere a una valle angusta e uggiosa, sulla cima d’un poggio che sporge in fuori da un’aspra giogaia di monti, ed è, non si saprebbe dir bene, se congiunto ad essa o separatone, da un mucchio di massi e di dirupi, e da un andirivieni di tane e di precipizi, che si prolungano anche dalle due parti. Quella che guarda la valle è la sola praticabile; un pendìo piuttosto erto, ma uguale e continuato; a prati in alto; nelle falde a campi, sparsi qua e là di casucce. Il fondo è un letto di ciottoloni, dove scorre un rigagnolo o torrentaccio, secondo la stagione: allora serviva di confine ai due stati. I gioghi opposti, che formano, per dir così, l’altra parete della valle, hanno anch’essi un po’ di falda coltivata; il resto è schegge e macigni, erte ripide, senza strada e nude, meno qualche cespuglio ne’ fessi e sui ciglioni (Alessandro Manzoni, I promessi sposi, cap. XX)
Nel compiere un atto di descrizione si effettuano tre operazioni: (a) data la porzione di mondo che si è deciso di descrivere, si mette in atto innanzitutto la scelta delle entità su cui soffermare l’attenzione; (b) si passa poi a selezionare le proprietà da applicare a queste entità; completate queste due scelte ‒ fortemente condizionate dalla natura della porzione di mondo da descrivere e dall’obiettivo della descrizione ‒ (c) si passa infine a organizzare le entità e le proprietà selezionate all’interno della descrizione.
L’oggetto di una descrizione può essere reale, far parte quindi del mondo di cui sia il locutore che il destinatario hanno esperienza, oppure fittizio, cioè appartenere a un mondo immaginario o possibile. Si possono avere descrizioni in praesentia o in absentia, a seconda che l’entità descritta si trovi effettivamente alla presenza del destinatario. Una descrizione può seguire un ordine spaziale, procedendo, ad es., rispetto al punto di osservazione, dall’elemento più vicino al più lontano, e da destra verso sinistra; oppure, secondo un ordine logico, andando dal particolare al generale o viceversa. Il punto di osservazione può essere fisso o mobile.
Sulla base del livello di soggettività si trova spesso citata anche una distinzione tra descrizioni impressionistiche o soggettive e descrizioni tecniche o oggettive. Questa distinzione, considerata da taluni fuorviante (in quanto la natura stessa dell’atto di descrivere richiede sempre un’attività filtrante e costruttiva da parte di colui che descrive), è in un certo modo recuperabile se si considera che in un testo l’attività percettiva e giudicante del descrittore può essere esibita oppure occultata. In ogni caso, è importante sottolineare l’impossibilità di realizzare una descrizione assolutamente oggettiva in quanto per le sue caratteristiche intrinseche la descrizione obbliga ad affrontare scelte che lasciano sempre un margine al giudizio personale.
Dal punto di vista della forma linguistica, il testo descrittivo è contraddistinto dalle seguenti caratteristiche: il numero delle proprietà evocate è maggiore di quello delle entità descritte; dato che l’atto del descrivere riguarda entità considerate dal punto di vista statico, i modi di essere presentati come statici prevalgono sui processi, che sono dinamici (Mortara Garavelli 19818: 160). Per effetto di ciò, il testo descrittivo è caratterizzato da un ampio numero di predicati stativi. I tempi verbali dominanti sono tipicamente il presente o l’imperfetto, tempi che esprimono azioni durative e non puntuali.
I ➔ testi narrativi sono la realizzazione di un macroatto di narrazione, consistente nel costruire un corrispondente linguistico di un evento, o di una serie di eventi collegati, di cui si voglia mettere a conoscenza un destinatario. Essi sono correlati alla capacità cognitiva di cogliere le percezioni temporali (Werlich 19822: 39; Lo Duca 2003: 197):
(2) Il cellario ebbe un momento di esitazione, poi fece un segno ai suoi e si gettò giù per il sentiero di destra, mentre i nostri muli riprendevano a salire. Mentre stavo per interrompere Guglielmo, perché ero morso dalla curiosità, egli mi fece cenno di attendere: e infatti pochi minuti dopo udimmo grida di giubilo, e alla svolta del sentiero riapparvero monaci e famigli riportando il cavallo per il morso (Umberto Eco, Il nome della rosa, Milano, Bompiani, 1980, p. 31)
(3) Ruppemi l’alto sonno ne la testa
un greve tuono, sì ch’io mi riscossi
come persona ch’è per forza desta;
e l’occhio riposato intorno mossi,
dritto levato, e fiso riguardai
per conoscer lo loco dov’io fossi.
Vero è che ’n su la proda mi trovai
de la valle d’abisso dolorosa
che ’ntrono accoglie d’infiniti guai
(Dante, Inf. IV, 1-9)
Tra i generi narrativi si possono citare la fiaba, la novella, il romanzo, il racconto, il poema epico, la cronaca giornalistica, la cronaca storica, la memoria giudiziaria, l’aneddoto, il resoconto di viaggi, ecc. Nel testo narrativo il narratore può muoversi essenzialmente a quattro livelli: maggiore o minore ‘distanza’ dal mondo narrato; selezione degli eventi, dei partecipanti (detti anche attanti) e delle circostanze da verbalizzare; ordine della loro introduzione nel testo; struttura linguistica degli enunciati.
Nella narrazione la centralità del tempo rappresenta il criterio di organizzazione del contenuto e il principio strutturante: testo e sequenza di eventi riferiti condividono la proprietà di essere ordinati linearmente e cronologicamente. La sequenza degli eventi narrati può coincidere con lo svolgersi nel tempo o al contrario non rispettare la cronologia reale. L’autore può infatti scegliere di creare un intreccio che presenti una successione di eventi artificiale. Ciò può essere attuato attraverso un procedimento retrospettivo (analessi, o – con termine preso in prestito dal linguaggio cinematografico – flashback), in cui l’ordine lineare è interrotto per evocare eventi avvenuti in precedenza; oppure attraverso un procedimento di anticipazione (prolessi), interrompendo cioè per anticipare ciò che succederà in seguito (Bonomi et al. 2003: 165; Dardano & Trifone 1997: 475).
Dal punto di vista linguistico, la narrazione è caratterizzata da alcune strutture di base: (a) sono estremamente frequenti gli indicatori temporali (➔ connettivi; ➔ temporali, avverbi; ➔ temporalità, espressione della), che precisano la successione in cui si sono svolti gli eventi e li ancorano al tempo interno al testo; (b) dato che la narrazione tende a riguardare eventi già avvenuti, i tempi verbali sono tipicamente al passato, organizzati in due sistemi distinti e complementari: quello dei verbi narrativi (➔ passato remoto; ➔ imperfetto; trapassato; ➔ condizionale), e quello dei verbi commentativi (➔ presente; ➔ passato prossimo; ➔ futuro).
I ➔ testi espositivi puntano alla trasmissione di un sapere e sono correlati alla matrice cognitiva che permette la comprensione di concetti generali e particolari, consentendo una corretta analisi dei primi e una corretta sintesi dei secondi (Werlich 19822: 39; Bonomi et al. 2003: 197):
(4) La guerra dei Trent’anni esasperò con i suoi disastrosi effetti i conflitti sociali e politici che maturavano già all’inizio del secolo all’interno degli Stati. Se la Germania ne subì direttamente le conseguenze negative, al punto da uscirne stremata, le popolazioni di altri paesi (in primo luogo la Spagna e la Francia) non rimasero certo indenni.
Una crisi politica si delineò in Spagna fin dal momento in cui Olivares cominciò a realizzare il progetto di far contribuire alle spese e agli impegni militari della Spagna, in misura proporzionale alla loro popolazione, tutte le province e i domini della monarchia (unione delle armi) (Rosario Villari, Storia moderna, Roma - Bari, Laterza, 1983, pp. 203-204)
Avendo il ruolo di ‘informare’, trasmettendo concetti e conoscenze, questi testi sono spesso chiamati anche informativi (tra gli altri, in Dardano & Trifone 1997).
La categoria dei testi espositivi è molto ampia ed eterogenea e raggruppa testi orali e scritti di vari generi. Vale la pena di menzionare, per l’orale, le conferenze accademiche, le relazioni scientifiche, gli esami orali, le lezioni degli insegnanti; per lo scritto, gli articoli scientifici, i manuali didattici, i verbali, le voci di dizionari ed enciclopedie, le guide turistiche.
In base alla loro complessità e al loro grado di elaborazione, i testi espositivi possono essere distinti in analitici e sintetici (Werlich 19822: 71). I primi sono testi in cui la presentazione delle conoscenze avviene in modo esteso: trattati di ogni ambito del sapere, articoli scientifici, voci di dizionari ed enciclopedie. I secondi si limitano a proporre informazioni in modo schematico; fra questi, il riassunto, gli appunti, gli schemi, le scalette.
Come si è detto, i testi espositivi formano una classe estesa ed eterogenea: non stupisce quindi che tra i vari generi si riscontrino grandi differenze. Detto questo, i testi espositivi presentano anche alcuni tratti tipici:
(a) sono spesso corredati di testi complementari e componenti di paratesto (tabelle, riquadri, grafici) che servono a completarli;
(b) presentano una chiara articolazione in blocchi, ognuno dei quali ha la funzione di sviluppare un sottotema legato al tema centrale;
(c) mostrano di privilegiare un numero ridotto di movimenti logici, tipicamente movimenti di rielaborazione di materiale linguistico già presente nel testo (esemplificazioni, specificazioni, illustrazioni, riformulazioni);
(d) tendono a proporre un graduale incremento dell’informazione (➔ dato / nuovo, struttura);
(e) privilegiano un ➔ lessico comune, evitando di impiegare parole di bassa frequenza d’uso, ➔ forestierismi inutili e tecnicismi (➔ terminologie) non spiegati (Lavinio 2000: 135).
I ➔ testi argomentativi sono la realizzazione di un macroatto linguistico che si propone come fine la persuasione del destinatario circa la validità di una tesi attraverso la selezione, la disposizione e la formulazione di specifici argomenti o prove. Essi sono correlati alla capacità cognitiva di selezionare/giudicare gli argomenti più pertinenti allo scopo, istituendo relazioni tra tali concetti e accostandoli gli uni agli altri per similarità o per contrasti (Werlich 19822: 40; Lavinio 2000: 127):
(5) La poesia è (pare un assurdo) quanto di meno irrilevante, di più terrestre e di maggior tenuta circoli tra gli uomini, e proprio oggi, in civiltà che promuove l’oggetto, invece, di rapido consumo, l’oggetto-lusso, l’oggetto destinato a cambiare, destinato a essere utilizzato. Il più inutile (la poesia appunto) è proprio quanto continua a restare, quello che è cambiato di meno, da Omero a oggi: di tutti gli oggetti (e non solo artistici) il meno provvisorio. Un libro come quello di Giorgio Caproni, che raccoglie tutti i componimenti suoi scritti in un cinquantennio di attività (1932-82), è lì a dimostrarcelo, nel suo volume, nella sua consistenza, nella sua altezza suprema. A questo libro (non ne sono usciti poi molti in Italia, nel Novecento, di pari altezza) è delegata la dimostrazione di quanto or ora dicevo, e la dimostrazione della tenuta grandiosa che ha inoltre la poesia di fronte a tanto inesorabile cancellarsi, oggi, di identità individuali e collettive, di fronte al progressivo sgretolarsi di ogni etica personale e comunitaria (Gian Luigi Beccaria, Giorgio Caproni. Tutte le poesie, Milano, Garzanti, 1983, «L’Indice» 1984, n. 1)
(6) L’outsourcing con Xerox può ridurre del 25% i tuoi costi per i documenti.
C’è un nuovo modo di vedere le cose.
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Tra i principali generi testuali argomentativi si possono citare, per l’orale, l’arringa, l’intervento in un dibattito, l’intervista; per lo scritto, la recensione, l’articolo di fondo (➔ giornali, lingua dei), il saggio scientifico in cui l’autore espone e motiva una sua personale ipotesi interpretativa, il testo pubblicitario. Per sostenere dialetticamente la propria tesi, l’autore ha a disposizione diverse strategie, che possono essere ricondotte a quattro tipi fondamentali. Può sfruttare: argomenti logici (che mettono in evidenza rapporti causali tra gli argomenti addotti e la tesi da dimostrare); argomenti pragmatici (che consistono nel far notare i risultati positivi derivati dall’accettazione della tesi); argomenti di autorità (che consistono nel portare a sostegno della propria tesi un’opinione autorevole); argomenti che riportano esempi, fatti concreti (Dardano & Trifone 1997: 479-480).
Quanto alla struttura, nella retorica classica l’argumentatio, che occupava, con la propositio o narratio, la parte centrale del discorso persuasivo (tra esordio e conclusione) era suddivisa in probatio, la dimostrazione delle proprie tesi, e refutatio, rifiuto/demolizione del punto di vista avverso (Mortara Garavelli 1988: 164). Nella teorizzazione moderna il testo argomentativo si caratterizza per la presenza di un tema di discussione, dei soggetti dell’argomentazione (l’emittente che si propone di persuadere e il destinatario reale o fittizio che deve essere persuaso) e del ragionamento, messo in atto dall’emittente per raggiungere i propri obiettivi comunicativi. Nella sostanza, un’argomentazione segue la seguente struttura di base: esprimendosi su un tema l’emittente dichiara la propria opinione, detta tesi, a sostegno della quale porta delle prove, dette argomenti. Allo scopo di privarla di validità, l’emittente presenta poi la tesi contraria alla sua, detta antitesi, e procede a confutarla. L’emittente conclude quindi ribadendo la propria posizione. Tale struttura può essere soggetta a varianti dovute a ragioni di carattere stilistico e pragmatico.
Il testo argomentativo può essere di tipo dimostrativo o persuasivo. Il testo argomentativo dimostrativo parte da premesse certe e universali e giunge a conclusioni vere. Il testo argomentativo persuasivo parte invece da premesse non universali e giunge a conclusioni verosimili. Sono caratteristici del testo argomentativo: (a) il grande rilievo dato al destinatario (di cui, per essere efficace, l’emittente deve tener in conto l’età, il livello culturale, le convinzioni personali, ecc., e che è continuamente chiamato in causa per mantenerne desta l’attenzione e per dare l’impressione che le sue opinioni e le sue esigenze siano tenute in grande considerazione); (b) il grande spazio preso nel testo dall’emittente stesso, che si espone in prima persona con espressioni come secondo me, a mio modesto avviso che tendono ad attenuare (➔ mitigazione) la categoricità delle affermazioni, e a consentire così un atteggiamento riguardoso nei confronti del destinatario. Tra le caratteristiche linguistiche del testo argomentativo la più evidente è la presenza costante di ➔ connettivi logici (soprattutto causali, finali, consecutivi, concessivi; ➔ causalità, espressione della; ➔ finalità, espressione della; ➔ concessione, espressione della) a segnalare gli snodi del ragionamento (Dardano & Trifone 1997: 480).
I ➔ testi prescrittivi (definiti anche regolativi o istruzionali) hanno la funzione di regolare il comportamento del destinatario enunciando obblighi, divieti o istruzioni. Questi testi si collegano alla matrice cognitiva che pianifica il comportamento futuro (Werlich 19822: 40; Bonomi et al. 2003: 168):
(7) Chi ha determinato a commettere un reato una persona non imputabile (c.p. 86, 88, 91-1, 96 n. 1, 97), ovvero non punibile a cagione di una condizione o qualità personale (46, 48), risponde del reato da questa commesso; e la pena è aumentata. Se si tratta di delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza (c.p.p. 380, 381), la pena è aumentata da un terzo alla metà.
Se chi ha determinato altri a commettere il reato ne è il genitore esercente la potestà la pena è aumentata fino alla metà o se si tratta di delitti per i quali è previsto l’arresto in flagranza, da un terzo a due terzi (Codice penale della Repubblica Italiana, titolo 3, capo 3, art. 111)
I testi prescrittivi possono essere suddivisi in cinque classi: (a) testi legali: codici, leggi decreti, ecc.; (b) istruzioni per l’uso: di apparecchiature, di prodotti (chimici, farmaceutici, cosmetici, alimentari); ricette (mediche, dietetiche, di cucina); guide (tecniche, turistiche); (c) propaganda: politica, commerciale, educativa (campagne ecologiche, sanitarie, per la sicurezza); (d) regole di etichetta (manuali di bon ton); (e) varie specie di memorandum (avvisi, promemoria personali, agende) (Mortara Garavelli 1988: 164-165).
La prima classe, quella dei testi legali, può a sua volta essere divisa in tre sottoclassi: (a) testi normativi: costituzioni, leggi, statuti, regolamenti, codici, decreti, norme statutarie; (b) testi interpretativi: manuali di diritto, articoli di riviste, lezioni universitarie, tesi di laurea o dottorato; (c) testi applicativi: atti processuali (sentenze, ordinanze), atti amministrativi (decreti, avvisi, verbali, ordini di servizio), atti giuridici privati (contratti, testamenti, procure, procedimenti arbitrali). I testi legali sono accumunati da alcuni tratti facilmente individuabili: l’emittente è un’autorità pubblica; il destinatario è chiaramente individuabile; la struttura interna del testo è schematica e finalizzata a favorirne la consultazione.
Fra le caratteristiche più strettamente linguistiche sono da segnalare il ricorso a un registro formale e impersonale; il largo uso di tecnicismi, specifici e collaterali; l’impiego della terza persona, che consente di escludere qualunque riferimento personale; l’uso di perifrasi contenenti verbi modali (in particolar modo dovere; Dardano & Trifone 1997: 483-484). Per quanto concerne l’organizzazione testuale è da segnalare la tendenza a una disposizione della materia di tipo gerarchico, la cui suddivisione in sezioni è spesso segnalata anche graficamente per mezzo di enumerazioni ed elenchi.
Una tipologia oggi tra le più conosciute è quella proposta da Francesco Sabatini (Sabatini 19902 e 1999), per la quale al momento della formazione di un testo l’autore, nel selezionare una data ‘materia base’ e darle una determinata forma testuale, sceglie anche di rivolgersi a un certo tipo di lettore, stabilendo quale margine di libertà vuole lasciargli per la sua interpretazione. Nel far questo egli può avere l’intenzione:
(a) di esporre concetti estremamente precisi intorno alla materia prescelta e quindi di ottenere dal lettore una interpretazione del testo identica o quasi alla propria […];
(b) di rivolgersi a un lettore ancora non informato su quella materia, accontentandosi perciò di ottenere da lui un’interpretazione abbastanza vicina alla propria […];
(c) di esprimersi mostrando parte di sé, lasciando al lettore un buon margine di libertà nell’interpretazione del messaggio, perché il lettore faccia entrare nel testo anche il frutto della propria esperienza (Sabatini 19902: 634).
Su queste basi, è stata proposta una ripartizione in tre classi, corrispondenti al grado di vincolo posto al destinatario: testi con discorso molto vincolante, testi con discorso mediamente vincolante, testi con discorso poco vincolante.
I testi di queste tre grandi categorie si distinguono in base alla presenza/assenza di alcuni tratti legati a: (a) la struttura complessiva del testo; (b) la coerenza logica (che può essere esplicitamente messa in evidenza o affidata alla ricostruzione del lettore); (c) il sistema dei legamenti di coesione (morfosintattici, semantici, prosodici e sonori); (d) l’uso di vari tipi di costruzione della frase; (e) l’uso della punteggiatura; (f) l’aspetto grafico del testo (Sabatini 19902: 637).
Questa categoria raccoglie tre classi che, benché svolgano funzioni diverse e rispondano a principi generali distinti, hanno numerose caratteristiche formali comuni.
(a) Testi scientifici. Si tratta di testi che hanno una funzione puramente cognitiva, basata su asserzioni sottoposte al criterio di vero/falso. L’esposizione di argomenti scientifici richiede grande coerenza e rigore, e risulta molto vincolante per l’interpretante.
(b) Testi giuridici normativi. Nonostante i numerosi punti in comune con il linguaggio scientifico, il ragionamento contenuto nei testi normativi ne differisce per la caratteristica sostanziale di non dover sottostare al criterio del vero o falso: è manifestazione di una volontà e non deve dimostrare o spiegare, ma imporre degli obblighi. Per ottenere questo, deve risultare chiaro e univoco. Chiarezza e univocità che si ottengono grazie al fatto di essere assolutamente coerente, fondato su un linguaggio rigidamente codificato e definito, articolato in blocchi gerarchicamente ordinati. Anche per questo tipo di testi al grande rigore corrisponde un forte vincolo interpretativo per il destinatario.
(c) Testi tecnici. I testi tecnici hanno una funzione strumentale-regolativa basata sull’adesione del destinatario alle istruzioni ricevute. Per ottenere ciò, essi devono risultare precisi e di chiara interpretazione. Pur presentando caratteristiche generali comuni alle altre due categorie di testi fortemente vincolanti, i testi tecnici se ne allontanano per alcuni aspetti: al loro interno si fa più spesso ricorso ad esempi; ci si può rivolgere direttamente al lettore; un concetto può essere parafrasato; si può sfruttare la presentazione tipografica per dare risalto ad alcuni passaggi. Resta comune con le altre due classi di testi il forte vincolo interpretativo imposto al ricevente.
Posti tra la sfera dei testi fortemente vincolanti e quella dei testi puramente letterari, questa classe si compone di tutte quelle produzioni che mirano a dare spiegazioni, informazioni, spunti a chi non è ancora in possesso di determinate competenze. In queste sedi, l’autore mira a rendere il testo facilmente fruibile e non pone vincoli troppo stretti per l’interpretazione, così da consentire al destinatario una chiave di lettura che tenga conto anche dei propri interessi e punti di vista.
(a) Testi espositivi. Si tratta di testi con funzione esplicativo-argomentativa, basata cioè sull’intenzione di fornire competenze o di proporre e dibattire tesi. Fanno parte di questa classe un’ampia varietà di generi, distinti anche in maniera notevole dal punto di vista della forma linguistica e della struttura testuale, ma accomunati dalla primaria funzione esplicativa e dal fatto che, pur rimanendo abbastanza rigorosi, tendono a stabilire per il destinatario un certo margine di libertà interpretativa.
(b) Testi divulgativi. Si tratta di testi che hanno la funzione di divulgare (➔ divulgazione, linguaggio della) le competenze acquisite dagli specialisti nei vari campi della conoscenza. Per ottenere questo, pur poggiandosi su dati specifici e concreti, essi perdono gran parte della rigidità che caratterizza i testi scientifici assumendo forme più libere.
(c) Testi informativi: il giornale. Questa classe raccoglie una categoria variegata di testi, tra i quali il più significativo è rappresentato dal giornale. Questo genere ha precise caratteristiche strutturali e linguistiche. Sebbene infatti al suo interno i contenuti siano distribuiti in sezioni poco omogenee sia per organizzazione grafica che per struttura testuale e linguistica, esistono tuttavia tendenze comuni ai diversi ambiti del giornale, e ai i giornali fra di loro, che possono essere considerate tratti fondamentali del linguaggio della stampa: il frequente uso di costrutti nominali, di espressioni e termini ‘prefabbricati’, di ➔ neologismi e forestierismi, di virgolettati, ecc.
All’interno di questa terza categoria si collocano testi costruiti con grande libertà, con parole ed effetti di suono e di ritmo che divengono materia da plasmare. Questa libertà è messa a disposizione anche del destinatario. Contrariamente a quello che avviene infatti per altri tipi di testo, dove il lettore è obbligato ad accettare principi e convenzioni stabilite dall’autore, e il margine di libertà interpretativa è nullo o limitato, per questo tipo di testi il lettore è sollecitato a partecipare all’interpretazione in maniera attiva, ad aggiungere al discorso il prodotto della propria esperienza e il senso dei propri bisogni.
(a) La prosa letteraria: la narrativa. Questa classe raccoglie vari generi di prosa letteraria, di cui la narrativa è probabilmente il più importante. I testi narrativi, pur tendendo a presentare eventi in genere vicini alla realtà, svolgono principalmente una funzione espressiva, basata sulla volontà di realizzazione artistica dell’autore. Non limitandosi alla documentazione di una realtà vera o verosimile, il racconto passa attraverso l’immaginazione e l’invenzione dell’autore che lo espone impiegando tecniche di vario tipo, quali ad es.:
(i) intreccio di narrazione e riproduzione di parole, pronunciate o pensate dai personaggi o dall’autore stesso;
(ii) varietà di lingua e stile, con passaggi dall’italiano al dialetto o a un’altra lingua, o dal formale all’informale, o dalla lingua standard a un linguaggio specialistico;
(iii) sintassi e punteggiatura libere, con conseguente periodare fluido o fortemente frammentato;
(iv) linguaggio figurato e impiego frequente di figure retoriche ed artifici (metafore, metonimie, sineddochi, sinestesie, allitterazioni, onomatopee, ecc.).
(b) La poesia. Benché nel testo poetico la lingua raggiunga il massimo grado di libertà, esso segue precise norme e tradizioni compositive, regole di cui il lettore deve essere a conoscenza per l’interpretazione dell’opera. Esse riguardano in primo luogo il ritmo: la misura e gli accenti dei versi, curati perché nell’intera massa delle parole che compongono il testo venga a crearsi un particolare andamento ritmico. Molti altri effetti sonori (rime, assonanze, consonanze, simbolismi fonici, onomatopee, ecc.) partecipano poi a rinforzare il ritmo, costituendo con esso fenomeni di legamento.
Per ciò che concerne la parte propriamente linguistica, è importante sottolineare la grande distanza che separa poesia antica e moderna (➔ lingua poetica). In epoca moderna, i poeti italiani cominciano infatti ad allontanarsi dagli schemi tradizionali e dai linguaggi arcaicizzanti passando a un linguaggio più realistico. La poesia si apre alla lingua parlata, la sintassi si fa più libera e con essa la punteggiatura, che talvolta è eliminata del tutto. In molti casi è il senso profondo del componimento che dà coerenza a testi i cui enunciati sembrano galleggiare isolati, apparentemente privi dei più elementari vincoli di coesione. Anche le forme metriche tradizionali sono largamente messe da parte dai poeti moderni che tendono a preferire agli schemi prestabiliti strofe e versi liberi. La ➔ rima, talvolta eliminata, entra spesso in un gioco più libero e raffinato, in cui si nasconde nel mezzo del verso o si alterna con altri effetti sonori.
La tipologia testuale proposta in Manzotti (1990) si basa sulla convinzione che non esiste un’astratta capacità di scrivere, indipendente dalla materia a cui si applica, dalla situazione comunicativa in cui si esercita o dagli scopi che si propone. In questa concezione, l’apprendimento della scrittura dovrebbe avvenire entro specifici tipi testuali, riconoscendo i vincoli e i gradi di libertà che essi impongono all’architettura e alla verbalizzazione dei contenuti (Manzotti 1990: § 3.1). La capacità scrittoria sarebbe dunque circostanziata a un’area concettuale e a un tipo testuale: si dovrebbe quindi profittare della varietà dei tipi testuali per riflettere sulle specificità strutturali e comunicative di ognuno di essi, esercitando le differenti competenze necessarie per la costituzione e la presentazione dei contenuti ai fini della composizione dei vari tipi di testo.
In questa classificazione si distinguono in primo luogo testi autonomi e testi che elaborano altri testi. La classe dei testi autonomi, non subordinati dunque all’esistenza di un altro testo, e dove quindi l’effetto di mimesi è assente, può essere ulteriormente divisa in testi di libera elaborazione intellettuale e testi fortemente codificati. I primi non seguono schemi predefiniti e sono caratterizzati dal fatto che scrittura e formarsi del pensiero (euresi) sono strettamente legati; i secondi seguono invece schemi preordinati e non sono caratterizzati da un reale sforzo creativo. All’interno dei testi di libera elaborazione si può poi distinguere tra testi prevalentemente di carattere argomentativo, nei quali chi scrive espone e argomenta posizioni legate a un’area concettuale, e testi prevalentemente espositivi, presentativi. Com’è naturale, i confini tra le diverse classi non sono netti, e in molte occasioni è difficile l’attribuzione a un’unica categoria. L’utilità didattica della distinzione resta comunque evidente, dimostrata dal fatto che ogni tipo e sottotipo privilegia determinate capacità lasciandone emarginate altre.
Nella prima categoria, quella dei testi autonomi, la classe più interessante ai fini dell’insegnamento è quella dei testi di libera elaborazione intellettuale: testi non legati a schemi predefiniti, in cui chi scrive cerca e dispone la materia liberamente.
La loro costruzione, in cui l’atto di scrivere si svolge parallelamente al formarsi del pensiero, richiede di essere sorretta da un repertorio di competenze tecniche, di mezzi linguistici, tra cui emerge la capacità di riconoscimento delle azioni di composizione testuale. Scrivere diventa così un itinerario verso una conclusione, non necessariamente prestabilita, nel quale chi scrive deve avere il controllo sul percorso già fatto e sulla direzione verso cui è condotto dalla movenza che sta sviluppando. Se esercitate in maniera conveniente, queste forme testuali rappresentano uno strumento insostituibile per sviluppare abilità di scrittura e di riflessione.
Questa classe raggruppa i testi in cui è presente in maniera decisiva un’elaborazione a partire da altri testi, quindi forme in cui i contenuti sono forniti e chi scrive può concentrarsi pienamente sulla formulazione linguistica da attribuire loro. Questi tipi di composizione, nei quali interviene il momento fondamentale della mimesi, e che godono attualmente di una ben scarsa considerazione all’interno della scuola, costituiscono uno strumento fondamentale per l’insegnamento della scrittura, rappresentando un momento decisivo per l’estensione della lingua scritta.
Entrano a far parte di questa classe il riassunto, la parafrasi, il commento, la rielaborazione, la sintesi di diversi documenti, il verbale.
(a) Il riassunto. Condizione necessaria per riassumere è la conoscenza dei fatti espressi nel testo d’origine, dei rapporti logici che li collegano e delle tecniche adottate per la loro presentazione. Per riassumere si può scegliere di operare in due maniere: utilizzando un atteggiamento metatestuale o omeotestuale. Nel primo caso, l’autore si esprime sul testo originale (con espressioni del tipo: «Nel testo l’autore racconta, dice, propone, ecc.») e la nuova produzione di solito non può svolgere le stesse funzioni dell’originale. Nel secondo caso, il riassunto è un testo dello stesso tipo dell’originale, a cui può sostituirsi, e di cui rappresenta una versione compressa. Nel riorganizzare i contenuti da riassumere si possono operare tagli dell’informazione di varia entità, che possono andare dalla lieve riduzione al taglio drastico; si può scegliere di mantenere l’impalcatura originaria, il modo in cui i contenuti sono presentati, o di modificarla, leggermente o completamente. Il riassunto, attività troppo spesso ritenuta banale, rappresenta in realtà un esercizio scrittorio impegnativo e produttivo, strumento efficace di acquisizione di nuove forme e nuovi costrutti.
(b) La parafrasi. Se l’elaborazione di testi a partire da altri testi, inducendo una naturale imitazione, contribuisce all’arricchimento delle capacità espressive degli scriventi, ciò è particolarmente vero per la parafrasi, forma testuale che riproduce il più strettamente possibile il testo di partenza. Questo genere testuale favorisce l’assimilazione delle caratteristiche espressive del testo di partenza assicurandone, grazie alla riscrittura in costruzioni e termini più familiari, l’esatta comprensione linguistica.
(c) Il commento. Il commento può essere considerato come l’estensione e l’approfondimento naturale della parafrasi. Svolto su testi di alta concentrazione formale e di pensiero, consente di risolverne le maggiori difficoltà di comprensione e di renderne visibili le strutture fondanti. Commentare un testo consente di svolgere l’operazione intellettuale estremamente fertile di cercare di rendersi conto delle ragioni di ogni scelta autoriale, anche minima. In più, questo genere testuale porta inevitabilmente al fenomeno della contaminazione: dell’afflusso nel nuovo testo di influenze e peculiarità di scrittura provenienti dall’originale, entrate impercettibilmente a far parte del bagaglio del commentatore e divenute parte integrante delle sue competenze linguistiche.
(d) La rielaborazione. La rielaborazione rappresenta una sorta di ripensamento critico delle scelte espositive e argomentative del testo originale. Essa può portare a ottenere architetture più efficaci e argomentazioni più stringenti. Questa forma testuale rappresenta uno strumento di arricchimento della competenza comunicativa in quanto in essa vengono re-impiegati, e quindi assimilati, i materiali linguistici del discorso originale, contribuendo inoltre alla fissazione degli acquisiti linguistici. In un contesto didattico, prendere appunti e rielaborarli dovrebbe essere considerato una tappa insostituibile della formazione del sapere e di un metodo di lavoro.
(e) La sintesi di diversi documenti. Con questa definizione si designa quell’insieme di operazioni concettuali e linguistiche che conduce a fondere più documenti relativi a un medesimo argomento in uno solo che ne conservi la quantità complessiva di informazioni. Esercizi di sintesi di testi possono avere una funzione di ordine concettuale e di ordine linguistico. Di ordine concettuale, in quanto le operazioni necessarie per la composizione di un testo di questo tipo (di comprensione, confronto, valutazione, ricombinazione, riorganizzazione) sono quelle basilari per acquisire un metodo di studio scientifico. Di ordine linguistico, in quanto dover ripercorrere e confrontare più verbalizzazioni diverse di uno stesso stato di cose permette di mettere a confronto termini, costruzioni sintattiche, movenze espositive, e di comprendere che ‘saper dire’ significa anche sapersi esprimere su una stessa materia in modi diversi.
(f) Il verbale. Il verbale è un documento redatto da una persona incaricata con lo scopo di ricostruire la sequenza di atti linguistici prodotti durante una riunione (di un organo di istituzione, di un gruppo di persone, ecc.), registrando le decisioni fissate e le opinioni consolidate al suo interno. Questa sequenza, composta di singoli interventi, verte di norma intorno a un preciso argomento di cui specifica punto per punto vari aspetti. Chi verbalizza generalmente annota sul momento i tratti fondamentali di ogni intervento creando una traccia della discussione che poi rielaborerà più tardi in forma definitiva. La redazione di un verbale è operazione estremamente complessa. Chi verbalizza deve infatti essere in grado di cogliere gli aspetti rilevanti di ogni singolo intervento e saperlo riprodurre senza distorcerne il significato, sapendo stabilire quanto dire e quanto tacere.
I testi scritti e i testi orali differiscono per una serie di tratti, il più vistoso dei quali riguarda naturalmente il materiale di cui si costituisce il piano dell’espressione, che è grafico-visivo per i testi scritti e fonico-acustico per i testi orali.
Questa distinzione tra testi scritti e orali può essere affinata grazie a una tipologia organizzata in chiave diamesica, fondata cioè sul canale di trasmissione (➔ variazione diamesica). Essa, oltre che distinguere tra testi orali e testi scritti, evidenzia le differenze interne ai piani della scrittura e dell’oralità, prendendo in considerazione anche le loro possibili interazioni, che spesso contribuiscono notevolmente a caratterizzare i testi (Lavinio 2004: 148).
In una tipologia di questo genere, i testi scritti sono classificabili in base alle modalità di ricezione previste. Essi sono allora distinti in testi: (a) per essere consultati (elenchi telefonici, dizionari, enciclopedie); (b) per essere letti integralmente (saggi, romanzi); (c) per essere letti come non fossero scritti, ma detti (dialoghi entro romanzi e racconti); (d) per essere recitati (sceneggiature, testi teatrali); (e) per essere detti, cioè letti ad alta voce e dunque ascoltati dai destinatari (comunicati e annunci trasmessi nelle stazioni, notiziari radiofonici) (Lavinio 2004: 149-150).
Naturalmente, ogni testo scritto può essere letto ad alta voce, ma questo non ne fa automaticamente un testo parlato, in quanto scritto e parlato – com’è noto ‒ si differenziano per aspetti sostanziali che riguardano la sintassi, il lessico, la testualità.
Questa tipologia distingue i testi orali in base al grado di formalità. È con questo criterio che è organizzata, ad es., la classificazione all’interno del LIP (1993), dove i testi sono disposti in cinque classi:
(a) Tipo A (scambio comunicativo bidirezionale con presa di parola libera faccia a faccia): conversazioni in casa; conversazioni sul luogo di lavoro; conversazioni nell’ambito scolastico e universitario; conversazioni in luoghi ricreativi e sui mezzi di trasporto.
(b) Tipo B (scambio comunicativo bidirezionale con presa di parola libera non faccia a faccia): conversazioni telefoniche normali; conversazioni telefoniche registrate alla radio; messaggi registrati nelle segreterie telefoniche.
(c) Tipo C (scambio comunicativo bidirezionale con presa di parola non libera faccia a faccia): assemblee legislative; dibattiti culturali; assemblee studentesche; assemblee sindacali; incontri di lavoratori; interrogazioni nei vari livelli di scuola; esami universitari; interrogatori processuali; interviste alla radio e alla televisione.
(d) Tipo D (scambio comunicativo unidirezionale in presenza del/i destinatario/i): lezioni di scuola; lezioni universitarie; relazioni a congressi o convegni politici, sindacali, scientifici; comizi politici; omelie; conferenze non specialistiche; arringhe giudiziarie.
(e) Tipo E (scambio comunicativo unidirezionale o bidirezionale a distanza o differito su testo non scritto): trasmissioni televisive; trasmissioni radiofoniche (LIP 1993: 35 segg.).
Le recenti innovazioni tecnologiche hanno ampliato notevolmente le possibilità dei media testuali: e-mail, short message system (sms), newsgroup, chat, weblog hanno modificato completamente il mondo della comunicazione e le sue leggi. Con i nuovi media, l’informazione è memorizzata e modificata facilmente, trasportata velocemente e veicolata grazie a un’agile integrazione tra diversi canali (➔ lingua e media; ➔ posta elettronica, lingua della; ➔ Internet, lingua di).
Per le produzioni legate a questo tipo di contesti, alla cosiddetta comunicazione mediata dal computer (nella formula originale inglese, computer mediated communication o CMC), è in corso da tempo una riflessione sulla natura scritta o orale dei testi, a seguito della quale sono state coniate varie etichette: written conversation, face-to-face scripturality, written speech, ecc. Di certo, entro questi nuovi ambiti comunicativi si stanno sviluppando consuetudini compositive caratteristiche che stanno producendo conseguenze significative, soprattutto tra i giovani, anche all’interno di ambiti di scrittura tradizionali (non ultimi gli elaborati scolastici).
È stato osservato come la tipologia diamesica sia facilmente e utilmente integrabile con altre, ad es., con quella tradizionale su base funzionale. In questo caso, una volta istituita l’opposizione relativa al canale di trasmissione ci si porrà la questione di differenziare i testi su base funzionale e di osservare, ad es., le differenze tra testi narrativi scritti e orali, testi espositivi scritti e orali, ecc. (Lavinio 2004: 148).
Nonostante l’esigenza di dare un ordinamento alla produzione di testi abbia portato all’individuazione teorica di classi e sottoclassi testuali, è importante sottolineare come nella concretezza né i generi, né i testi reali siano mai interamente omogenei.
Così, un testo qualificabile complessivamente come testo narrativo non è escluso, ed è anzi estremamente probabile, che contenga al suo interno sequenze descrittive o argomentative. Com’è anche probabile che brani di narrazione possano essere inseriti all’interno di testi globalmente classificabili come argomentativi o espositivi.
Per questo tipo di fenomeni esiste la possibilità di distinguere tra due diverse manifestazioni: (a) testi che hanno più di una natura, appartenendo contemporaneamente a più tipi testuali (come, ad es., le favole che si concludono con un’esplicita morale, che possono essere considerate testi narrativi ma in una certa misura anche testi argomentativi); (b) testi all’interno dei quali si combinano vari tipi testuali, e che sono dunque costituiti da porzioni che appartengono a tipi di testo diversi (Ferrari & Zampese 2000: 413). In entrambi i casi, un obiettivo principale è normalmente individuabile e fa di essi un testo di un determinato tipo.
Detto questo, se anche la combinazione di tipi testuali tende a non cancellare l’identità dei singoli testi, per i quali, come si è detto è normalmente identificabile una funzione globale, talvolta le zone di intersezione tra i diversi tipi e generi testuali sono ampie e i tipi testuali tendono a fondersi in ibridi caratterizzati da nuove finalità e da nuove caratteristiche strutturali (Dardano et al. 1992: 323). Questo fenomeno, in crescita, soprattutto nei giornali, ha portato a coniare l’etichetta «testi misti» (Dardano et al. 1992; Dardano 1994), applicabile a tutti quei testi contenenti al loro interno frammenti tipologicamente anomali: non in sintonia cioè con l’impianto generale del testo stesso.
Questa mescolanza può avvenire a tre livelli, e riguardare una combinazione: (a) di forme proprie dell’orale e dello scritto; (b) di tecniche discorsive; (c) di campi di conoscenze, con i loro modelli di azione (Dardano 1994: 176). Il fenomeno dei «testi misti» ha oggi dimensioni internazionali: i testi ‘puri’ sembrano sempre più rari e resistere solo a livelli specialistici, mentre è sempre meno raro, soprattutto nei media, trovare riunite all’interno di un medesimo testo forme e tecniche di scrittura e stilistiche tipiche di varietà testuali diverse (Lo Duca 2003: 198).
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