DELLA ROCCA, Tinuccio
Figlio di Guglielmo detto Lemmo di Gherardo, apparteneva a una famiglia originaria della Maremma pisana: visdomini di Rocca a Palmento presso Campiglia Marittima, da cui prendevano il nome, si trasferirono a Pisa nel corso del sec. XIII, pur mantenendo il possesso del castello avito e stretti rapporti con la Maremma.
Il padre del D. era giudice. Nel 1271 fu assessore del Comune di Pisa, ma, come gli altri membri della famiglia avanti il 1320, non partecipò attivamente alla vita pubblica della città toscana. I due maggiori rappresentanti dei Della Rocca nella prima metà del sec. XIV furono lo stesso D. e Dino di Ranieri, quest'ultimo appartenente ad un altro ramo della casata. Dei due, il personaggio di maggior rilievo fu il D., fortemente legato ai Della Gherardesca conti di Donoratico, signori di Pisa in quegli anni.
Il 5 nov. 1320 il D., come procuratore del giovanissimo conte Bonifazio Novello del fu Gherardo di Donoratico, ricevette da ser Betto Alliata 400 fiorini che questi aveva avuto in prestito dal defunto conte Gherardo. Il 19 febbr. 1321 rappresentò il conte Ranieri - prozio e tutore di Bonifazio - in una lite relativa ai confini di Terra di Nome e di Colmezzano in Val di Fine. Il 10 aprile fu collega dello stesso conte Ranieri nell'ufficio di capitano generale della masnada a cavallo, in una posizione cioè di particolare rilievo a fianco del nuovo signore di Pisa, poiché questi governava la città proprio in quanto ricopriva gli uffici di capitano della masnada e di difensore del Popolo. L'11 maggio, sempre come procuratore del conte Ranieri, ottenne dal podestà di Pisa la fissazione degli alimenti per Bonifazio e per la di lui sorella in 10.000 lire annue.
Morto il conte il D. divenne il tutore di Fazio Novello: per conto di quest'ultimo restituì, il 3 marzo 1326, a Cecco di ser Betto Alliata 100 fiorini d'oro e ancora per lui si recò alla fine di quell'anno in Aragona, ove ottenne, il 18 dicembre, dal re Giacomo II la conferma in feudo di tutti i beni che il giovane conte aveva detenuto in Sardegna prima della conquista definitiva dell'isola da parte degli Aragonesi (primavera 1326). Era ancora in Aragona nel marzo del 1327 e non poté perciò partecipare, sempre in rappresentanza di Bonifazio, ad una determinazione di confini tra i Comuni maremmani di Bibbona, Bolgheri e Casale Marittimo.
In questo periodo, ignoriamo esattamente in quale anno, sposò Checca di Opizo di Andrea Gualandi, appartenente ad un ramo di una famiglia che aveva cospicui interessi in Maremma, e legami con in conti di Donoratico. Dal suocero fu nominato, nel codicillo del 26 luglio 1326 al proprio testamento, tutore del giovane cognato Pietro; come tutore di costui, il D. ottenne.dai giudici della curia nuova dei pupilli, il 20 ottobre, la fissazione degli alimenti per il giovane, la madre e la sorella in 500 lire annue. A sua volta, quattordici anni dopo Pietro, nel testamento del 27 giugno 1340, nominò il D. esecutore testamentario e tutore dei suoi figli, con uno dei quali, Opizo, era ancora in rapporto nel 1371 la seconda moglie del D., Bernarda, ormai vedova.
Forti erano dunque i vincoli con i Gualandi, ma ancora più forti ed importanti erano quelli che legavano il D. al conte Bonifazio, vincoli per niente allentatisi dopo il raggiungimento. della maggiore età da parte del giovane conte: il 21 marzo 1328, nella casa dello stesso Bonifazio, a Bolgheri, il D. fu nominato, insieme con Berto del fu Ranieri Della Rocca, suo parente, da Ciolo del fu Giovanni Scacceri procuratore per presentarsi al vicario imperiale a Pisa. Quando poi, cacciato il vicario imperiale (il 17 giugno 1329), Bonifazio divenne signore di Pisa, il D. fu uno dei suoi consiglieri più ascoltati e fece parte delle commissioni di savi elette dagli Anziani per decidere sulle questioni più importanti.
In questo periodo il D., che risiedeva nella "cappella" di S. Lorenzo alla Rivolta nel quartiere di Mezzo, si trasferì vicino alla residenza del conte Bonifazio, nella cappella di S. Lorenzo nel quartiere di Chinzica, a sud dell'Arno, ove è attestato dal 1335. Prima del 1340 gli morì la moglie Checca Gualandi, ed egli sposò in seconde nozze Bernarda del conte Tedice Della Gherardesca di Donoratico. Bernarda, attestata dal 1346, apparteneva ad un ramo di quei conti diverso da quello cui apparteneva Bonifazio, ma che aveva forti interessi in Maremma: il padre di Bernarda era infatti uno dei signori di Sassetta, località non lontana da quella Rocca a Palmento di cui il D. ed i suoi parenti erano signori.
I vincoli fra il D. e Bonifazio erano così forti che il conte, nel suo testamento del 19 luglio 1337, oltre a lasciare il capitale necessario per assicurare il vitto e l'abbigliamento al D. e al fratello Gherardo per tutta la loro vita e 1000 lire allo stesso Gherardo, nominò il D. esecutore testamentario e tutore dei suoi figli. E infatti, dopo la morte del conte avvenuta il 22 dic. 1340, il D. esercitò la tutela dell'undicenne conte Ranieri Novello, che, il 28 ag. 1341, fu riconosciuto signore di Pisa. Questo riconoscimento è segno, da un lato, delle forti basi che il conte Bonifazio aveva saputo dare alla propria signoria, ma testimonia, dall'altro, la forza e le capacità politiche del D., il quale esercitò di fatto le funzioni del conte Ranieri Novello secondo la Balia del 30 ag. 1341 e fu il vero signore della città nei sette anni successivi. Come responsabile del governo di Pisa, il D. continuò la politica di partecipazione agli avvenimenti toscani avviata da Bonifazio, ma, a differenza di quest'ultimo, che aveva voluto assicurare la pace alla città, intraprese ardite ma non sempre fortunate azioni militari. Il primo obiettivo fu la soluzione della questione lucchese. Dapprima favorì Francesco Castracani, che stava organizzando una congiura - fallita - per occupare Lucca; poi, dal momento che Mastino Della Scala aveva deciso di vendere quella città al migliore offerente, cercò l'alleanza di Luchino Visconti. Forti dell'appoggio militare visconteo, i Pisani posero l'assedio a Lucca il 22 ag. 1341, provocando così una guerra con Firenze. Il 2 luglio 1342, tuttavia, Lucca fu conquistata: nell'ottobre si giunse ad un accordo con Firenze, che fu perfezionato l'anno successivo.
Negli ultimi mesi del 1343 si acuirono i contrasti tra Pisa e Luchino Visconti, a motivo delle terre del vescovo di Luni occupate dai Pisani: la guerra, che si svolse dalla primavera del 1344 a quella del 1345 e si concluse con la pace di Pietrasanta del 17 maggio 1345, fu disastrosa per il contado pisano, percorso e saccheggiato dalle truppe viscontee, e segnò un acuirsi della pressione fiscale. Quanto agli sbanditi pisani, Benedetto Maccaione Gualandi e i Della Gherardesca conti di Montescudaio, essi ne approfittarono per far ribellare molte terre del contado.
Di questo periodo ci sono pervenuti due interessanti documenti. Da essi veniamo a sapere che il 1° febbraio e il 5 marzo 1342 il D. era, insieme con il cancelliere degli Anziani ser Michele Lante da Vico, tra i mallevadori di due prigionieri volterrani: Belforte di Ottaviano Belforti e Taviano del fu Perugio, e che, il 12 giugno 1344, fu nominato, sempre con Michele e con la contessa Tora Della Gherardesca di Donoratico, prozia del conte Ranieri Novello, esecutore testamentario dal canonico pisano Giovanni del fu Repupero, rettore della chiesa di S. Lorenzo in Chinzica, nel cui territorio il D. abitava. A queste tre persone il canonico Giovanni concesse allora anche il diritto di nominare - insieme con i confratelli della Misericordia - il rettore dell'ospedale da lui fondato. Questi atti testimoniano da un lato il permanere di rapporti con il territorio volterrano, gia presenti nella famiglia Della Rocca nei decenni precedenti, dall'altro il forte radicamento del D. nella classe dirigente cittadina.
Le negative conseguenze economiche e finanziarie di guerre così costose, l'avventurosa politica estera voluta dal D. e lo strapotere della sua famiglia all'interno fecero crescere il malcontento in città e portarono al formarsi di due fazioni contrapposte: i Della Rocca ed i loro seguaci, detti raspanti perché accusati di profittare del pubblico danaro, da un lato, dall'altro coloro che erano stati progressivamente allontanati dal governo, i bergolini, capitanati dai Gambacorta, dagli Alliata e dai conti di Montescudaio, così chiamati dal soprannome Bergo dato al giovane conte Ranieri Novello.
Improvvisamente, Ranieri Novello morì il 5 giugno 1347, si disse di veleno propinatogli addirittura per volere dei Della Rocca (nel Medioevo le morti improvvise venivano facilmente attribuite al veleno). Veniva così a mancare colui che, per quanto trascurabile fosse stata la sua opera personale, rappresentava tuttavia l'elemento unificatore nel Comune: le divisioni già presenti nella cittadinanza ebbero modo di manifestarsi sempre più chiaramente. Seguirono sei mesi convulsi e incerti, segnati da vari tentativi di accordo tra le parti. Di questo periodo ci è pervenuto un solo documento relativo al D., dal quale si ricava che costui, il 23 ott. 1347, prese in prestito da Gualando Ricucchi del fu Giovanni Galvano 250 fiorini d'oro, e che suo fideiussore fu il conte Bernabò di Donoratico. Si noti che il fratello di Gualando Ricucchi, Ricucco, era l'ammipistratore dei beni dei conti di Donoratico in Sardegna, mentre il conte Bernabò era figlio di quel conte Ranieri signore di Pisa dal 1320 al 1325, a cui il D. doveva i suoi primi passi nella vita politica, e che era, insieme con il fratello Gherardo, tra i capi dei raspanti.
La situazione precipitò un paio di mesi dopo. La vigilia di Natale del 1347 i bergolini insorsero in armi: i sediziosi bruciarono e saccheggiarono le case di Dino e di Uberto Della Rocca e quelle dei conti Gherardo e Bernabò Della Gherardesca di Donoratico in S. Lorenzo alla Rivolta, oltre quella del D. in Chinzica. I Gambacorta, quella notte stessa, fecero uscire da Pisa i Della Rocca ed i contidi Donoratico, che si rifugiarono a Volterra.
A, questa, l'ultima notizia pervenutaci sul D., il quale dovette morire poco dopo. Dei suoi figli sono noti Giovanna, ricordata nel codicillo del 1340 al testamento del conte Bonifazio Novello; Silvestro, che, ancora minorenne, ottenne il 17 marzo 1358 il possesso di una quota del pascolo maremmano di Casalapi contro alcuni Upezzinghi; e Mattea, che fu poi moglie di Azzo, di Francesco degli Ubertini di Arezzo, per 'conto della quale la vedova del D., Bernarda Della Gherardesca di Donoratico, vendette il 30 maggio 1371 ad Opizzo Gualandi 26 pezze di terra sulle colline livornesi.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze, Diplom., Comunità di Volterra, 1338 ag. 5, 1346 maggio 6; Archivio di Stato di Pisa, Comune, Divisione A. nn. 31, 52-55, 92, 107-15; Ibid., Diplom., Agliata,1320 nov. 5, 1326 marzo 3, 1342 nov. 3; Diplom., Cappelli, 1326 luglio 2, 1340 giugno 27; Diplom., Pia Casa di Misericordia,1321 maggio 11, 1328 marzo 21, 1344 giugno 12; Diplom., Primaziale, 1341 giugno 25; Diplom., Roncioni, 1321 apr. 10, 1336 giugno 26, 1347 ott. 23; Diplom., Upezzinghi, 1326 ott. 30; Diplom., Coletti, 1348 marzo 15; Raynerius de Grancis, Cronica di Pisa, in L. A. Muratori, Rer. Ital. Script., XV, Mediolani 1729, coll. 1004, 1020; M. Maccioni, Difesa del dominio dei conti Della Gherardesca sopra la signoria di Donoratico, Bolgheri, Castagneto..., Lucca 1771, II, pp. 84-110; G. Villani Cronica, a cura di I. Moutier, Firenze 1823, XII, 126; Lettres communes des papes d'Avignon. Jean XXII (1316-1334),a cura di G. Mollat, Paris 1905-1946, IX, n. 50669; G. Caetani, Varia. Raccolta delle carte più antiche dell'Arch. Caetani e regesto delle pergamene del fondo pisano, Città del Vaticano 1936, pp. 26 s.; R. Sardo, Cronaca di Pisa, a cura di O. Banti, Roma 1963, in Fonti per la storia d'Italia, IC, p. 90; P. Tronci, Memorie istor. della città di Pisa, Livorno 1682, p. 344;R. Roncioni, Istorie pisane, a cura di F. Bonaini, Firenze 1844, I, 2, pp. 803, 806, 809; F. Ardito, Nobiltà, popolo e signoria del conte Fazio di Donoratico in Pisa nella prima metà del sec. XIV, Cuneo 1920, pp. 132, 136; N. Toscanelli, I conti di Donoratico Della Gherardesca signori di Pisa, Pisa 1937, pp. 442 s.; G. Rossi Sabatini, Pisa al tempo dei Donoratico (1316-1347), Firenze 1938, pp. 113, 207, 219 s., 224,232-35; M. Tangheroni, Politica, commercio, agricoltura a Pisa nel Trecento, Pisa 1973, pp. 39, 64, 66 s.; M. L. Ceccarelli Lemut, La Rocca di S. Silvestro nel Medioevo ed i suoi signori, in Archeologia medievale, XII (1985), pp. 328-33.