VITI, Timoteo
VITI (della Vite), Timoteo. – Nacque a Urbino nel 1470 da Bartolomeo di Piero Viti e da Calliope Alberti (Falcioni, 2008, pp. 6 s., fig. 1), figlia del pittore tardogotico Antonio Alberti da Ferrara, che Giorgio Vasari (1550, 1568, 1967, p. 247, 1976, pp. 265 s.) ricordava variamente attivo all’inizio del secolo nel ducato. Orfano di padre dal 1476 (Falcioni, 2008, p. 9), passò sotto tutela dello zio, don Giovanni Paolo, venendo educato dalla madre, la quale favorì l’attitudine artistica del figlio, che aveva mostrato una precoce inclinazione alla pratica del disegno e all’arte dell’oreficeria (Vasari, 1550, 1568, 1976, p. 266), forse inizialmente praticata nell’orbita delle fiorenti botteghe orafe urbinati dell’ultimo quarto del XV secolo (Cleri, 2009, p. 77).
Dal 1490 al 1495 (Malvasia, 1678) Timoteo si trasferì a Bologna presso la bottega di Francesco Raibolini, detto il Francia, principale fucina di talenti del tempo, grazie all’intercessione del fratello maggiore Pierantonio, umanista e allievo della scuola di medicina presso lo Studium. All’interno del fecondo contesto culturale bentivolesco Viti maturò la definitiva propensione verso l’arte figurativa: dai registri familiari di Raibolini risulta infatti che il 2 settembre 1491 Timoteo fu promosso al salone della pittura. In questo frangente l’artista ebbe la possibilità di frequentare uomini «virtuosi e di bello ingegno» (Vasari, 1550, 1568, 1976, p. 266), maturando quelle doti cortesi per le quali venne poi ricordato dalla critica (Procaccini, 2019a, pp. 179-187). Allontanatosi dalla bottega del Francia il 4 aprile 1495 (Malvasia, 1678), ritornò a Urbino, dove si impose nel ruolo di principale pittore di corte sin allora ricoperto da Giovanni Santi, scomparso nell’agosto del 1494.
Nella più antica prova pervenutaci, l’Orazione di Cristo nell’orto (Bristol, City Art Gallery, inv. K1648), gli echi della cultura ferrarese assimilati a Bologna s’innestano su uno stile analitico alla fiamminga; il medesimo tema è affrontato nella miniatura conservata nel Museum of art di Cleveland (inv. 1927.161), proveniente da palazzo Antaldi a Urbino (Dolci,1775, 1933, p. 326).
Tra le prime opere realizzate nel ducato figura la tela a tempera con la Madonna col Bambino tra s. Crescentino e s. Donnino (Milano, Pinacoteca di Brera, inv. 576), commissionata per l’altare della cappella della Confraternita di S. Croce nella cattedrale urbinate, dove viene ricordata da Vasari (1550, 1568, 1976, p. 267), e conclusa dopo il 1501, anno in cui Timoteo prese in moglie Girolama di Guido Spacioli (Pungileoni, 1835, p. 9); il committente Marino Spacioli, figura di spicco della comunità, citato in un’iscrizione sul verso della tela, era lo zio della consorte di Viti. I debiti con la pala Casio realizzata a Bologna da Giovanni Antonio Boltraffio nel 1500 (Venturi, 1914) suggeriscono un soggiorno dell’autore nella città felsinea intorno al 1502, al tempo dell’invasione del ducato da parte di Cesare Borgia. Il rientro a Urbino precedette il 31 gennaio 1503, quando all’artista furono commissionate dai priori cittadini alcune insegne di Borgia da apporre sopra gli archi d’ingresso alla città (Falcioni, in Timoteo Viti, 2008, p. 46, n. 73) ma colpite da damnatio memoriae dopo il ritorno dei Montefeltro, il 24 agosto di quell’anno (Cleri, 2005).
Al 1504 risale la commissione a Viti e Girolamo Genga della decorazione della cappella dedicata a s. Martino nella cattedrale di Urbino, da parte della duchessa reggente, Elisabetta Gonzaga, e di uno dei priori della città, Alessandro Ruggeri, esecutori testamentari del defunto arcivescovo Giovan Pietro Arrivabene, di origini mantovane. Gli affreschi, scialbati nel XVII secolo, dovettero essere eseguiti congiuntamente dai due pittori (Cleri, 2005). Di Viti restano un cospicuo nucleo di disegni collegati al progetto decorativo (Ferino Pagden, 1979, pp. 127-144) e la pala d’altare con I ss. Tommaso Becket e Martino di Tours adorati dal vescovo Giovan Pietro Arrivabene e dal pronipote Giacomo, in cui l’aria tersa e la materia lucente della pittura fiamminga sono trattate con nuova dolcezza, in sintonia con le coeve ricerche del Perugino (La France, 2015, pp. 1216-1222; Procaccini, 2019b, p. 97).
Il 20 marzo 1505 è attestata un’ulteriore collaborazione tra Viti e Genga: il pagamento per l’esecuzione di un tabernacolo, perduto, per la cappella del SS. Sacramento nella cattedrale (Pungileoni, 1835, p. 13). A seguito della pestilenza propagatasi a Urbino e nel suo contado, Viti si spostò a Pesaro: tra il 4 e il 7 luglio 1505 è documentato sia per la realizzazione di «bardos et cetera» per l’ingresso del signore di Senigallia, Francesco Maria Della Rovere, designato successore al ducato, sia per la collaborazione con alcuni artisti forestieri, tra cui il ferrarese Giovanni di Francesco di Malatesta e il parmense Alessandro di Giannone, attivi «in societate magistri Hieronimi de Genghis, magistri Thimothei et magistri Evangeliste de Urbino pictorum» (Berardi, 2001, pp. 124 s.). A questo momento dovrebbe risalire la Madonna col Bambino in trono, riconosciuta in una collezione privata francese (De Marchi, 2018, pp. 98 s.), e forse identificabile con una tavola realizzata per i francescani della città (Becci, 1783; Procaccini, 2019c, p. 101).
Rientrato a Urbino nel 1506, Viti realizzò il suo Autoritratto a trentasei anni (Hagerstown, Washington County Museum of fine arts, inv. A1062, 59.0023), in cui l’età dell’autore è capziosamente illustrata tramite un’iscrizione in caratteri greci, secondo l’antico sistema di calcolo acrofonico (La France, in Timoteo Viti, 2008).
Per lo «studiolo secreto» del duca Guidubaldo, detto tempietto delle Muse, a completamento dell’antico ciclo decorativo realizzato da Santi e dalla sua bottega, ma reso mutilo dai saccheggi di Borgia nel 1502-03, Viti eseguì le tavole con Apollo e la Musa Talia (Firenze, collezione Corsini, invv. 239, 240), citate da Vasari (1550, 1568, 1976, p. 268), che ricordava di sua mano un’altra Musa, cui Bernardino Baldi (1587, 1590, p. 537) aggiungeva una «Pallade con l’egida» e altre sette Muse, riconducendo a lui l’intero ciclo.
Persiste nella Talia la fedeltà ai modi di Francia e di Lorenzo Costa, prossimi alla S. Apollonia, che Vasari (1550, 1568, 1976, p. 267) registrava nella chiesa della Trinità di Urbino e oggi è presso la Galleria nazionale delle Marche (inv. 1990 D71), e alla S. Maria Maddalena (Galleria nazionale delle Marche, inv. 1990 DE235), pala d’altare della cappella fondata nel 1508 nella cattedrale da Ludovico Amaduzzi, arciprete di S. Cipriano (Pungileoni, 1835, p. 43). Nell’agosto di quell’anno Viti venne insignito della carica di priore del Comune di Urbino, sancendo una prosperità documentata anche dall’ampliamento della bottega (Falcioni, in Timoteo Viti, 2008, pp. 53 s., nn. 88-91, pp. 56 s., n. 96).
Un contratto del 29 marzo 1507 attesta la ripresa della collaborazione con Genga per la realizzazione di un vessillo, perduto, che doveva raffigurare S. Crescentino che uccide il drago, patrono della città (ibid., pp. 49-52, n. 82). Vasari (1550, 1568, 1976, p. 268) menziona inoltre l’esecuzione di alcune barde da cavallo eseguite sempre «in compagnia del Genga» e inviate in dono al re di Francia, e degli apparati effimeri per l’ingresso a Urbino, agli inizi del 1510, della duchessa Eleonora Gonzaga, novella sposa di Francesco Maria Della Rovere (Shearman, 1970).
Dal Libro generale dell’estimo di Urbino (Pungileoni, 1835, p. 105) si evince che il 19 dicembre 1510 Viti era incluso tra i cittadini di terzo grado, presumibilmente a causa della sua prolungata assenza dal ducato, da cui risulta lontano tra la primavera del 1510 e l’estate del 1511. In questa congiuntura si colloca il soggiorno a Roma per affiancare Raffaello Sanzio nel cantiere decorativo della cappella di Agostino Chigi in S. Maria della Pace (Vasari, 1550, 1568, 1976, p. 267), cronologicamente coincidente con i lavori di Sanzio nella stanza della Segnatura (Knab - Mitsch - Oberhuber, 1983; Bartalini, 1996; Ballarin, 2017). Il suo intervento, su disegni di Raffaello, si individua nelle figure dei Profeti nel registro superiore della facciata della cappella e in alcuni brani meno sostenuti della fascia con le Sibille (Oberhuber, 1982, e 1999; Procaccini, 2019d). L’esperienza romana impresse un lieve aggiornamento alla pittura di Viti dopo il suo ritorno a Urbino, consentendogli inoltre di entrare in possesso di un cospicuo nucleo di disegni di Sanzio, di cui si avvalse nella sua produzione successiva (Rinaldi, 2019).
La ricezione delle novità colte nell’Urbe, un nuovo modo di concepire le figure nello spazio, pose e gesti più assertivi, un ritmo più pausato della composizione, emergono nella pala del Noli me tangere con s. Michele Arcangelo e s. Antonio Abate, commissionata dalla Confraternita dell’oratorio di S. Angelo Minore di Cagli e realizzata dopo il rientro nel ducato, attestato nel marzo del 1512 (Falcioni, in Timoteo Viti, 2008, p. 58, n. 102). A quest’anno risale l’esecuzione di un perduto affresco con l’Assunzione della Vergine nell’abbazia di S. Cristoforo a Casteldurante, per il quale Viti, il 25 settembre, fu saldato dalla badessa delle monache terziarie di S. Maria dei Servi (Vasai e pittori..., 2004).
Nel 1513 sono attestate alcune compravendite di terreni e la sua rinnovata elezione tra i priori (Pungileoni, 1835, pp. 104 s.). Della produzione di opere devozionali per le famiglie più prestigiose del ducato resta la piccola tavola raffigurante la Madonna col Bambino e s. Giovannino, oggi in una collezione privata statunitense (Ambrosini Massari, 2018, p. 26, fig. 68), nella quale si può riconoscere il dipinto registrato in casa Bonaventura a Urbino da Luigi Lanzi (1783, 2003), secondo cui le figure «tengono della prima maniera di Raffaello» (p. 103).
Alla seconda metà del decennio risale la pala con l’Annunciazione tra s. Giovanni Battista e s. Sebastiano per l’altare Bonaventura nella chiesa di S. Bernardino, al di fuori delle mura cittadine (Milano, Pinacoteca di Brera, inv. 172), dove la tenace affezione al magistero del Francia s’impone sotto il profilo iconografico e stilistico (Forlani Tempesti, 2001, pp. 34 s.; Galizzi Kroegel, in Timoteo Viti, 2008, pp. 125 s.), tanto da far presupporre una verosimile trasferta bolognese: la composizione è infatti esemplata su quella del maestro (1500) per la chiesa della SS. Annunziata e il disegno preparatorio (Istituto nazionale per la grafica, inv. F.C. 127653) è modulato sul progetto di Raibolini al Louvre (inv. RF 550). Del resto, tra il febbraio e il settembre del 1513 e per l’intero anno 1514 è documentata l’assenza di Viti da Urbino.
Ancora in stretto dialogo con la cultura figurativa emiliana è la vetrata policroma, rappresentante l’Annunciazione con stemmi della famiglia Guidalotti (Galleria nazionale delle Marche, inv. 1190 V3), commissionata intorno al 1518 per la chiesa urbinate di S. Maria della Torre. Viti eseguì il cartone preparatorio e la rifinitura pittorica delle parti principali, affidandone la traduzione ai mastri vetrai della comunità domenicana di Urbino, allora in rapporto con i confratelli bolognesi (Montevecchi, in Timoteo Viti, 2008).
Il percorso successivo conferma le resistenze di Viti ad assimilare compiutamente le radicali innovazioni raffaellesche e la tendenza a riutilizzare più antiche invenzioni di Sanzio conosciute attraverso i disegni, come nel caso dell’affresco raffigurante la Madonna con il Bambino, già presso casa Viti e oggi nella Galleria nazionale delle Marche, opera della sua inoltrata attività, dove la formula del gruppo sacro è tratta da studi di Raffaello evidentemente a sua disposizione (Procaccini, 2019e, p. 163).
Nel febbraio del 1518 Viti divenne confratello della Compagnia di S. Giuseppe, dalla quale fu pagato il 29 marzo per avere eseguito insieme a Evangelista da Piandimeleto le figure di due angeli, nove armi ducali e un grande fregio sulla facciata della chiesa del Corpus Domini (Pungileoni, 1835, p. 106). Nello stesso anno partecipò al cantiere decorativo della cappella Lombardini nella chiesa di S. Francesco a Forlì, i cui affreschi con «l’Assunzione della Madonna con molti Angeli e figure a torno» (Vasari, 1550, 1568, 1976, p. 348) furono commissionati a Genga, assistito dall’allievo Francesco Menzocchi, il 24 aprile (Grigioni, 1927, pp. 180-182, n. 39).
Nel 1519 Viti è di nuovo attestato nel ruolo di consigliere della Compagnia di S. Giuseppe a Urbino, dove insieme a Evangelista da Piandimeleto e allo scultore Pietro Rosselli compare come testimone in un processo (Scatassa, 1903, p. 114, n. 9); il 23 giugno fu pagato dalla Confraternita del Corpus Domini per la realizzazione di «cinque calici grandi nel tondo in campo azuro» (Moranti, 1990, p. 222; Falcioni, 2009, p. 321, n. 439).
Il 29 gennaio 1520 ricevette, con Evangelista, un pagamento per l’esecuzione di due Crocifissi, perduti, per la Compagnia di S. Antonio Abate (Pungileoni, 1835, p. 107).
Riconfermato, anche per il 1522, consigliere della Compagnia di S. Giuseppe (ibid., p. 106), continuò a ottenere numerose commissioni a fianco di Evangelista, tra cui la richiesta di «sei arme grandi» da parte della Confraternita del Corpus Domini, su indicazione di Francesco Maria Della Rovere, tornato a essere il legittimo reggente del ducato (Moranti, 1990, p. 223; Falcioni, 2009, p. 331, n. 480).
Nei primi mesi del 1523 Timoteo fu eletto visitatore degli infermi per la stessa Confraternita di S. Giuseppe e con il pittore meletino realizzò ancora «dieci arme papali e del signor ducha» per la Compagnia del Corpus Domini. La morte dell’artista, risalente al 10 ottobre, è segnalata dal registro della Confraternita di S. Giuseppe (Pungileoni, 1835, p. 66). La bottega di Viti fu ereditata dal figlio Piervita, che ne proseguì l’attività insieme a Evangelista da Piandimeleto.
Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori nelle redazioni del 1550 e del 1568 (1550, 1568), testo a cura di R. Bettarini, commento secolare a cura di P. Barocchi, II, Firenze 1967, p. 247, IV, 1976, pp. 265-268, 348; B. Baldi, Descrittione del Palazzo Ducale di Urbino (1587), in Versi e prose di monsignor Bernardino Baldi da Urbino, abbate di Guastalla, Venetia 1590, p. 537; C.C. Malvasia, Felsina pittrice: vite de pittori bolognesi, I, Bologna 1678, p. 55; M. Dolci, Notizie delle pitture che si trovano nelle chiese e nei palazzi di Urbino (1775), a cura di L. Serra, in Rassegna marchigiana, XI (1933), pp. 238-367; A. Becci, Catalogo delle pitture che si conservano nelle chiese di Pesaro, Pesaro 1783, p. 146; L. Lanzi, Viaggio del 1783 per la Toscana Superiore, per l’Umbria, per la Marca, per la Romagna: pittori veduti, antichità trovatevi (1783), a cura di C. Costanzi, Venezia 2003, p. 103; L. Pungileoni, Elogio storico di T. V. da Urbino, Urbino 1835; E. Scatassa, Evangelista di mastro Andrea di Piandimeleto pittore, in Rassegna bibliografica dell’arte italiana, VI (1903), pp. 110-121; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, VII, La pittura del Quattrocento, 3, Milano 1914, p. 981; C. Grigioni, La dimora di Girolamo Genga in Romagna e la cappella Lombardini nella chiesa di S. Francesco a Forlì, in La Romagna, XVI (1927), pp. 174-183; J. Shearman, Raphael at the court of Urbino, in The Burlington Magazine, CXII (1970), pp. 72-78; S. Ferino Pagden, T. V. Zeichnungen zum verlorenen Martinszyklus in der Kapelle des Erzbischofs Arrivabene im Dom von Urbino, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXIII (1979), pp. 127-144; K. Oberhuber, Raffaello, Milano 1982, p. 100; E. Knab - E. Mitsch - K. Oberhuber, Raffaello: i disegni, Firenze 1983, p. 612, n. 347, p. 617, n. 386; L. Moranti, La Confraternita del Corpus Domini di Urbino, Ancona 1990, pp. 222 s.; R. Bartalini, Le occasioni del Sodoma: dalla Milano di Leonardo alla Roma di Raffaello, Roma 1996, pp. 59 s.; K. Oberhuber, Raphael. The paintings, Monaco-Londra-New York 1999, pp. 137 s.; P. Berardi, Arte e artisti a Pesaro: regesti di documenti di età malatestiana e sforzesca. Pittori, II, in Pesaro. Città e contà, XIV (2001), pp. 124 s.; A. Forlani Tempesti, T. V., Due studi di teste giovanili, in Da Raffaello a Rossini. La Collezione Antaldi: i disegni ritrovati (catal., Pesaro), a cura di A. Forlani Tempesti - G. Calegari, Ancona 2001, pp. 34 s., n. 13; Vasai e pittori a Casteldurante nei primi due decenni del secolo XVI, a cura di S. Balzani - M. Regni, Urbino 2004, pp. 24 s.; B. Cleri, T. V. tra Cesare Borgia e Guidubaldo da Montefeltro, in Cesare Borgia di Francia: Gonfaloniere di Santa Romana Chiesa (1498-1503). Conquiste effimere e progettualità statale. Atti del Convegno..., Urbino... 2003, a cura di M. Bonvini Mazzanti - M. Miretti, Ostra Vetere 2005, pp. 407-426; T. V. 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