TIMOTEO di Mileto
Musico e poeta famoso, specialmente per ditirambi e nomi (v.), scolaro di Prynis di Mitilene, vissuto fra la metà del V e la metà del sec. IV, rappresenta tipicamente la trasformazione che la lirica corale subì tanto, e soprattutto, nella musica, alla quale la poesia (λέξις) è ormai subordinata, quanto nello stile e nella tecnica rappresentativa.
Gli antichi conoscevano di lui, raccolti in diciotto libri, "nomi, proemî ditirambi, inni, encomî", ma il giudizio dei contemporanei gli fu prevalentemente e aspramente contrario, quantunque non gli mancassero fautori appassionati, primo, per tempo e per autorità Euripide, che non solo - secondo una testimonianza di Plutarco - lo incoraggiò prevedendo che egli avrebbe finito col dominare il pubblico dei teatri, ma volle scrivere lui il proemio al nomo I Persiani. Tale preziosa notizia è data da Satiro nella Vita di Euripide, scoperta nel 1911 e pubblicata nei papiri di Ossirinco (IX, n. 1176), e senza ragione se n'è impugnata la veridicità: solo, poiché la morte di Euripide (anno 406) precede alla data verisimile della rappresentazione dei Persiani (anno 400?), resta a vedere se questa data possa essere mantenuta e se, mantenendola, non debba assumersi come indice della gravità dell'opposizione alle novazioni lo spazio di tempo fra composizione dell'opera e rappresentazione. Noi non possiamo apprezzare convenientemente le innovazioni profonde di tecnica musicale, dovute a Timoteo o a cui egli soltanto partecipò, specialmente per l'abbandono dell'antica diatonica ed enarmonica e per il grave conseguente mutamento dei toni, onde si ebbero soprattutto nuove armonie, ricche di pathos: un indice è offerto dal fatto che, mentre Terpandro, l'inventore del nomo, aveva consacrato alla grave composizione il classico eptacordo, Timoteo aveva una cetra di undici e fino di dodici corde. La trasformazione del nomo sta indubbiamente in rapporto con l'evoluzione, questa non in tutto recente, del ditirambo, che dopo avere cacciato di seggio tutte le altre forme di melica, eccetto il nomo, finisce, con Timoteo, col trasformare anche questo.
Al mutamento della musica e della struttura metrica corrispose il sorgere di una virtuosità formale per cui la nuova arte, se testimonia sotto più rispetti facoltà d'ingegno, ripugna profondamente alla caratteristica essenziale dell'arte classica che è di semplicità, di schiettezza, di misura. Gli scarsi frammenti di Timoteo che erano stati conservati, così dei nomi, come degl'inni e di altre composizioni, testimoniavano già l'affermarsi di un vero e proprio secentismo, nello studio e nell'abuso delle metafore, nell'invenzione di nuovi epiteti e, in genere, di nuovi composti, nell'audacia con cui si superano i vincoli tradizionali della lingua letteraria. La scoperta di un papiro, oggi conservato nel Museo di Berlino, del sec. IV a. C. (il più antico manoscritto letterario greco che esista) contenente più che 250 versi del nomo citaredico di Timoteo, intitolato I Persiani (πέρσαι), mutilo in principio, conferma quanto si era intuito dai frammenti, spiega i giudizî degli antichi e la fortuna varia di un autore letterariamente di scarso valore, ma di grande importanza come indice di una tendenza diffusa dei tempi. Il nomo, probabilmente "coralmente monodico", cioè cantato all'unisono del coro, e composto, con ogni verisimiglianza, per una riunione festiva degli Ioni dell'Asia Minore, ha per argomento la battaglia di Salamina, soggetto trattato interamente, ma con un tono di gran lunga minore di fronte all'altezza non solo di Eschilo, ma della stessa narrazione erodotea. È sensibile lo sforzo, quasi futurista, dell'autore per rendere per immagini e nuove parole l'impressione dei fatti che rappresenta, più che descriverli esteriormente: compito più della musica sovrana, e a noi ignota, che della poesia, la quale, da sola, ci appare eccessivamente artificiosa e artisticamente inconsistente, ma che non dobbiamo mai dimenticare essere destinata al canto, non alla lettura. Caratteristico è che Timoteo si compiaccia di sforzarsi di rendere anche materialmente, ma senza alcun effetto d'arte, e abbassando quindi il nomo a un tono quasi di mimo, situazioni realistiche.
Il prevalere della musica sulla λέξις e la ricerca dell'effetto anche per espedienti materiali di espressione poetica, spiegano il giudizio che di Filosseno e di Timoteo dà Plutarco (De Mus., p. 1135 D), il quale attribuisce loro τὸν ϕιλάνϑρωπον καὶ ϑεματικὸν τρόπον, che è quanto dire un'arte che mira alla rappresentazione della vita umana e a rendere soggetti ed effetti determinati. Certo è che la nuova arte riuscì in qualche modo a vincere resistenze, diffidenze e, sotto un certo rispetto, anche incomprensioni. Già la posizione d'Aristotele (Poet., II, 21) è, si può dire, di rispetto, e il favore che Timoteo riuscì, in vita e oltre, a ottenere è testimoniato, oltre che dal pregio che gli Efesî attribuirono, compensandolo con mille monete d'oro, all'inno Artemide da lui composto, dalla statua che gli fu eretta nella biblioteca di Pergamo, dal fatto che le sue composizioni tennero lungamente la scena.
Bibl.: trad. it.: G. Fraccaroli, Lirici greci, I, p. 508; U. Wilamowitz, Timotheos, Die Perser, Lipsia 1903 (si ripubblicano anche i frammenti); E. Diehl, Anthologia Lyrica, II (1925), p. 134; V. Inama, in Rendiconti del R. Ist. Lombardo di scienze e lettere, XXXVI (1903), pp. 626-49; V. Strazzulla, I Persiani di Eschilo e il nomo di T., Messina 1905; F. Kenyon, Greek papyri and their contribution to classical literature, Cambridge 1918; C. I. Ellingham, I Persiani di T., in J. U. Powell e A. Barber, Nuovi capitoli di storia della letteeratura greca, trad. di N. Martinelli, Firenze 1935, pp. 87-98.