BENDEDEI, Timoteo
Nacque a Ferrara intorno al 1447 da Battista Bendedei e Giovanna, della nobile famiglia Zoboli da Reggio, i quali lo istradarono nello studio delle scienze; ma egli si applicò più che altro a quello della poesia così latina come volgare.
A Ferrara dové il B. maturare le prime esperienze di poeta in volgare e in latino nell'ambito del circolo letterario di Ercole I e sotto la protezione del cardinale Ippolito. Una produzione di cui rimangono quasi soltanto testimonianze indirette, dovute forse più al prestigio del cortigiano che non all'autorità del letterato, anche ammesso che gran parte delle rime possa ritenersi perduta (ma il Pistoia avvertiva che "Timoteo fa in un anno un verso appena"). L'Ariosto comunque gli dedicava un carme latino ("Ignaro servuni domino promittere quicquam") e lo ricordava nel Furioso insieme con Niccolò da Correggio cantare le virtù di Beatrice d'Este: "Un signor di Correggio di costei / Con alto stil par che cantando scriva, / E Timoteo, l'onor de' Bendedei: Ambi faran tra l'una e l'altra riva Fermare al suon de' lor soavi plettri / Il fiume ove sudar gli antiqui elettri". Lilio Gregorio Giraldi lo definiva "nobilis... et delicatus poeta" (De poetis nostrorum temporum, Dialogo I) e Tito Strozzi "Non rudis ac lenis est sermo tuus, et male compares - scriveva indirizzando il suo terzo sermone al B. - sed nitidus, gravis atque elegans".
L'amicizia col Tebaldeo, che fra tutte deve forse considerarsi come la più sincera e duratura, procurò al B. i favori della corte mantovana, presso Ludovico Gonzaga e soprattutto presso Isabella d'Este, alla quale il ferrarese faceva pervenire il 30 maggio 1494 un saggio di poesie, tramite e protagonista proprio il Bendedei. Le rime accennano a un amore tragico dei poeta concluso col suicidio della donna amata: "Posa, Thimoteo caro, e ti conforta. / A che pianger in fin de chi non vole / Viver ?... / Più non mi ammiro se in sì lungo spatio / Non ebbe l'empia del tuo mal pietade, / Quando del proprio corpo fa tal stratio". Ma nella lettera di accompagno, datata in Bologna il 6 maggio, il Tebaldeo non mancava di scherzare ironicamente sulla disperazione dell'amico "... ho inteso lo incredibile affanno che ha preso Thimoteo nostro per la immatura morte de l'amata sux et per exequire quanto quella me impone lo conforto con dui sonetti che li mando, ma voglio che sappia ch'io non ge credo questa sua passione. Lui come astuto finge de esser disperato, perché qualche donna in Mantua se inclini più facilmente ad amarlo vedendo la grande dimostratione fa per questa. Conosco hormai li colpi soi...".
Il B. risiedeva a Mantova ancora al principio del 1503, come si ricava da una testimonianza di Ercole Strozzi e di Pietro Bembo, che il 6 gennaio di quell'anno scrivevano da Ferrara d'essere stati invitati a Mantova per mezzo del B., il quale era reduce dalla corte dei Gonzaga. Fra le due date si dovrà collocare un soggiorno del poeta alla corte di Antonia Del Balzo a Gazzuolo. donde partì il 5 marzo 1501 allorché il vescovo lo incaricò di procurargli a Ferrara certe commedie di Plauto tradotte da Battista Guarino (cfr.: V. Cian, Pietro Bembo e Isabella d'Este Gonzaga, in Giorn. stor. d. letter. ital., IX [1887], p. 93). Soggiorno confermata dai versi che un oscuro rimatore, Ruggiero di Pazienza, indirizzava ad Antonio Del Balzo, accennando alla familiarità col B.: "Non son lo Chariteo, non son Antonio / Nè men el vostro docto Timoteo" (B. Croce, Antonia del Balzo regina di Napoli in un inedito poema sincrono, Napoli 1897, p. 10).
Da Mantova il B. tornò a Ferrara, ove dové presumibilmente risiedere fino al 1511. Il Pasquazi avverte che nella Biblioteca comunale Ariostea di Ferrara si conserva il testo autografo della concessione fatta da Alfonso I d'Este al B. il 16 genn. 1506 per l'esazione dei crediti, concessione confermata da Giovanni Gozzadini, governatore di Parma, per conto di Leone X, tramite i commissari Carlo Rubini e Io. A. Fasolo (Reggio, 20 sett. 1513). E lo stesso Pasquazi ha rintracciato la notizia secondo cui il B., unitamente alla madre, eresse "tra i confini di Bondeno, in luogo denominato Scortichino, una chiesa col titolo dell'Annunziata", chiesa che fu poi eretta in parrocchiale.
Il B. visse gli ultimi anni a Reggio, ove tra il 1511 e il 1512 s'incaricò per conto di Isabella d'Este dell'acquisto di oggetti dosso nella cui lavorazione la città godeva di particolare rinomanza. "Il Po si può allegrar del Tibaldeo / E Jesi del Coluccio farsi lieto / E Reggio s'affregiar dei Timoteo": così Enea Irpino da Parma elencando in un sonetto i poeti più celebri del suo tempo.
A Reggio morì il 4 sett. 1522, "come si rileva dalla partecipazione che all'indomani suo nipote Filippo si credeva di dover mandare a Isabella, ricordandole che lo zio le era stato sempre 'bono servitore' e protestando che anche egli desiderava esser 'riconosciuto' per tale dalla marchesa" (Luzio - Renier). A conferma di queste precisazioni il Bertoni riportava una lettera che Taddeo Bendedei scrisse ad Alfonso d'Este il 12 settembre del 1522: "Penso che V. S. Ill.ma sappia come è mancato messer Thimoteo a Reggio et quasi di morte subitanea".
L'accertamento della morte del B. permise anche ai Luzio-Renier di identificare il poeta, noto col soprannome di "Filomuso" (che gli avrebbe procurato questo distico velenoso: "Tu Phylomusus amans Musas es, nescio vero / Ipsae si Musae sint Phylobendediae"), con quel "Philomuso corrigente" al quale fu affidata dal Paganini la correzione delle folenghiane Macheronee publicate nel 1521. In questo caso il B. avrebbe potuto conoscere il Folengo quando questi passò nel Ferrarese alcuni anni della giovinezza.
Secondo la testimonianza di Agostino Superbi (Apparato degli uomini illustri della città di Ferrara, Ferrara 1620) alcuni ritennero che a Reggio il B. trovasse sepoltura, ma fu probabilmente sotterrato "nell'avello de' suoi maggiori" a Ferrara, come confermano la notizia biografica apposta in appendice alle Rime scelte de' Poeti ferraresi antichi e moderni e Marcantonio Guarini nel Compendio istorico dell'origíne, accrescimento e prerogative delle Chiese e luoghi pii della città e diocesi di Ferrara. Il cremonese Benedetto Lampridio indirizzò al Tebaldeo una poesia sinceramente commossa in morte del comune amico: "Tebalde, carminum meorum candide / Iudex, pudor quis aut modus Fiet dolori ?...".
Perduta la produzione in latino che dovette essere considerevole, anche a voler attenuare quanto affermava il Libanori secondo cui il B. avrebbe superato in attività tutti gli altri poeti della sua epoca - restano dello scrittore poche liriche in volgare, riprodotte recentemente dal Pasquazi, dalle scarse e sporadiche stampe (uno strambotto nell'Opera nuova di Vincenzo Calmeta, Lorenzo Carbone, Orfeo Mantovano e Venturino da Pesaro, e altri autori ... Venezia 1508, c. 31; due sonetti nelle Rime scelte de' poeti ferraresi antichi e moderni, Ferrara 1713, p. 52; un sonetto pubblicò F. Flamini in Tre sonetti patriottici di poeti dell'estremo Quattrocento, Pisa 1895), oppure edite per la prima volta (dai mss. Est. ital. n. 809 [α M. 7,15] e n. 836 [H. 6. 1], che ampliano di poco i limiti della produzione del B., ma che offrono comunque agli studiosi qualche materia su cui basare un giudizio sull'esile personalità letteraria del ferrarese).
Si tratta nel complesso di una poesia che conferma le generali tendenze del gusto quattrocentesco per l'imitazione del Petrarca. Il modello del Tebaldeo si manifesta nel rapido strutturarsi di immagini accese, propense a risolversi in figure allegoriche (come nel madrigale "Strinsemi Amore, ma non con tanta cura") o più spesso a definire le linee di certa enigmatica psicologia che appaga il piacere ricercato dei concetto (nel madrigale "Quant'è più alto monte ha più neve", e più nel sonetto "Nasce nel Oriente uno animale"). Nel sonetto si giunge di solito, dopo marcature ritmiche e sintattiche fortemente rilevate, a una chiusa d'effetto epigrammatico. Il madrigale, che presenta ancora una struttura compatta, forse meglio si adatta a circoscrivere un breve motivo riflessivo, oltre il quale non si avventura la scarsa ispirazione del Bendedei.
Bibl.: Le notizie biogr. e bibliogr. più esaurienti sono in A. Luzio-R. Renier, La cultura e le relaz. letter. di Isabella d'Este Gonzaga, in Giorn. stor. d. lett. ital., XXXV (1900), pp. 196 ss., e in S. Pasquazi, T. B., in Rinascimento ferrarese, Caltanissetta-Roma 1957, pp. 202 ss. Cfr. inoltre A. Libanori, Ferrara d'oro, III, Ferrara 1665, pp. 237 ss.; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, 11. 2, Brescia 1760, pp. 797-99; L. Ughi, Diz. storico degli illustri ferraresi, I, Ferrara 1804, pp. 39-46. Giudizi letter. sull'opera del B. in G. Carducci, La gioventù di Ludovico Ariosto e la poesia latina in Ferrara, in Opere, ed. naz., XIII, p. 317; G. Bertoni, L'Orlando Furioso e la Rinascenza a Ferrara, Modena 1919, passim; M. Catalano, Vita di Ludovico Ariosto, I, Genève 1931, p. 144; A. Benvenuti, "Timoteo, l'onor de' B.", in Giorn. stor. d. letter. ital., LXXX (1963), n. 3, pp. 482-488.