TIMAVO (A. T., 24-25-26)
Celebre fiume del Carso triestino, che sbocca nell'Adriatico. È lungo circa 71 km., dei quali 37 di corso sotterraneo. Il corso superiore, localmente chiamato Recca, ha principio a m. 670 sul mare, alle falde orientali del monte Dletvo (784 m.), e con direzione generale verso NO. percorre una valle normale larga, sovralluvionata e fertile nel terreni eocenici della sinclinale Timavo-Vippacco, i quali, per essere impermeabili, consentono quel corso superficiale che va soggetto a perdite notevoli non appena entra nei calcari. Attraversa gallerie parziali, apparisce sul fondo di due grandi doline e poi s'immette nella grotta di S. Canziano, dove lo si poté seguire per oltre 2 km. Presso Trieste passa in fondo alla voragine di Trebiciano e a S. Giovanni di Tuba ritorna alla luce, gettandosi, dopo breve percorso, nel golfo di Panzano. Dalle esperienze fatte nel 1907, con un sale di litio sciolto nella Recca a S. Canziano, risulta che le acque di questo fiume si dividono tra più gallerie, per riapparire sulle rive del golfo di Trieste, non solo nel Timavo, ma anche in altre sorgenti carsiche sulla lunghezza di circa 22 km. Con questo metodo, si è provato pure che la fonte di S. Giovanni è alimentata anche da un corso sotterraneo proveniente dal Vippacco. La sua portata media di 230.000 metri cubi in 24 ore è circa 25 volte maggiore di quella della Recca e perciò essa raccoglie gran parte delle precipitazioni del Carso.
Il Timavo (Τίμαυος, Timavus, Tamavus) è il fiume sacro dell'agro tergestino. La baia nella quale sbocca è il Lacus Timavi di Livio, ricordata pure da Strabone nella descrizione che fa di quei paraggi: notevole, dice, un santuario di Diomede, τὸ Τίμαυον, con un porto e un magnifico bosco sacro e sette sorgenti che sboccano direttamente nel golfo. Virgilio canta poeticamente di nove bocche del Timavo che col loro fragore rintronano i monti circostanti. Con l'abbassamento periodico della costa orientale dell'Adriatico e con le alluvioni secolari il paesaggio odierno ha perduto assai della sua grandiosità, mentre al posto del santuario sorsero nel Medioevo l'abbazia benedettina e la chiesa di S. Giovanni; questa, che fu diroccata durante la guerra mondiale, portava anche il nome di S. Giovanni di "Tuba", forse identico a quello di "Tromba" del monte sovrastante: l'uno e l'altro appellativo hanno probabilmente origine dal rombo delle acque. Il santo titolare stesso, il Battista, è da ritenersi l'erede dell'antichissima divinità fluviale, come dall'altra parte è verosimile che i miti di Diomede e degli Argonauti, localizzati alla foce del Timavo, si debbano a influenza greca d'oltremare, in forza della quale il nume indigeno del Timavo ebbe a confondersi col nume dell'eroe tracio per un fenomeno assai comune di teocrasia. Cessata quell'influenza, l'elemento epicorio del culto ritornò in vigore e poi si romanizzò almeno nella sua parte ufficiale ed esteriore.
La dedica al Timavo in versi saturnî, fatta nel 129 a. C. dal console e storiografo C. Sempronio Tuditano in memoria del suo trionfo sui Giapidi, attesta la reintegrazione del culto del Timavo da parte della somma magistratura romana e il suo riconoscimento ufficiale mediante l'istituzione di un collegio sacerdotale di magistri sul tipo romano.
Di fronte al circuito sacro del Timavo esistevano tre isolette, di cui una portava il faro del porto, oggi sommersa, mentre le altre due sono da tempo riunite alla terraferma: sulla maggiore di esse, detta di Sant'Antonio o dei Bagni, sorgeva un edificio termale che, ricostruito più volte nel corso dei secoli, è andato distrutto nella guerra mondiale. A queste terme, registrate anche negli antichi itinerarî, appartengono alcune are votive, con dediche al Fonte, a Silvano Augusto, a Ercole Augusto, alla Speranza Augusta.
L'origine del nome Timavo è oscura: la radice tim- o tem- o simile riappare in più corsi d'acqua, mentre il suffisso -au o -av ha un parallelo in Timacus, oggi Timok, fiume della Mesia superiore, col corrispondente nome neutro della località Timacum, come appunto Timavus sta a a Timavum. Ma che il culto del Timavo sia proprio della stirpe dei Carnî, lo prova il fatto che in territorio carnico si riscontrano altri due Timavi: l'uno è Timau, paesello dell'Alta Carnia sotto il valico di Monte Croce, dove dalla roccia balza violenta e copiosa una sorgente, oggi chiamata il Fontanone; l'altro è il celebre Cellina sopra Maniago, dove fu trovata un'aretta votiva al Timavo della fine della repubblica: in ambedue è evidente la comunanza del nome e del fenomeno idrico.
Bibl.: E. Boegan, Le sorgenti di Aurisina, Trieste 1906; G. Cumin, Guida della Carsia Giulia, ivi 1929, p. 46; P. Kandler, Discorso sul Timavo, ivi 1864; W. Knebel, Höhlenkunde, Brunswick 1906, p. 62; N. Krebs, Halbinsel Istrien, nelle Abhandlungen di A. Penck, Lipsia 1907, pp. 74-75; id., Neue Forschungen zur Karsthydrographie, in Petermanns Mitteilungen, 1908, p. 166; E. A. Martel, Les abîmes, Parigi 1894; id., La spéléologie, ivi 1900; F. Müller, Führer durch die Höhlen von St. Canzian, Trieste 1887; id., Die Grottenwelt von St. Canzian, in Zeitschrift d. deutschen und österreichischen Alpenvereins, 1890; p. Sticotti, Timaso, in Miscellanea in onore di A. Hortis, Trieste 1910; T. Taramelli, Descrizione geologica del bacino idrografico del fiume Recca, Trieste 1878; id., Escursioni geologiche fatte nell'anno 1871, in Annali R. Istituto tecnico di Udine, V (1871). Per il Timavo nell'antichità, v. inoltre: P. Sticotti, Le roccie inscritte di Monte Croce in Carnia, in Archeografo triestino, s. 3a, III (1907), p. 161 segg.; E. Reisch, Jahresh. d. österr. archäol. Inst., XI (1908), p. 276 segg.; I. B. Keune, in Roscher, Lex. d. griech. u. röm. Mythologie, V, col. 963; P. Sticotti, in notizie scavi, 1920, p. 99 seg.; id., in Il Piccolo, Trieste, 12 novembre 1924; B. Tamaro, in Not. scavi, 1925, p. 3 seg.; A. Degrassi, Lacus Timavi, in Archeogr. triest., s. 3a, XII (1925-26), p. 305 segg.