TIMARCO (Τίμαρχος, Timarchus)
Tra i personaggi di questo nome meritano speciale menzione i seguenti: 1. Uomo politico ateniese, figlio di Arizelo, del demo di Sfetto, già buleute nel 361-60, coprì parecchie cariche pubbliche. È sostanzialmente noto, perché, collaboratore di Demostene nella politica antimacedonica, accusò Eschine nell'estate 346 di violazione dei suoi doveri di ambasciatore nelle trattative con Filippo di poco precedenti: ma Eschine parò il colpo accusando a sua volta T. con l'orazione a noi giunta, di indegnità come immorale, dissipatore delle sostanze paterne, ecc. T. fu in conseguenza privato dei pieni diritti (dichiarato atimo): secondo una tradizione non verosimile, non attese il giudizio e si uccise.
Bibl.: A. Schaefer, Demosthenes und seine Zeit, II, 2a ed., Lipsia 1885. Cfr. eschine.
2. Noto a noi solo dal prologo XXVI di Trogo Pompeo (ma cfr. Appiano, Syriaca, 65) come compagno di lotta in Asia di Tolomeo figlio di Tolomeo II Filadelfo ribellatosi al padre: come tale s'impadronì di Mileto e ne divenne tiranno, ma fu abbattuto da Antioco II di Siria, che perciò fu salutato dai Milesî col soprannome di "dio" (circa 250 a. C.). Generalmente è accettata l'identificazione proposta da B. Niese di questo T. con l'omonimo etolico, di cui Polieno (V, 25) e Frontino (III, 2, 11) narrano due stratagemmi, che ben gli si adattano.
Bibl.: K. Ziegler, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI A, coll. 1236-37.
3. Nipote forse del precedente, un altro T. fu con il fratello Eraclide favorito di Antioco IV Epifane e, sempre col fratello, ambasciatore del re a Roma. Fu satrapo di Babilonia, poi di Media, quando dopo la morte di Antioco Epifane Demetrio penetrò in Siria per farsi riconoscere re (v. siria: Età ellenistica). T. si fece riconoscere dai Romani sovrano in sua contrapposizione (non sappiamo a quali condizioni) e strinse alleanza con Artassia di Armenia. Ma fu presto vinto (circa 160 a. C.).
Bibl.: Il materiale presso K. Ziegler, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI A, col. 1238 segg.
4. Scultore ateniese. Egli usciva da una famiglia di scultori, essendo figlio di Prassitele e fratello di Cefisodoto il Giovane, e probabilmente nipote di Cefisodoto il Vecchio e pronipote di Prassitele il Vecchio. Fiorì nell'ultimo quarto del sec. IV a. C. e nel primo quarto del III. È rappresentato dalla tradizione come figura di secondo piano non solo rispetto al padre, ma anche al fratello, il quale solo è detto erede dell'arte paterna. T. è ricordato in opere letterarie e in epigrafi come collaboratore del fratello in alcune delle sue opere: un ex-voto per i Megaresi, il ritratto di una sacerdotessa di Atena Poliade, una statua di Menandro per il teatro di Dioniso ad Atene, una statua di Enio per il tempio di Ares ad Atene, le statue di Esculapio e dei suoi paredri a Coo, l'altare di Dioniso Cadmeo a Tebe. Se a lui allude una tarda iscrizione del Foro Romano, una sua statua doveva essere collocata in Roma presso la Basilica Giulia. Ma se i ritrovamenti archeologici hanno dato conferma a parecchie notizie letterarie circa l'ubicazione e i soggetti di opere dei due figli di Prassitele, essi non permettono di identificare con sicurezza nessuna delle opere loro, né, quindi, di avere una cognizione sicura della loro arte. Le identificazioni proposte hanno perciò il valore di semplici ipotesi, che da nuovi ritrovamenti attendono confutazione o conferma.
Bibl.: E. Loewy, Inschriften griechisch. Bildhauer, Lipsia 1885, nn. 108-110, 491; H. Brunn, Gesch. d. griech. Künstler, I, 2a ed., Stoccarda 1889, p. 392 seg.; G. Dickins, The followers of Praxiteles, in Annual of the British School at Athens, XXI (1914-15, 1915-16), p. i segg.; S. Mirone, I due Cefisodoti, in Revue Archéologique, 1922, ii, p. 266 seg.; M. Bieber, Die Söhne des Praxiteles, in Jahrbuch d. deutsch. archäol. Instituts, XXXVIII-XXXIX (1925), pp. 242-275; T. Campanile, in Bull. Com., 1928, pp. 187-197; R. Paribeni, in Not. d. Scavi, XIII (1929), pp. 351-53; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI A, Stoccarda 1936, col. 1938 seg.