TILLYĀ TAPA
Località dell'antica Battriana situata in prossimità della città kuṣāṇa di Emši Tapa (5 km a NE di Šibargan, nell'Afghanistan settentrionale) ove, nel 1978, furono rinvenute sei tombe che racchiudevano ricchissimi corredi, comprendenti in tutto più di ventimila oggetti, in massima parte d'oro.
Le prime ricerche archeologiche a T. T. risalgono agli anni 1969-1971, ma lo scavo sistematico del sito, condotto dalla spedizione archeologica sovietico-afghana diretta da V. I. Sarianidi, iniziò nel 1977 avendo come obiettivo l'indagine di un imponente edificio religioso risalente alla fine del II millennio a.C.
Il tempio, costruito su una piattaforma di mattoni crudi alta 6 m, ha una pianta approssimativamente quadrata, ed è definito da un muro fortificato munito di torri rotonde agli angoli e torrette al centro di tre lati; l'accesso è collocato sul lato N. Lo spazio interno è suddiviso da un muro in due sale con colonne in mattoni; nella sala più ampia, scandita da nove colonne, sono stati rinvenuti i resti di un altare. Secondo Sarianidi, l'edificio è un tempio consacrato al culto del fuoco, eretto alla fine dell'Età del Bronzo e rimasto in uso fino al IV sec. a.C., quando venne distrutto da un incendio, cadendo quindi in abbandono.
Nel corso dello scavo condotto lungo il lato O del tempio venne alla luce, nel 1978, una tomba scavata nelle rovine dell'edificio alcuni secoli dopo il suo abbandono.
Seguì poi, fra il 1978 e il 1979, la scoperta di altre cinque sepolture, due delle quali (la 2 e la 5) collocate immediatamente all'esterno del muro N, le altre tre all'interno del tempio stesso. Si tratta di sepolture individuali formate da una semplice fossa rettangolare di dimensioni variabili, oscillanti fra 2-3 m di lunghezza e 0,80-1,60 m di larghezza nella parte superiore.
Le fosse si articolano in due sezioni: quella inferiore, di dimensioni minori, era destinata ad accogliere il defunto e a essere coperta da assi di legno poggianti sul suo bordo, mentre quella superiore, più ampia, veniva poi riempita con terra. Sul fondo della sepoltura, talora ricoperto da un tappeto, era collocata una bara di legno poggiante su piedi anch'essi lignei. Il feretro, privo di coperchio, era fatto di assi e le pareti laterali erano connesse al fondo mediante staffe e chiodi di ferro; è probabile che la bara della tomba 5 fosse un tronco d'albero scavato, giacché manca qualsiasi traccia di staffe e chiodi. Il defunto era adagiato supino nella bara che era poi avvolta in un sudario formato da un telo sul quale erano cucite centinaia di placchette d'oro. Il morto era sepolto con abiti sontuosi, decorati con inserti d'oro e pietre preziose, ed era ornato da una sfarzosa gioielleria che va dai pendenti per le tempie alle suole d'oro delle scarpe. Delle sei tombe, tutte ritrovate intatte a eccezione della 3, disturbata da roditori, cinque erano con ogni probabilità femminili. Nella 4 era sepolto un uomo e con lui, a c.a. 40 cm dalla superficie, erano interrati il cranio e le ossa di una zampa di cavallo; nel corredo funerario compaiono le briglie insieme con una spada, un pugnale, faretre e archi.
Preziose indicazioni cronologiche sono offerte da alcuni reperti numismatici. In particolare nella tomba 3 sono state rinvenute una moneta d'argento di Mitridate II (123- 88 a.C.) e una moneta d'oro di Tiberio (14-37 d.C.): quest'ultima fornisce il terminus post quem, la prima metà del I sec. d.C., che può essere considerato valido per l'intero complesso, vista la sostanziale omogeneità della necropoli.
Le tombe erano tutte perfettamente visibili e controllabili dal vicino sito di Emši Tapa, ma nulla all'esterno rivela la loro esistenza e ricchezza: questo fatto, unito alla estrema semplicità della loro struttura, realizzabile con poche ore di lavoro, ha indotto a pensare che si trattasse di una «necropoli segreta», con rito di sepoltura notturna.
L'eccezionale ricchezza del corredo funerario rende assai plausibile l'ipotesi che a T. T. fossero sepolte persone di rango particolarmente elevato che Sarianidi identifica con membri della famiglia regale dei Kuṣāṇa, insediati nel I sec. d.C. nella vicina città di Emši Tapa. Secondo G. A. Pugačenkova, invece, la necropoli sarebbe da attribuire a capi locali dell'ambito śaka-partico, come dimostrano sia lo stile della gioielleria, sia le monete.
Il tesoro di T. T. comprende, come si è detto, migliaia di oggetti in oro, argento e altri materiali preziosi. Il reperto quantitativamente più numeroso è costituito dalle placchette d'oro che erano cucite sul telo che avvolgeva la bara e sugli abiti del defunto. Le placche, di dimensioni e forma variabile (geometrica o fitomorfa), presentano talora inserti in pietre dure - turchesi e lapislazzuli - o in pasta vitrea policroma. varî e numerosi i gioielli: diademi, spilloni per capelli, pendenti per tempie, orecchini, collane e pettorali, bracciali per polsi e caviglie. Una menzione particolare meritano i fermagli doppi destinati a fissare l'abito sul torace. Formati da due immagini quasi speculari, sono forniti di occhielli e ganci e ornati con i più varî soggetti: Cupidi che cavalcano delfini, una divinità (?) guerriera fra due alberi stilizzati sostenuti da animali fantastici e sormontati da uccelli, o ancora una complessa scena di ambiente dionisiaco che comprende una coppia in atteggiamento amoroso seduta su un felino sotto le cui zampe anteriori giace, ebbro, un satiro. Difficile dire se i soggetti, raffigurati con tanta efficacia e cura dei dettagli, avessero un valore simbolico, da riconnettere specificamente al rituale funerario, o appartenessero a un repertorio più semplicemente decorativo. Fra i pendenti per tempia spicca la figura di un sovrano (o, secondo G. A. Pugačenkova e L. I. Rempel', un personaggio femminile) con corona turrita e il segno circolare sulla fronte, che impugna con entrambe le mani due dragoni fantastici dal corpo anguiforme. Nella tomba maschile sono stati rinvenuti, fra l'altro, un fodero di spada decorato con una processione di dragoni che si addentano per la coda, una scultura cava raffigurante un cervide, e falere decorate con animali attorcigliati nel tipico stile dell'arte delle steppe. E ancora, una cintura d'oro in maglia a treccia inframmezzata da nove medaglioni circolari con una divinità femminile (Nanā?, Cibele?) seduta su un felino.
La sola elencazione dei soggetti raffigurati nella gioielleria di T. T. indica la presenza di tradizioni assai diverse e lontane. Esse tuttavia non sono recepite passivamente, ma trasfigurate da un gusto e da uno stile profondamente originale. Se il motivo dei Cupidi cavalcanti un delfino, o la scena amorosa di ambito dionisiaco, o ancora la c.d. Afrodite alata risalgono nel loro insieme a un repertorio iconografico classico, lo stile rigido e massiccio, l'uso di un canone di bellezza decisamente lontano da quello occidentale, l'inserzione di particolari elementi iconografici li rendono diversi e nuovi rispetto al prototipo cui pure sono legati. Così, p.es., il fermaglio con la coppia rivela l'ascendenza classica nella tipologia della Nike alata, nelle deformazioni del volto e nelle orecchie a punta del satiro, ma il felino è fantasticamente trasfigurato grazie a una criniera dragonesca e alle zampe con triplice artiglio, particolari cromaticamente sottolineati dall'inserto ripetuto di turchesi.
In alcuni oggetti vive, per iconografia e stile, la tradizione dell'arte animalistica delle steppe: è questo il caso degli animali attorcigliati delle falere o delle placche con la lotta fra l'antilope e il cavallo, o ancora delle immagini di pantere contorte.
Altri oggetti sono sicuramente importati: tre specchi in argento dalla Cina, un pettine in avorio dall'India; vi sono inoltre alcune monete partiche e una romana. Sono tutte testimonianze di relazioni e scambi fra popoli e gruppi lontani e diversi. Fra gli oggetti di importazione merita di essere ricordata una medaglia in oro di origine indiana, che presenta su una faccia un leone e il segno del nandipada accompagnati da un'iscrizione in caratteri kharoṣṭhī, sull'altra un uomo barbuto stante, che spinge con entrambe le mani una ruota, e un'iscrizione, anch'essa in kharoṣṭhī, che dice «colui che mette in moto la Ruota della Legge». In questa singolare raffigurazione, di sicuro significato buddhista, G. Fussman propone di riconoscere la più antica testimonianza di un'immagine ellenizzata del Buddha.
La scoperta del tesoro di T. T. costituisce indiscutibilmente un momento di grande importanza nella storia dell'archeologia dell'Asia centrale. Benché esso ponga numerosi problemi non ancora totalmente risolti, emerge con chiarezza, dai varî reperti, la forza e il vigore di una tradizione locale, quella battriana, capace di accettare i suggerimenti più diversi e di amalgamarli e farli rivivere sulla base di un gusto e di uno stile originale.
Non si deve dimenticare a questo proposito che la Battriana fu, fino dall'Età del Bronzo, un centro di produzione di gioielleria di notevole livello estetico e tecnico, come hanno dimostrato i numerosi reperti funerarî.
Bibl.: V. I. Sarianidi, Raskopki Tillja-tepe v severnom Afganistane («Gli scavi di Tillyā Tapa nell'Afghanistan settentrionale»), Mosca 1972; id., Carskij nekropol' v severnom Afganistane («Una necropoli regale nell'Afghanistan settentrionale»), in Vestnik Akademii Nauk SSSR, VII, 1979, pp. 76-88; id., L'oro sepolto dai Kuṣāṇa , in II Corriere UNESCO, dicembre 1979, pp. 29-32; id., Die Schätze der Kuschanen-Könige, in Afghanistan Journal, VI, 1979, 4, pp. 121-132; id., Le tombe regali della «collina d'oro», in Mesopotamia, XV, 1980, pp. 5-18; id., The Treasure of the Golden Hill, in AJA, LXXXIV, 1980, pp. 126-131; J.-C. Gardin, Catalogue des sites archéologiques d'Afghanistan, Parigi 1982, 2 voll.; G. Fussman, Monnaie d'or de Kaniska inédite au type du Buddha, in RevNum, VI s., XXIV, 1982, pp. 155-169; V. I. Sarianidi, G. Košelenko, Monety iz raskopok nekropolja raspolozennogo na gorodišèe Tillja- tepe («Monete dagli scavi della necropoli situata nel sito di Tillyâ Tapa»), in Drevnjaja India. Istoriko-kul'turnye svjazi, Mosca 1982; V. I. Sarianidi, Afganistan. Sokroviiča bezymjannikh carej («Afghanistan. Il tesoro dei re senza nome»), Mosca 1983; F. Grenet, Les pratiques funeraires dans l'Asie Centrale de la conquête grecque à l'islamisation, Parigi 1984; V. I. Sarianidi, The Golden Hoard of Bactria, from the Tillya-tepé Excavations in Northern Afghanistan, New York-Leningrado 1985; G. Α. Pugačenkova, L. I. Rempel', O «zolote bezymjannykh carej» iz Tillja-tepe (k problème stilja i svjazej) («Sull'oro dei re senza nome da Tillyā Tapa - su un problema di stile e relazioni»), in Iz istorii kul'turnykh svjazej. Sbomik, Taškent 1986, pp. 5-24; V. I. Sarianidi, Baktrijskij centr zlatodelija («Un centro battriano di oreficeria»), in SovArkh, 1987, I, pp. 71-83; id., Khram i nekropol' Tillja-Tepe («Il tempio e la necropoli di Tillyā Tapa»), Mosca 1989.