tiki taka
(tiqui-taca), loc. s.le m. inv. Stile di gioco del calcio caratterizzato da una serie interminabile di passaggi rasoterra del pallone, per prolungare il tempo di possesso della palla e stancare l’avversario.
• Non sarà mica male vedere questi ventenni contro i tedesconi, domenica. Chissà che stavolta non ce la facciano: sono più bravi, anche se forse non sono più forti. Più veloci nel passo, e più allegri nel gioco, questo è sicuro. Ecco, il gioco: lo chiamano «tiqui-taca», vale a dire una somma di tocchi e tocchetti e carezze alla palla, prima per addormentare l’avversario e poi per sbranarlo. (Maurizio Crosetti, Repubblica, 27 giugno 2008, p. 54, Sport) • Sul campo, prima, braccati, soffocati, storditi dal tiqui-taca spagnolo, gli azzurri hanno perso troppo presto le misure degli avversari. (Vincenzo Cerracchio, Mattino, 2 luglio 2012, p. 2, Primo piano) • [tit.] Il talento degli ungheresi, i veri inventori del «tiki-taka» [testo] [...] [Diego] Mariottini ci racconta con sapienza anche chi ha inventato il tiki taka. Non Pep Guardiola e il Barcellona ma Gusztáv Sebes, l’allenatore dell’Ungheria che teneva palla in modo magistrale e che umiliò a Wembley l’Inghilterra per 6-3. L’unica, dolorosa, incredibile sconfitta accade alla 32ª partita, a Berna, proprio nella finale della Coppa Rimet del 4 luglio 1954 contro la Germania Ovest: l’Ungheria perde 3-2 dopo essere stata in vantaggio per 2-0. (Marco Pedrazzini, Avvenire, 10 giugno 2016, p. 17).
- Espressione onomatopeica coniata dal giornalista spagnolo Andrés Montes González (1955-2009), in occasione dei campionati del mondo di calcio del 2006.