TIESTE (Thyestes, Θυέστης)
Secondo la forma più diffusa della leggenda, figlio di Pelope e fratello di Atreo. Tradizioni che introducono in questa genealogia un'altra figura, Plistene (il più antico testimonio è per noi l'Esiodo dei Cataloghi), si rivelano secondarie, perché pongono Plistene in punti diversi dell'albero.
Omero non sembra sapere di atrocità nella famiglia dei Pelopidi: se nell'Iliade (II, 105 segg.) lo scettro fabbricato da Efesto passa da Pelope ad Atreo; che morendo lo lascia a Tieste, il quale lo lascia ad Agamennone, la successione è legittima; e poco importa se non è detto se Tieste sia fratello o figlio di Atreo (ma Agamennone e Menelao sono sempre detti Atridi). Anche nell'Odissea manca qualunque accenno che Egisto faccia su Agamennone le vendette del padre, Tieste. Questo non significa ancora che la leggenda non sia anteriore a Omero, tanto più che come Atreo porta un nome non greco, così anche il nome di Tieste non pare etimologizzabile dal greco; ma la poesia omerica è aliena da orrori, quali il cannibalismo, che caratterizzano tuttavia uno stadio più primitivo del mito.
Il nucleo centrale della leggenda di Tieste è esposto da Egisto nell'Agamennone di Eschilo: Tieste, dopo avere errato in esilio parecchi anni con numerosa figliuolanza, ritorna supplice in Argo. Atreo finge di perdonargli e imbandisce al reduce una cena, nella quale gl'imbandisce le carni dei figlioli. Tieste, quando si avvede dell'inganno, rovescia con un calcio la mensa e scaglia sulla stirpe una maledizione che si adempirà in lunga catena di delitti; poi torna in esilio col tredicesimo figliuolo ancor pargolo, Egisto.
Le scene precedenti sono meno chiare per colpa della frammentarietà della tradizione. Tutto, pare, il mito era narrato nel poema epico (ciclico) Alcmeonide: da esso dipendevano due tragedie, una di Sofocle e una di Euripide; da questa una di Ennio, il Tieste, e una di Accio, l'Atreo; inoltre il Tieste di Seneca. Ma questa è l'unica opera conservata, mentre è fonte poco autorevole per l'età e la tendenza retorica; delle altre sono conservati solo frammenti. Siamo quindi ridotti a fondarci su fuggevoli allusioni in Euripide o su tarde e compendiose fonti mitografiche, sospette per giunta di contaminazione.
Perché Tieste visse in esilio? Sembra che egli e Atreo contendessero per il regno, concesso (da un oracolo?) a quello dei due nelle cui greggi nascesse un agnello d'oro. Nacque ad Atreo; ma, quando questi ebbe convocato il popolo per mostrarglielo, la moglie, la cretese Aerope, glielo rubò e lo donò al cognato Tieste, al quale era legata da adultero amore. Il popolo stava per aggiudicare il regno al fraudolento, quando Zeus, sdegnato, intervenne con un miracolo, invertendo il corso del sole. Tieste deve ritornare in esilio col solo figliuolo superstite, il pargolo Egisto. Un testimonio, Accio, pone il miracolo al momento della cena; ma esso è necessario durante l'assemblea popolare, perché non prevalga Tieste. Impossibile è che si ripeta due volte nella stessa leggenda, come vuole una critica armonistica.
Bibl.: La migliore trattazione è quella di C. Robert, Die griechische Heldensage, I, Berlino 1920, p. 293, sebbene neanche essa sia accettabile in tutti i particolari. L'art. di M. Mayer, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., VI A, col. 662 è poco chiaro e complicato da ipotesi; affatto insufficiente quello di Joh. Ilberg, in Roscher, Mythol. Lexikon, V, 912. Lavori speciali: Voigt, De Atrei et Thyestis fabula, Diss. Halenses, VI, 325; P. Friedländer, Argolica, Diss., Berlino 1905.