VERGELLI (o Vercelli, o Verzelli), Tiburzio
Nacque a Camerino verso il 1555 dal notaio Domenico e da madre ignota ed ebbe come fratelli Francesco, Orazio ed Emilio (Grimaldi, 2011, I, p. 100).
Scultore appartenente alla celebre scuola di Recanati, è ritenuto uno dei più abili fonditori di metalli della seconda metà del XVI secolo. Le opere a lui assegnate, pur eseguite in équipes secondo la prassi delle botteghe recanatesi, almeno per le commissioni più impegnative, emergono per perfezione tecnica, eleganza compositiva e ricchezza decorativa, rivelando nelle particolari suggestioni cromatico-luministiche l’influsso del linguaggio pittorico di matrice veneta diffuso in quel periodo nelle province marchigiane (Giannatiempo López, 1996, p. 65).
Tali qualità indussero nel 1915 Giovanni Pauri a supporre un iniziale tirocinio di Vergelli nella bottega di qualche orafo attivo a Recanati, ipotizzando il nome di Giorgio Carideo. Appresi però i primi elementi di disegno, l’artista mostrò da subito interesse per l’attività scultorea dei fratelli Lombardi, capostipiti della rinomata fonderia attiva a Recanati dalla metà del XVI secolo. Entrato nella bottega di Girolamo non ancora diciottenne, il 28 aprile 1572 Vergelli fu pagato come garzone per la prestazione data nella fusione delle quattro porte bronzee del sacello marmoreo al centro del santuario della S. Casa di Loreto (retribuito anche nel novembre 1576; Grimaldi, 2011, I, p. 102). Nel 1580, pur senza interrompere il rapporto professionale con il maestro, come documenta la collaborazione per la statua bronzea della Madonna di Loreto destinata alla facciata della basilica lauretana (1582-83; ibid., pp. 103, 197), Vergelli si associò con il più anziano Antonio Calcagni, già allievo del Lombardi, per realizzare una serie di prestigiose commissioni. La convenzione, stipulata il 26 gennaio, segnò per entrambi il distacco dall’officina dei Lombardi e l’avvio di una nuova fonderia sotto la propria responsabilità (p. 102).
Negli anni fino al 1585 Vergelli condivise con Calcagni alcune opere in cui si impadronì appieno delle tecniche della fusione: le targhe in bronzo della cappella Massilla Rogati; le statue d’argento dei Dodici apostoli (asportate dai soldati napoleonici nel 1797) e il Monumento funebre del cardinale Niccolò Caetani di Sermoneta, realizzato in bronzo su disegno di Giovanni Battista della Porta.
La prima opera eseguita in autonomia da Vergelli fu la statua di Sisto V per Camerino, l’indomani dell’elezione a papa del marchigiano Felice Peretti. Una prima proposta da parte della Comunità data già al 14 luglio 1585, ma l’incarico al maestro giunse il 30 settembre (ibid., p. 111). L’opera fu elaborata nella fonderia di Calcagni, anche se era terminato il rapporto societario tra i due fonditori, e fu poi trasportata a Camerino, dove tra il 1587 e il 1588 venne collocata nella piazza del Duomo. Fu eseguita nello stesso tempo in cui Calcagni preparava la sua, sempre di Sisto V, per Loreto (1585-87), e seguì il medesimo schema compositivo. Nella solenne figura del papa, seduto e benedicente, Vergelli, pur attento alla cura dei particolari, riuscì a cogliere un’inedita introspezione psicologica resa dalla sensibilità epidermica e da effetti pittorici e chiaroscurali (Giannatiempo López, 1992; Ead., 1996, pp. 50-52). Nel 1589 sulle facciate del piedistallo quadrato vennero collocati tre ricchi medaglioni bronzei di gusto manieristico, raffiguranti scene allegoriche della Securitas, della Tranquillitas e della Hilaritas, e l’epigrafe dedicatoria adorna dagli stemmi della città e del papa: in esse la libertà compositiva e la descrizione analitica sono arricchite da un intenso pittoricismo sconosciuto allo stesso Girolamo Lombardi (ibid., p. 68).
Nel frattempo Vergelli aveva sposato la sorella dello scultore Giovanni Battista Vitali, Francesca, che nel giugno 1588 gli diede un figlio, Giovanni Battista, mentre l’anno seguente prese stabile dimora a Recanati (Grimaldi, 2011, I, p. 115).
Sfumata la commissione affidatagli dalla città di Macerata per realizzare un’altra statua bronzea di Sisto V, la cui erezione era stata deliberata il 9 aprile 1589 (ibid.), il 28 febbraio 1590 fu coinvolto dal governatore della S. Casa, Andrea Bentivoglio, nella realizzazione dei tre monumentali portali in bronzo destinati alla facciata del santuario mariano (completata nel 1587). L’incarico, voluto dal cardinale protettore Antonio Maria Gallo in vista del giubileo del 1600, assegnò ad Antonio Lombardi la porta centrale, ad Antonio Calcagni quella meridionale e a Vergelli quella settentrionale (p. 123).
Tiburzio concordò i tempi e le modalità della realizzazione il 23 marzo 1590 e prontamente dette inizio all’opera, associando il cognato Vitali. Una volta definite le forme in cera, probabilmente lavorò già, come fu per le successive commissioni, nella fornace allestita in una casa di Sebastiano Sebastiani, divenuto suo collaboratore (l’uso comune venne suggellato da una convenzione del 20 ottobre 1598; ibid., II, p. 388). Compiuta la fusione dopo il 15 settembre 1595, la solenne inaugurazione della porta settentrionale avvenne il 23 aprile 1598 alla presenza di papa Clemente VIII (I, pp. 123, 126, 130-139, 303).
Le dimensioni, la struttura decorativa e la disposizione delle formelle sono analoghe a quelle della porta meridionale, cui si legano pure i soggetti biblici, scelti sotto il controllo del cardinale Gallo e volti a guidare dottrinalmente il fedele verso la storia della Salvezza. L’opera, contrassegnata da unità stilistica, è un capolavoro di perizia tecnica, vivacità decorativa e armonia compositiva. La cornice è ricca di festoni e stemmi, placchette istoriate e ovali con figure, mentre le formelle maggiori e minori, contenenti episodi veterotestamentari, emergono per cura descrittiva, lirismo narrativo e capacità di legare le animate scene agli sfondi paesaggistici (Giannatiempo López, 1996, pp. 68 s.).
Mentre attendeva alla lavorazione della porta, il 14 gennaio 1592 Vergelli fu incaricato dalla Compagnia del SS. Sacramento di realizzare un tabernacolo in bronzo per la chiesa recanatese di S. Agostino, che già gli aveva commissionato un lampadario sempre in bronzo. Del tabernacolo fece «il modello di cera», fuso con la collaborazione di Sebastiani e di Vitali, quindi posto in opera non del tutto rifinito verso la fine del 1609, ma poi venduto dagli agostiniani per sostituirlo con un ciborio ligneo (Calcagni, 1711, pp. 113, 257, 324; Grimaldi, 2011, I, pp. 39, 127 s.).
Il 12 novembre 1599 i ministri della S. Casa, per ordine del cardinale Gallo, saldarono il conto della porta, dovuto anche per altri lavori minori: due candelieri collocati sul timpano della facciata del santuario, una croce per la lanterna della cupola (per tutti il disegno si deve all’architetto della S. Casa Ventura Ventura) e due galli, lavorati solo nella parte esposta, e posti sopra le campane degli orologi italiano e astronomico (ibid., p. 132). Data attorno al 1600 anche la Vergine con Bambino e s. Giovannino (Londra, Victoria and Albert Museum), gruppo destinato a una nicchia o a un complesso scultoreo, dalle singolari consonanze con l’impresa plastica realizzata da Giambologna nella cappella Grimaldi in S. Francesco di Castelletto a Genova (Radcliffe, 1984).
Il gradimento riscosso con la porta nord suggerì al cardinale Gallo di affidare a Vergelli pure l’esecuzione in bronzo del fonte battesimale, poi posto nella prima cappella sinistra della basilica lauretana. Commissionata all’artista il 6 luglio 1600 dal nuovo governatore della S. Casa, Tiberio Orfini (Grimaldi, 2011, I, pp. 199-205, 312), l’opera fu completata in soli sette anni, anche grazie alla partecipazione di Sebastiani e di Vitali (e aiuti), la cui presenza fu voluta dal cardinale proprio per accelerare i lavori (p. 199).
Prima della stipula del contratto, l’artista eseguì un disegno e un modellino da inviare a Gallo per l’approvazione, visto il ruolo funzionale e simbolico del fonte nell’affermare la necessità del battesimo ai fini della salvezza eterna. Più che in altre opere risulta difficile distinguere le mani dei vari artefici, come documentano le diverse posizioni della critica: due Virtù di coronamento, la Carità e la Perseveranza, oltre al Redentore col Battista, posto in sommità, sono da taluni attribuite a Sebastiani (Pauri, 1915, pp. 62-64; Radcliffe, 1984, p. 25), da altri a Vergelli, ritenuto autore anche di tutta la parte alta del fonte e dei putti seduti sulle volute della prima alzata (Giannatiempo López, 1996, p. 74). L’opera, in cui emergono differenze stilistiche tra elementi ancora cinquecenteschi, come le sculture nella parte superiore e i pannelli istoriati, e altri già barocchi, come tutta la ridondante architettura, segna l’evoluzione dello stile maturo dell’artista (Arcangeli, 1993, p. 365).
Nel 1605 Vergelli fece parte del Consiglio di reggimento della comunità di Recanati, e l’anno seguente ne fu priore. Il 18 dicembre 1607, gravemente malato, dettò testamento e risultava morto prima del mese di maggio 1608 (Grimaldi, 2011, I, p. 117).
Erede ed esecutore testamentario del padre, Giovan Battista ne rivendicò i diritti nelle vertenze sorte con gli eredi di Calcagni e nella causa intentatagli dai ministri della S. Casa in seguito alla valutazione del fonte battesimale (p. 208). Secondo Amico Ricci continuò nell’arte della fusione, anche se non esiste alcun documento a conferma; non è però esclusa una collaborazione occasionale con gli scultori succedutisi a Recanati dopo la morte del genitore (p. 211). Dal suo matrimonio con Lucrezia Botani, il 12 ottobre 1629 nacque Giuseppe Tiburzio (ibid.). Formatosi come architetto, negli anni 1658-77 a Loreto ebbe la direzione delle fabbriche della S. Casa, progettando pure alcune torri lungo la costa romagnola, forse quelle volute da Clemente X nel 1673 a difesa dalle incursioni dei turchi. A Roma, nel corso di 22 anni, si occupò di prospettiva e architettura, seguendo la realizzazione di alcune dimore nobiliari. Tra le varie attività diede alle stampe Le due regole della prospettiva pratica del Vignola, con i commentarii del rever. p. maestro Egnatio Danti [...] epilogate da Giuseppe Tiburtio Vergelli [...] (Roma, per il Mascardi, 1682), in compendio, e Le fontane pubbliche delle piazze di Roma moderna disegnate da Gioseppe T. V. recanatese, intagliate da Pietro Paolo Girelli romano e date in luce con le stampe originali da Matteo Gregorio Rossi romano […] (Roma, in piazza Navona, all’insegna della Stampa di rame, 1690). Ritornato nella città natale, nell’agosto 1695 venne nominato pubblico depositario di Recanati. Ignota è la sua data di morte (Calcagni, 1711, pp. 257 s.).
D. Calcagni, Memorie istoriche della città di Recanati nella Marca d’Ancona, Messina 1711; A. Ricci, Memorie storiche delle arti e degli artisti della Marca di Ancona, II, Macerata 1834, p. 82; G. Pauri, I Lombardi-Solari e la scuola recanatese di scoltura (sec. XVI-XVII), Milano 1915, pp. 53, 62-64; T. V., in U. Thieme - F. Becker, Allgemeines Lexikon der bildenden Künstler, XXXI, Leipzig 1936, p. 252; Giuseppe T. V., ibid., p. 242; A. Radcliffe, T. V, Giambologna and a rare group from Recanati, in Antologia di belle arti, 1984, nn. 23-24, pp. 21-25; Scultori a Loreto: fratelli Lombardi, Antonio Calcagni e T. V. Documenti, a cura di F. Grimaldi, Ancona 1987 (con bibl. ulteriore); M. Giannatiempo López, Iconografia di Sisto V nella scultura: le statue bronzee di Loreto e Camerino, in Le arti nelle Marche al tempo di Sisto V (catal., Ascoli Piceno), a cura di P. Dal Poggetto, Cinisello Balsamo 1992, pp. 31-36 (in partic. pp. 32-34); M. Giannatiempo López, T. V. e la porta nord di Loreto, ibid., pp. 246-251; L. Arcangeli, La scuola cinquecentesca della scultura in bronzo, in Scultura nelle Marche, a cura di P. Zampetti, Firenze 1993, pp. 361-366 (con bibl. ulteriore); M. Giannatiempo López, I bronzi lauretani di età sistina: storia e restauro, Cinisello Balsamo 1996; M. Libutti, Le porte bronzee della Basilica di Loreto: lettura iconografica sulla base del commento al “Magnificat” di Rutilio Benzoni, in Studia Picena, LXIII (1998), pp. 173-207; F. Grimaldi, L’arte della scultura e del getto. La scuola recanatese di scultura, I-II, Recanati 2011; P. Moriconi, T. V. e la statua del papa a Camerino, in RiMarcando, VI (2011), pp. 107-112.