PASSEROTTI, Tiburzio
PASSEROTTI (Passarotti), Tiburzio. – Figlio primogenito del celebre pittore Bartolomeo e di Imperia Toselli, nacque a Bologna nel 1553 e fu battezzato l’8 giugno (Arfelli, 1959, p. 460 n. 18).
Avviato dal padre alla carriera artistica, il 23 maggio 1571, a diciotto anni, fu aggregato alla Compagnia dei pittori e bombasari, presso la quale il padre godeva di grande stima (Malvasia, 1678, 1841, p. 189). Gli esordi di Tiburzio si riconoscono nella pala Loiani con il Martirio di S. Caterina per la chiesa agostiniana di S. Giacomo Maggiore, uno dei cantieri più prestigiosi del Cinquecento bolognese. Firmata e datata 1577, la pala fu condotta dal ventiquattrenne Tiburzio con l’aiuto del padre (Malvasia, 1678, 1841, p. 188; Id., 1686, 1969, p. 87), dal quale derivò il ceffo urlante del manigoldo ferito, citazione dall’avvinazzato dell’Allegra compagnia di Bartolomeo Passerotti e importante indizio per ancorare anche quest’ultimo quadro verso il 1577 (Ghirardi, 1986a).
Nell’impegnativo lavoro, intorno al quale si vanno riunendo disegni e circostanze storiche (Ghirardi, in corso di stampa), il giovane Tiburzio modificò la lezione del padre in senso manieristico, accentuando le pose artificiose e i cangiantismi cromatici. Una strada alla quale si sarebbe mantenuto sempre sostanzialmente fedele.
I rapporti tra padre e figlio dovettero presto guastarsi, come suggerisce il primo testamento di Bartolomeo Passerotti, datato 8 febbraio 1582 (Gualandi, s. III, 1842, p. 179), dove Tiburzio risulta diseredato. Forse a quella data si era già trasferito a vivere nel quartiere di San Tommaso al Mercato (ibid., p. 183) uscendo dalla casa paterna, situata presso la chiesa di S. Michele del Mercato (Malvasia, 1678, 1841, p. 188), probabilmente aveva già contratto le nozze con Taddea Gaggi, di famiglia notabile, dalla quale ebbe due figli, Gasparo e Arcangelo, anch’essi dediti all’arte (ibid.). Sicuramente si era già recato a Venezia dove la sua presenza è segnalata, il 23 gennaio 1580, in una lettera, nuova per la biografia dell’artista, inviata da Venezia a Roma per rispondere alle richieste di pennelli, smalti e colori da usare per l’erigenda cappella Gregoriana in S. Pietro.
Nella lettera il nunzio apostolico scriveva: «Ad un pittore Bolognese detto mr. Tiburtio Passerotti ho dato qui la cura d’usar diligenza intorno a questi colori e per la qualità et per il prezzo» (cit. da Cerrati, in Alfarano, De basilicae Vaticanae..., 1583, 1914, p. 94 n. 1), rivelando che il pittore era noto e ritenuto degno di incarichi di fiducia.
Durante gli anni Ottanta Tiburzio continuò a soggiornare a Venezia dove di lui rimane il grande telero, restituito all’artista da Brunelli (1923), con l’Elezione di Lorenzo Giustiniani al patriarcato di Venezia (Venezia, Palazzo ducale, sala dei Pregadi o del Senato), eseguito verso il 1587-88. La permanenza di Tiburzio nella città lagunare ebbe fine nel 1589 (Moschini, 1815). Nel 1588 Francesco Amadi ricordava «Tiburzio Paserotti pittore eccellentissimo fra i primi di Venetia, figliuol de Bartholomeo pittore eccellentissimo in Bologna», informando sia del successo raggiunto, sia di quella che sembra una specie di spartizione dei territori di lavoro. La partecipazione di Tiburzio alla decorazione del Palazzo ducale, devastato dagli incendi del 1573 e del 1577, conferma la stima che egli dovette guadagnarsi.
Ancora niente si sa della vita e delle frequentazioni veneziane di Tiburzio. Invece gli sono stati riferiti diversi dipinti, che esprimono anche l’andamento degli studi sull’artista nel corso degli ultimi vent’anni, attivi soprattutto nell’incremento del catalogo delle opere. Tra i quadri ‘veneti’ si ricordano l’Ultima Cena (Padova, Musei civici; Fantelli, 1991), il S. Michele Arcangelo nella parrocchiale di Cremia (Como), databile sul 1586 (Mazza, 1999a, p. 144), le Storie della Vergine (Bari, Pinacoteca provinciale; Mazza, 2004).
Rientrato Tiburzio a Bologna, il vecchio padre ebbe il tempo di rifare il testamento, il 14 luglio 1590 (Gualandi, s. IV, 1843, p. 160), riabilitando il primogenito ed equiparandolo ai fratelli Passerotto e Aurelio, gli altri suoi due figli legittimi. Il 15 febbraio 1592, pochi mesi prima della morte del genitore, Tiburzio ne prese il posto nel Consiglio della Compagnia dei pittori, dove rivestì la carica di massaro, di durata trimestrale, per almeno due volte, nel 1593 e nel 1603 (Arfelli, 1959, p. 460 n. 18). Il 5 gennaio 1599 Tiburzio è ancora ricordato nel Consiglio della Compagnia dei pittori, all’indomani della loro separazione dai bombasari, destinata ad andare in vigore a partire dal 1° gennaio 1600 (Malaguzzi Valeri, 1897, p. 312), ulteriore tappa sulla via dell’acquisizione di un più alto stato sociale.
Cadono tra il 1590 e il 1595 le importanti pale d’altare con la Madonna in gloria e i ss. Brigida, Giovanni Evangelista, Giacomo (Bologna, coll. privata), già nella cappella Pepoli in S. Petronio (Ghirardi, 1986b, p. 778), e con la Madonna in gloria e i Ss. Girolamo e Francesco (Bologna, Pinacoteca nazionale, in deposito nella cappella della Prefettura), già sull’altare Paleotti nella chiesa di S. Cecilia (Ghirardi, 2006, pp. 216 s.).
Tali commissioni di prestigio garantiscono della solida reputazione di Tiburzio Passerotti e offrono il destro a Malvasia per ricordare l’abilità del pittore nel farsi «molto ben [...] pagare» e la sua ambizione di mantenere «come il genitore, anch’egli casa nobile, ammobigliandola più che da par suo» (1678, 1841, p. 188).
Entro la fine del Cinquecento si attestano la pala di Gargallo e l’interessante S. Giorgio e santi (Forlì, Pinacoteca comunale; Bondi, 1997); è datato 1596 il Ritratto di un gentiluomo ventottenne (forse un Pepoli), esposto nel Museo di Stato di San Marino sotto il nome di Tiburzio (Pasini - Simoncini, 2004), un’attribuzione da confermare, che getta nuova luce su un settore, quello della ritrattistica, poco frequentato dall’artista, a differenza del padre. Ma bisogna ricordare i tre ritratti di Tiburzio nella celebre collezione d’arte e di meraviglie del marchese Ferdinando Cospi, dove si conservava anche una «Venere a giacere grande al naturale con un Amore» (Legati, 1677, p. 518).
Proprio allo scadere del Cinquecento si colloca la committenza del celebre chirurgo Gaspare Tagliacozzi, al quale Tiburzio fece il ritratto (Bologna, Istituti ortopedici Rizzoli) e la pala con la Crocifissione e s. Francesco inginocchiato (Bologna, monastero della Visitazione), da poco ritrovata (Cammarota, 2000), destinata, secondo le volontà testamentarie di Tagliacozzi, all’altare della cappella di famiglia nella chiesa di S. Giovanni Battista (Ghirardi, 2004).
È perduta la pala con S. Lorenzo, s. Caterina e s. Apollonia, dipinta nel 1596 per la chiesa di S. Giuseppe, a spese di Apollonio Paini (Rota, 1628; per altri dipinti perduti: Ghirardi, 1986b, pp. 779 s.; Höper, 1987).
Il 3 luglio 1603 Tiburzio lasciò la Compagnia dei pittori per aggregarsi a quella dei drappieri (Arfelli, 1959, p. 460 n. 18), una delle Arti più potenti di Bologna. Furono eseguite in questo stesso anno la pala di S. Guglielmo (Bologna, Pinacoteca nazionale; Ghirardi, 2006, pp. 218 s.) – alla quale si avvicina, per iconografia e stile, la Madonna che porge il Bambino a s. Francesco e santi (Piacenza, Pinacoteca civica; Mazza, 1997) – e il Calvario, eseguito su commissione di suor Margherita Giavarina per S. Cristina della Fondazza, una chiesa dove Tiburzio tornò a lavorare, poco dopo, con l’Annunciazione per una monaca Zambeccari (Ghirardi, 1986b, p. 779; Roio, 1997).
Non si è ancora tentata la sistemazione cronologica delle due scene con le Allegorie dell’estate e dell’autunno, da poco ritrovate (Mazza, 2009) – dove la rappresentazione della vita campestre (attenta a Jacopo Bassano fino alla citazione puntuale del fanciullo che pigia l’uva) è ibridata con le imprese di Paolo Giovio –, che aprono a un aspetto inedito e molto interessante della produzione di Tiburzio. Altri quadri significativi di Tiburzio, aggiunti di recente al suo catalogo, sono l’Adorazione dei magi di Ajaccio, pubblicato, già con la giusta attribuzione a Tiburzio, nel catalogo on-line del museo, le Annunciazioni di S. Martino in Rio (Mazza, 1999b) e di Cesena (Mazza, 2004, p. 48), la Giuditta della Galleria Estense di Modena (Mazza, 2009, p. 120 n. 73).
Secondo la testimonianza di Malvasia (1678, 1841, p. 188) Tiburzio vendette al «Cardinal Giustiniani» un gruppo di disegni per l’ingente somma di «seimila lire». Il riferimento va al cardinale Benedetto Giustiniani, appassionato collezionista, che fu legato a Bologna dal 1606 al 1611. La vendita cadde, con ogni probabilità, in quel giro di anni. I disegni venduti appartenevano al museo del padre, destinato in eredità al secondogenito Passerotto, ma di cui si era impadronito Tiburzio che lo «accrebbe infinitamente».
Tiburzio fece testamento il 30 aprile 1609 (Gualandi, serie terza, 1842, pp. 183 s.); morì a Bologna il 22 novembre 1612 (Oretti, Notizie… (1760-80), c. 55).
Fonti e Bibl.: Bologna, Archivio provinciale dei frati minori cappuccini: T. Rota, Memorie antiche del convento di S. Giuseppe, 1628, c. LXXIIII; Bologna, Biblioteca comunale dell’Archiginnasio, ms., B. 124, II: M. Oretti, Notizie de’ professori del disegno... (1760-80), II, c. 55.
T. Alfarano, De basilicae Vaticanae antiquissima et nova structura [1583], con introduzione e note di M. Cerrati, Roma 1914, p. 94 n. 1; F. Amadi, Della nobiltà di Bologna [...], compresa nel suo specchio della nobiltà d’Europa, Cremona 1588, p. 154; L. Legati, Museo Cospiano, Bologna 1677, p. 518; C.C. Malvasia, Felsina pittrice (1678), con aggiunte, correzioni e note… di G. Zanotti, I, Bologna 1841, p. 188 s.; C.C. Malvasia, Le pitture di Bologna (1686), a cura di A. Emiliani, Bologna 1969, passim; G. Moschini, Guida per la città di Venezia all’amico delle belle arti, II, Venezia 1815, p. 565; M. Gualandi, Memorie originali italiane risguardanti le belle arti, Bologna 1840-1845, serie terza, 1842, pp. 179, 183 s., serie quarta, 1843, p. 160; F. Malaguzzi Valeri, Nuovi documenti. L’arte dei pittori a Bologna nel secolo XVI, in Archivio storico dell’arte, s. 2, III (1897), pp. 309-314; E. Brunelli, Un’opera ignorata di T. P. nel Palazzo Ducale di Venezia, in Bollettino d’arte, XVI (febbraio 1923), pp. 354-362; A. Arfelli, Per la cronologia dei Procaccini (e dei figli di Bartolomeo Passerotti), in Arte antica e moderna, VIII (1959), pp. 457-461; A. Ghirardi, Bartolomeo Passerotti, in Nell’età di Correggio e dei Carracci (catal., Washington-New York, 1986-1987), Bologna 1986a, p. 181; Id., T. P., in Pittura bolognese del ’500, a cura di V. Fortunati Pietrantonio, II, Bologna 1986b, pp. 777-790 (con bibliografia precedente); C. Höper, Bartolomeo Passarotti, II, Worms 1987, pp. 202-214; D. Benati, s.v. Passerotti Tiburzio, in La pittura in Italia. Il Seicento, II, Milano 1989, p. 839; P.L. Fantelli, scheda 159, in Da Bellini a Tintoretto. Dipinti dei Musei Civici di Padova dalla metà del Quattrocento ai primi del Seicento (catal., Padova 1991-1992), a cura di A. Ballarin - D. Banzato, Roma 1991, pp. 236 s.; A. Bondi, in Arte sacra nella casa, alta ispirazione per la famiglia, Cesena 1997, p. 28; D. Ferriani, scheda 48, in Civitas Geminiana: la città e il suo patrono (catal., Modena), a cura di F. Piccinini, Modena 1997, p. 183; A. Mazza, scheda 11, in Il Palazzo Farnese a Piacenza. La Pinacoteca e i Fasti, a cura di S. Pronti, Milano 1997, p. 197; N. Roio, San Giuliano e Santa Cristina, l’arte in due chiese bolognesi, in S. Giuliano, S. Cristina: due chiese in Bologna. Storia, arte, architettura, Bologna 1997, pp. 192-199; A. Mazza, Pittura emiliana a Venezia tra Sei e Settecento, in La pittura emiliana nel Veneto, a cura di S. Marinelli - A. Mazza, Modena 1999a, pp. 144 s.; Id., scheda 114, in L’esercizio della tutela. Restauri tra Modena e Reggio Emilia (1985-1998), a cura di L. Bedini - J. Bentini - A. Mazza, Modena 1999b, pp. 173 s.; G.P. Cammarota, Le origini della Pinacoteca nazionale di Bologna. La collezione Zambeccari, Bologna 2000, p. 23; A. Ghirardi, Bartolomeo Passerotti, il culto di Michelangelo e l’anatomia nell’età di Ulisse Aldrovandi, in Rappresentare il corpo. Arte e anatomia da Leonardo all’Illuminismo (catal., Bologna, 2004-2005), a cura di G. Olmi, Bologna 2004, pp. 159 s.; A. Mazza, Pittura bolognese nel territorio cesenate tra Seicento e Settecento, in Storie barocche. Da Guercino a Serra e Savolini nella Romagna del Seicento (catal., Cesena), a cura di M. Cellini - A. Emiliani, Bologna 2004, p. 48 n. 9; Museo di Stato della Repubblica di San Marino: guida-catalogo, a cura di P.G. Pasini - A. Simoncini, San Marino 2004, pp. 106 s.; F. Caprara, scheda 27, in I dipinti della Pinacoteca civica di Budrio, secoli XIV-XIX, a cura di D. Benati - C. Bernardini, Bologna 2005, pp. 121-123; M. Pigozzi, Gli altari di Santa Cecilia, in La chiesa di Santa Cecilia in Bologna. Riscoperte e restauri, a cura di D. Scaglietti Kelescian, Bologna 2005, pp. 71 s.; A. Ghirardi, schede 155-157, in Pinacoteca nazionale di Bologna. Catalogo generale. II. Da Raffaello ai Carracci, Venezia 2006, pp. 216-219; A. Mazza, Trascendendo in facetie [...]. ‘Pitture ridicole’ a Bologna al tempo di Giulio Cesare Croce, in Le stagioni di un cantimbanco. Vita quotidiana a Bologna nelle opere di Giulio Cesare Croce (catal., 2009-2010), a cura di Z. Zanardi, Bologna 2009, pp. 119-125; A. Ghirardi, Interferenze tra sacro e profano: la singolare fortuna delle più spavalde invenzioni di Bartolomeo Passerotti nell’età della Controriforma, in Il Concilio di Trento e le arti 1563-2013. Atti della Giornata di studi, Bologna... 2013, a cura di M. Pigozzi, in corso di stampa.