BRANDOLINI, Tiberto (Tiberto da Forlì, Tiberto da Bagnacavallo)
Figlio del condottiero Brandolino Conte Brandolini di Bagnacavallo, dovette nascere nel primo ventennio del secolo XV. Nel 1432 si sposo - il contratto è del 2 marzo - con Polisena Romagnola, figlia del Gattamelata. La sua prima condotta - di 50 lance - risale al 14 apr. 1434 quando il padre e il Gattamelata vennero assoldati dalla Repubblica di Venezia insieme con due dei loro figli. E conservò il comando di una modesta compagnia - quaranta o sessanta lance - quando il padre, dopo aver litigato con il Gattamelata, abbandonò l'esercizio delle armi e permise che la condotta veneziana passasse interamente al Gattamelata (30 nov. 1437). Nell'armata di quest'ultimo il giovane B. fu dislocato a Borgo San Giovanni nel luglio del 1438, allorché il Gattamelata marciò in difesa di Brescia.
La prima azione di un certo rilievo cui il B. prese parte fu il fallito tentativo dell'armata veneziana di impedire l'attraversamento dell'Adige al Piccinino, nella primavera del 1439; l'avanzata delle forze veneziane, al comando di Andrea Donato, venne contrastata dalle truppe, superiori per numero, attestate dal Piccinino nelle galere sul fiume. Durante questa azione il B., che era al comando di trecento cavalieri, fu gravemente ferito alla gamba sinistra da una scheggia.
La condotta del B. fu rinnovata dai Veneziani il 12 apr. 1441: prese parte alle operazioni che precedettero la battaglia di Martinengo, durante le quali, insieme con Bartolomeo Colleoni, fu inviato con duemila cavalieri a occupare Pontoglio per permettere allo Sforza di attraversare l'Oglio e affrontare il Piccinino a Martinengo (luglio 1441). La sua condotta venne in seguito regolarmente rinnovata da Venezia (per es., per un anno dal 1º nov. 1441, con quattrocento cavalieri in tempo di pace e seicento in tempo di guerra). Nell'agosto 1443, dopo il ritorno di Annibale Bentivoglio a Bologna, fu inviato dalla Repubblica con cinquecento cavalli a congiungersi con le forze fiorentine che, comandate da Simonetto Baglioni di Castel Piero, dovevano conquistare il castello di Galliera in Bologna. Non siamo in grado di stabilire se il B. prese parte alla battaglia del 14 agosto: alcune fonti lo dicono presente, ma la cronaca bolognese afferma che "quilli di Tiberto non arrivò a tempo".
Nel settembre 1443 il B. fu inviato con Guido Rangone a Ravenna e di lì a Rimini, dove entrò il 23 settembre, per muovere contro Alfonso d'Aragona, accampato a Fano: ma non si arrivò ad alcuna azione militare. I Bolognesi chiesero di nuovo il suo aiuto nei drammatici momenti che seguirono l'uccisione di Annibale Bentivoglio per mano dei Canetoli, nel 1445. Egli partì da Pieve diretto a Bologna, dove giunse il 5 luglio 1445, quando Battista Canetoli era stato ucciso a sua volta dalla fazione dei Bentivoglio. Durante l'estate del 1446 rimase in Romagna con Taddeo d'Este e altre truppe veneziane: quando Carlo Gonzaga e Guglielmo di Monferrato furono inviati da Filippo Maria Visconti a Castel San Giovanni in Persiceto per "soffocare" il regime dei Bentivoglio in Bologna, Taddeo d'Este e il B., nel luglio di quell'anno, negoziarono il tradimento di Castel San Giovanni da parte di Alberto Pio da Carpi. Il castello fu occupato dalle truppe veneziane, il che permise al grosso dell'esercito di respingere l'armata del Visconti al di là del contado bolognese, e all'esercito veneziano (compresa la compagnia del B.), in tal modo liberato, di operare in territorio bresciano.
Il 6 nov. 1446 il B. ebbe modo di utilizzare le sue eccezionali capacità di ricognizione e movimento in un terreno difficile, per passare l'Adda a sud di Rivolta in una notte, attraversando una zona deserta e paludosa: in tal modo riuscì a mettere il grosso dell'esercito veneziano - comandato da Michelotto Attendolo Sforza - in condizione di attraversare il fiume e di attaccare le forze milanesi. Nel giugno 1447 era "capo primo" dell'esercito veneziano, dopo che questo aveva attraversato l'Adda per marciare contro Milano; giunse sotto le mura di Milano, e a Lambrate, con alcuni altri condottieri, fu creato cavaliere da Michelotto Attendolo Sforza.
Il B. e suo fratello Ettore restarono al servizio di Venezia, e la loro condotta fu rinnovata il 6 genn. 1448. Nell'estate di quell'anno il B. fu tra coloro che maggiormente si distinsero all'assedio di Caravaggio. La sua capacità nella ricognizione del terreno fu nuovamente.di grande utilità: vestito come un povero "guastatore", trasportando un carico di terra sulle spalle, egli penetrò nel campo milanese e trovò, una strada per la quale le truppe di rincalzo veneziane avrebbero potuto marciare attraverso i boschi e le paludi così da mettersi in contatto con la città assediata. Durante l'azione, che ebbe luogo il 14 agosto, il B. rimase ferito. Le sue doti di stratega non erano però pari a quelle di uomo d'armi: quando gli ufficiali veneziani accettarono l'opinione del B. che contro Muzio Attendolo Sforza e Ludovico Gonzaga aveva sostenuto la necessità di assumere altri sette capitani mercenari e di sferrare con essi l'attacco frontale contro i Milanesi, l'esercito della Serenissima riportò una disastrosa disfatta (15 settembre). Nonostante ciò la sua condotta fu rinnovata da Venezia di anno in anno. Il B. continuava ad essere un condottiero chiaramente di secondo ordine (la condotta del 23 nov. 1450, per esempio, menziona duecentoquarantaquattro lance incluse le cinquanta al comando di suo fratello Ettore e cento fanti), anche se stimato dal governo veneziano che, per rendere più salda la sua lealtà, gli concesse, nel dicembre 1451, il possesso di Guerriero di Marzana.
Nella primavera del 1451 il B. si mosse con altre truppe contro il "traditore" Bartolomeo Colleoni; giunse ai quartieri invernali presso Crema alla fine dell'anno, e gli abitanti dovettero lamentare i saccheggi perpetrati dalle sue truppe. Nel maggio 1452 lo troviamo nel Bresciano al comando di duecento lance, nell'esercito guidato da Gentile da Leonessa; alla fine di maggio attraversò l'Adda e attaccò le bastie di Francesco Sforza, a sud di Melzo nel Milanese. Più tardi, nell'estate dello stesso anno, fu impegnato in scaramucce nelle paludi presso Orzinovi; il 12 giugno era a Pontevico e poco tempo dopo durante un attacco fu ferito a un gomito. L'umanista napoletano Porcellio riferisce che, durante questa campagna, il B. era l'amico e il consigliere dei Piccinino, e fa risalire in parte il fatto all'amicizia che aveva unito i padri dei due condottieri. Nell'ottobre il B. mosse con il grosso della compagnia verso Porzano e in seguito verso i dintorni di Ghedi, dove circa alla fine del mese Ettore, suo fratello naturale, fu ucciso; egli continuò a combattere, e in novembre era in azione a Longhena.
Durante l'inverno successivo il B. improvvisamente abbandonò il servizio di Venezia e passò ai Milanesi. Le ragioni non sono sufficientemente note, ma si può supporre che egli abbia sperato di ottenere un comando più importante o un guadagno maggiore. La sua condotta con Venezia era scaduta il 4 nov. 1452 e, se dobbiamo prestar fede al Porcellio, la sua defezione va posta circa quaranta giorni dopo, cioè verso la metà di dicembre. Da Crema egli si mise in rapporto con Francesco Sforza che si trovava allora a Cremona, e che accolse con favore la sua defezione e ne stabilì i termini. Il B. si portò poi a Mirandola, mentre la moglie e i figli avevano abbandonato il territorio veneziano. Nel giugno del 1453 si unì apertamente agli Sforzeschi collaborando con Ludovico Gonzaga (che pure era passato ai Milanesi dopo la battaglia di Caravaggio) nell'attacco contro il fratello di Ludovico, Carlo Gonzaga, a Villafranca, per costringerlo a ritirarsi dal contado mantovano nel Veronese.
Dopo un'ulteriore vittoria sul Gonzaga, a Goito sul Mincio, nel luglio 1453 il B. ritornò nel Bresciano, combattendo col grosso dell'esercito sforzesco a Ghedi; il 28 agosto saccheggiò un convoglio veneziano fuori di Brescia, sulla strada per Quinzano. Durante la battaglia contro Giacomo Piccinino a Ghedi, combatté con particolare audacia nella prima linea dell'esercito sforzesco (nel consiglio di guerra sforzesco, come era stato in quelli veneziani, era stata richiesta la sua opinione). Mentre si portava nei quartieri d'inverno di Rovato, da qui, durante l'inverno 1453-54, il B. operò numerose incursioni nel contado di Brescia; il 30 marzo 1454 occupò Travagliate; nel maggio dello stesso anno, subito dopo la pace di Lodi, ebbe l'incarico di sottomettere Correggio. Nel corso dell'estate fu inviato contro Guglielmo di Monferrato e in seguito contro Ludovico di Savoia, in entrambi i casi per riconquistare le terre del Milanese occupate da questi principi nel 1450, e operò nel Vercellese, occupando Bassignava, Valenza, Bremide e Borgo Sesia. Entrambe furono brevi campagne: le ostilità col Monferrato cessarono verso la metà di luglio, quelle con la Savoia alla fine di agosto.
Il 15 nov. 1455 lo Sforza, per assicurarsi la fedeltà del B., gli concesse Castelnuovo, Castell'Arquato e altri possedimenti nell'Appennino di Piacenza e nel Parmigiano (queste terre erano feudali, tranne Castell'Arquato, confiscata dal Colleoni). Nell'aprile 1457 il B. ricevette con grande fasto Federico da Montefeltro, in occasione del suo ingresso nel territorio milanese. Il 6 giugno 1457 a Pistoia addivenne ad un accordo con sua suocera, la vedova del Gattamelata, in merito alla proprietà spettante ai suoi figli Sigismondo e Leonello, natigli dalla defunta Polisena Romagnola. Il 6 febbr. 1458 si recò a Bologna per prendere accordi intorno al matrimonio di suo figlio Sigismondo con Antonia, figlia dell'ucciso Annibale Bentivoglio. Una cronaca bolognese lo dice capitano generale delle truppe milanesi al di là del Po. Il 6febbraio si recò a Imola, dove prese in moglie Cornelia, figlia di Guid'Antonio Manfredi.
Con l'aumentare della sua importanza politica, il B. prese parte con minor frequenza ai fatti d'arme. Fece partecipare i suoi figli al tentativo di Piero Campofregoso su Genova nel 1458-59;fu presente all'incontro di Galeazzo Maria Sforza con Pio II a Bologna svoltosi dal 6 al 22maggio del 1459. Durante la primavera del 1461fu inviato ad appoggiare la rivolta di Genova contro il dominio francese agli ordini di Paolo Campofregoso e Prospero Adorno. A cominciare da questo periodo il B. iniziò ad essere fonte di preoccupazioni politiche per il governo milanese, a causa sia dell'indignazione da lui manifestata per le misure prese contro suo fratello Cecco da Pio II, alleato dello Sforza, sia per la sua parentela con i Manfredi. Nel settembre-ottobre 1461la spia Antonio Vailati riferì segretamente alla Signoria che la sua ribellione era originata dal fatto che alcune sue truppe erano state licenziate e che egli stava complottando con gli Este. In questo periodo il B. era stato incaricato dei negozi milanesi con il Manfredi, ma Francesco Sforza non ebbe più fiducia in lui; scriveva infatti nel febbraio del 1462: "Misser Tiberto se dà da fare assay in questa materia et a nuy non piace".
L'insurrezione contadina nel Piacentino contro le imposte stabilite dal governo causò il saccheggio del palazzo del B. a Rivergaro nel gennaio 1462, ed egli entrò a Piacenza il 2febbr. 1462per restaurare l'ordine, quindi tornò a Milano. In questo periodo circolò la voce che Francesco Sforza fosse moribondo, ed egli commise forse l'errore politico (come d'altra parte fecero numerosi alti ufficiali milanesi, compreso il figlio naturale dello Sforza, Secondo) di entrare in trattative con gli Angioini. Quali che siano state le cause, il suo arresto ebbe luogo il 21-22apr. 1462. Il 23aprile lo Sforza scrisse che il B., all'avvicinarsi della festa di s. Giorgio (24aprile), "dovia fugirse da nuy, et condure la campagna a la Mirandula, et deinde in Romagna...". Forse venne accusato di aver sollecitato l'intervento delle truppe del Piccinino e (il che sembra piuttosto improbabile) di aver complottato con i rivoltosi delle campagne piacentine. La confessione dal B. resa in prigione si trova, secondo il Ghinzoni, nell'Archivio Sforzesco. Morì nel settembre del 1462(gli Annali piacentini riportano la data del 12 settembre) ufficialmente suicida, ma forse ucciso per ordine dello Sforza.
Nonostante l'importanza politica raggiunta nello Stato sforzesco, non possono essere attribuite al B. altre qualità oltre a quelle di energia, abilità tattica ed enorme coraggio. Crudele e senza scrupoli, egli non conobbe altro genere di vita se non quello del campo di battaglia. Non può essere annoverato fra i grandi condottieri, e ci sembrano accettabili i giudizi a lui contrari fornitici dal Simonetta e dall'annalista di Piacenza. Tuttavia il B. lasciò il ricordo del suo coraggio e della sua audacia, soprattutto in Romagna.
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