Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
La filosofia di Thomas Reid e della scuola scozzese del senso comune nacque come reazione alle conclusioni immaterialiste e scettiche rispettivamente di George Berkeley e David Hume. Indagando fenomeni come la credenza e la percezione, i filosofi del senso comune difesero l’esistenza di credenze spontanee, comuni a tutti gli uomini e indipendenti dall’esperienza.
Le verità della vita quotidiana
Il filosofo Thomas Reid è oggi considerato il maggior esponente della scuola scozzese del senso comune. Prima regent all’università di Aberdeen e poi professore di filosofia morale a Glasgow, Reid fu tra i fondatori di un circolo di Wise Men, professori dell’università di Aberdeen che si incontravano regolarmente e che, con le loro discussioni, diedero vita alla filosofia del senso comune. Il club includeva, tra gli altri, il medico John Gregory (1724-1773), James Beattie, professore di logica e filosofia morale, George Campbell.
Riprendendo il termine già usato da Aristotele e dagli stoici, Reid intendeva affermare le ragioni del plain man di fronte alle bizzarre conclusioni a cui erano giunti George Berkeley e David Hume. Reid concepì l’appello al senso comune come una riabilitazione delle natural beliefs, le credenze che l’uomo ha naturalmente e che si ritrovano in tutti i popoli, tutte le epoche e tutte le lingue. I principi del senso comune erano dunque quelle verità che l’uomo usa nella sua vita quotidiana, che sono così evidenti da non richiedere alcuna prova e che pertanto tutte le persone ragionevoli erano disposte ad accogliere e difendere. Nonostante i principi del senso comune così concepiti riguardino un ampio spettro di credenze, che includono per esempio la scienza, la morale, la logica e l’economia, Reid si dedicò soprattutto alle credenze nell’esistenza del mondo esterno, della relazione causa-effetto e dell’identità personale, i punti messi in discussione da Berkeley e Hume.
La dimostrazione per assurdo
Thomas Reid
Ricerca sulla mente umana
C’è un odore: questa è la testimonianza dei sensi. C’era un odore: questa è la testimonianza immediata della memoria. Se mi si chiede perchè io creda che l’odore esiste, non sono in grado – né lo sarò mai – di addurre altro motivo se non quello che io lo sento. Se mi si chiede perchè io creda che sia esistito ieri, posso giustificarmi solo dicendo che lo ricordo.
Sensazione e memoria sono dunque operazioni semplici, perfettamente distinte e originarie della mente; ed entrambe sono principi primitivi della credenza. L’immaginazione ne è distinta in quanto non è un principio di credenza. La sensazione implica l’esistenza attuale del suo oggetto, la memoria quella passata.
Thomas Reid, Ricerca sulla mente umana, trad. it. a cura di A. Santucci, Torino, Utet, 1996
Il terreno che Reid esplorava per dimostrare l’esistenza del senso comune era tuttavia l’analisi della percezione, dalla quale sia Berkeley sia Hume avevano tratto conclusioni scettiche o paradossali. Reid piuttosto descriveva il meccanismo del suggestion, la capacità della percezione di suscitare immediatamente le credenze nell’esistenza della qualità percepita, nell’esistenza dell’oggetto a cui quella qualità appartiene e nell’esistenza del soggetto percipiente. L’odore di una rosa non era più considerato come una loose perception – il significato che le aveva dato Hume – ma come una sensazione che rimandava al mondo esterno e alla certezza della sua realtà (Ricerca sulla mente umana, cap. II, sez. 3-5). Gli argomenti di Berkeley a favore dell’immaterialismo e quelli di Hume sull’impossibilità di dedurre l’esistenza dell’oggetto dalla sua rappresentazione mentale venivano ugualmente respinti, in nome della fiducia naturalmente accordata dagli uomini alle loro sensazioni.
Reid era consapevole che l’esistenza dei principi del senso comune non poteva propriamente essere dimostrata, in quanto erano essi stessi la base di qualsiasi corretto ragionamento. Essi potevano semmai godere di una dimostrazione per assurdo, per il fatto che, per esempio, soltanto i pazzi e gli idioti hanno reali dubbi riguardo l’identità personale e l’esistenza del mondo esterno. Agli occhi di Reid l’esistenza di un senso comune era un segno della provvidenza divina, che aveva creato l’uomo non come tabula rasa, ma come un’officina ben equipaggiata e lo aveva dispensato dal peso di dover dare una dimostrazione anche delle credenze più evidenti. Mentre Reid fondava il suo attacco a Hume sulla gnoseologia e sulla metafisica, Beattie e Campbell si concentrarono su argomenti strettamente religiosi. Campbell prendeva in esame la credenza nei miracoli, che Hume aveva risolto come caso di credenza poco probabile in quanto non fondata sulla ripetizione di casi simili e dunque decisamente priva di prove. Campbell obiettava che la tendenza umana a credere nella testimonianza dei sensi era in realtà immediata e “antecedente rispetto all’esperienza” (Dissertation on Miracles, parte I, sez. 1). Il miracolo era infatti una violazione delle leggi di natura e la credenza nei miracoli non può essere essere assimilata a quella nel corso ordinario dei fenomeni. Analogamente, la fiducia nella veridicità dei racconti e delle testimonianze riportate da altri uomini non è fondata su prove, ma è naturale e spontanea, come confermato dalla credulità con cui i bambini accettano ciò che viene loro raccontato. In generale, la credenza nella testimonianza degli altri uomini era un principio primo della mente umana, che la filosofia della mente non era in grado di spiegare o giustificare e per questo doveva essere accettato come un principio del senso comune.
I contributi di James Beattie e Dugald Stewart
Il contributo di Beattie alla polemica contro Berkeley e Hume è un’indagine sul concetto di verità e in particolare sulle differenze tra verità intuitiva e dimostrativa. Beattie dà una definizione di senso comune destinata a diventare famosa, come facoltà con cui percepiamo le verità intuitive, o meglio quelle “verità in cui siamo spinti a credere per la nostra stessa natura” (Essay on the Nature and Immutability of Truth, parte I, cap. 1). Il senso comune si distingue pertanto dalla ragione in quanto quest’ultima è in grado di ottenere una conclusione congiungendo in modo corretto proposizioni vere. La verità delle premesse, o comunque la verità dei principi su cui il ragionamento è basato, è però accertata intuitivamente, cioè spontaneamente e immediatamente dal senso comune. Beattie esplora a lungo le differenze tra pensiero intuitivo e dimostrativo, notando per esempio che tutti gli ambiti del sapere umano si fondano sul senso comune e che, contrariamente alla ragione, questo non può essere insegnato o perfezionato attraverso l’esperienza.
Nonostante la fama di cui Reid gode in vita e i numerosi allievi formatisi durante la sua lunga carriera universitaria, dopo la sua morte non è più possibile riconoscere una vera e propria “scuola” del senso comune. Dugald Stewart, professore di matematica e filosofia morale all’università di Edimburgo, inaugura una sorta di agiografia del senso comune attraverso l’esaltazione dello studio dei poteri della mente e del contributo che Reid ha portato in questo campo. In particolare, Stewart si adopera per replicare all’accusa che più frequentemente è stata rivolta a Reid: quella di moltiplicare i principi del senso comune e di fare dell’appello alle credenze prime e originarie una facile soluzione per ogni tipo di problema filosofico. Stewart sostituisce i principi del senso comune – in cui Reid ha incluso anche gli assiomi della matematica e certe regole della logica – con un’unica credenza nella regolarità della natura, una sorta di tendenza spontanea a ritenere vero tutto ciò che appare evidente e privo di contraddizioni (Elements of the Philosophy of the Human Mind, vol. II, cap. 2, sez. 4).
Lasciando cadere gli intenti apologetici e il sostegno che la filosofia del senso comune ha fornito alla difesa della dottrina cristiana, Stewart si concentra invece sul progresso, o improvement, che il perfezionamento delle capacità di pensiero e ragionamento può portare all’uomo. La filosofia del senso comune si rivolge, secondo Stewart, all’uomo mediamente istruito, curioso degli sviluppi della scienza e desideroso di farsi una posizione nella società. A questo plain man la filosofia del senso comune fornisce una sorta di rasoio di Ockham, una guida per distinguere le questioni filosofiche veramente rilevanti per il progresso della conoscenza umana dalle vane discussioni accademiche. Agli occhi di Stewart, dunque, la filosofia del senso comune è un necessario sostegno delle riforme che sarebbero state esposte nelle lezioni di economia politica. Thomas Brown, allievo di Stewart e suo successore alla cattedra di filosofia morale, cerca invece di conciliare lo scetticismo di Hume e il senso comune di Reid. Insistendo sull’importanza che Hume accorda alla credenza nella vita quotidiana, Brown afferma la sostanziale omogeneità tra Hume e Reid: la sola differenza stava nel fatto che il primo denuncia i limiti delle dimostrazioni razionali, ma è costretto ad ammettere l’efficacia delle credenze dell’uomo comune, mentre Reid esalta le credenze naturali, anche se riconosce di non poterne dare alcuna dimostrazione (Brown, Observations on the Nature and Tendency of the Doctrine of Mr. Hume). Di tutt’altro tenore è la difesa del senso comune intrapresa dopo la morte di Stewart da William Hamilton, professore di logica all’università di Edimburgo. Nel tentativo di conciliare la filosofia tedesca, in particolare kantiana, con il senso comune, Hamilton oppone di fatto il senso comune all’associazionismo di John Stuart Mill.
La fortuna di Reid nell’Ottocento
Nonostante il senso comune fosse stato considerato soltanto una difesa bigotta della religione di fronte all’ateismo e allo scetticismo, nel corso dell’Ottocento la filosofia di Reid e dei suoi epigoni ebbe un’influenza più vasta e in ambiti molto diversi. In Francia, Victor Cousin promosse nel 1828 la prima traduzione completa delle opere di Reid; egli dipinse la filosofia scozzese come la custode di una corretta metafisica, fiduciosa nei poteri della mente e nella possibilità dell’uomo di coltivare una teologia naturale. La filosofia del senso comune appariva pertanto come portatrice di una nuova ortodossa alleanza tra conoscenza umana e religione naturale e veniva descritta come l’erede di una ricca tradizione metafisica che era cominciata con Platone e che aveva tra i suoi avversari moderni non tanto Hume, bensì Kant e la sua rinuncia a fare della metafisica una scienza. Infine, la filosofia della mente promossa dalla scuola del senso comune divenne popolare nelle università americane attraverso manuali usati fino alla metà del XIX secolo e fu, insieme all’idealismo e all’evoluzionismo darwiniano, uno dei tratti principali della filosofia americana. Nella sua discussione della conoscenza intuitiva, Charles Peirce reinterpretò il senso comune di Reid, dandogli un valore non tanto metafisico o teologico, quanto pragmatico e interpretandolo come un antidoto ai falsi dubbi dei filosofi, lontani dai problemi e dalle certezze dell’uomo comune.