HOBBES, Thomas
Filosofo inglese, nato a Westport (Malmesbury) il 5 aprile 1588, morto a Londra il 4 dicembre 1679. Baccalaureus a vent'anni, dovette interrompere per ragioni pratiche la carriera accademica, e divenne maggiordomo e precettore del figlio del barone Cavendish, poi conte di Devonshire. Nel 1610 fu con lui in Francia e in Italia; e a Parigi tornò nel 1629 e dal 1634 al '36, con grande vantaggio per il suo sviluppo intellettuale. Ivi infatti venne in contatto con la filosofia e la scienza naturalistico-matematica del tempo, specialmente attraverso l'amicizia del Mersenne, che determinò il suo accurato studio delle opere di Cartesio, allora in corso di pubblicazione, e il grande influsso ch'esse esercitarono su di lui. A questa iniziazione razionalistica e scientifica egli aveva fatto d'altronde precedere un'accurata preparazione umanistica, con gli studî classici che aveva curati specialmente dopo il suo primo viaggio a Parigi (e da cui era uscita una versione di Tucidide, pubblicata nel 1628): gliene venne un interesse letterario, che non si spense più in lui, e che si manifestò soprattutto nei tentativi poetici compiuti in vecchiaia, quando compose in versi un'autobiografia (la Vita carmine expressa), una storia ecclesiastica, e tradusse Omero in giambi rimati. A questo fondamentale motivo umanistico risale, del resto, quell'interesse per lo studio dell'uomo, che restò alla base della sua filosofia, e che, orientatosi in senso naturalistico per l'influsso dell'altro elemento costitutivo della sua cultura, caratterizzò tipicamente il suo sistema. Il primo problema filosofico che propriamente lo occupò, e gli fece sentire l'esigenza di una filosofia naturale, fu, per sua stessa confessione, quello della percezione sensibile: e da queste prime indagini dovette nascere lo Short tract on first principles, che, inedito, fu nel 1889 pubblicato da F. Tönnies nella sottocitata edizione degli Elements.
Ma lungo tempo doveva ancora passare perché si concretasse in lui il disegno del sistema, che avrebbe dovuto trattare, in tre distinte sezioni, della natura del corpo, di quella dell'uomo e di quella dello stato. Solo nel 1640 egli si decise a far conoscere a una ristretta cerchia di lettori l'operetta The elements of law, natural and politic, in cui cominciava a svolgere la terza parte del sistema (operetta che, pubblicata contro la sua volontà nel 1650 distinta nelle due parti Human nature or the fundamental elements of policy e De corpore politico, è stata edita nella genuina forma di sul manoscritto da F. Tönnies, Londra 1889). Ma essa fu svolta pienamente nella Elementorum philosophiae sectio tertia de cive, pubblicata nel 1642 a Parigi (2a ed., Amsterdam 1647), dove H. aveva nuovamente preso stanza, fuggendo la rivoluzione d'Inghilterra. Nel 1651 uscì a Londra la sua opera più nota, Leviathan or the matter, form and power of a commonwealth, ecclesiastic and civil, che, se fece perdere a H. le grazie della parte realista, troppo legata al clero per poter accogliere la sua subordinazione del potere ecclesiastico al civile, gli rese d'altronde possibile il ritorno in patria. E a Londra, nel 1655 e nel 1658, apparvero le altre due parti del sistema, la Elementorum philosophiae sectio prima, de corpore e la Elementorum philosophiae sectio secunda, de homine (scelta da tutto il sistema, a cura di M. W. Calkins, Lipsia 1913; in tedesco, a cura di M. Frischeisen-Kohler, Lipsia 1915-18). Nel frattempo H. ebbe un'interessante polemica col vescovo Bramhall sul problema del libero arbitrio, i cui documenti furono da lui stesso raccolti in volume (Londra 1656). Caduta la repubblica, egli fu di nuovo accolto alla corte di Carlo II, e negli ultimi anni di vita attese a un'opera storica sul Parlamento Lungo (Behemoth or the Long Parliament, edito dal ms. a cura di F. Tönnies, Londra 1889).
La prima sezione del sistema di H., il De corpore, s'inizia col capitolo Computatio sive logica, che ne delinea i presupposti metodologici. La filosofia è per H. dottrina dei corpi e delle leggi causali che ne determinano naturalisticamente l'accadere: e distinguendosi i corpi in naturali e artificiali (quale p. es. lo stato), si scinde in philosophia naturalis e philosophia civilis. S'intende come da ciò debba discendere quella rigorosa negazione della libertà, che H. espresse particolarmente nella polemica col Bramhall. Ma se la logica di H. è, in questo senso, prettamente empiristica e anzi nominalistica, il motivo razionalistico-matematico interviene poi in essa in modo singolare nella tesi asserente che, il rigore matematico dipendendo dalla libertà onde nelle costruzioni di tale scienza si scelgono e determinano assolutamente i presupposti, lo stesso rigore può aver luogo nella dottrina di quei "corpi artificiali" che, come lo stato, sono parimenti creazione dell'uomo. Non è peraltro da credere che, in tal modo, H. anticipi la concezione vichiana, onde si conosce solo ciò che si fa: ché il realismo torna poi subito ad apparire già nel secondo capitolo del De corpore (la Philosophia prima, idealmente proseguito dal terzo, il De rationibus motuum et magnitudinum) in cui si dà, sì, forma di aprioristica costruzione alla teoria dei concetti (tempo, spazio, corpo, ecc.) necessarî all'edificio della scienza naturalistico-matematica, ma si considera anche tale costruzione come processo onde il pensiero muove dal grado puramente fantastico della sua attività ideale all'adeguazione con l'esistente realtà. Del resto, l'influenza del motivo razionalistico-matematico che si manifesta nei primi tre capitoli del De corpore vien meno nell'ultimo, la Physica sive de naturae phaenomenis, che è propriamente una teoria dell'empirico presentarsi dei fenomeni alla percezione, e fornisce quindi una teoria del senso (in cui si preannunciano tesi del futuro empirismo, come quella del carattere soggettivo delle qualità sensibili), dimostrando come da tale esperienza nasca, per associazione, l'intero contenuto del sapere umano, insieme con quella qualificazione del piacere e del dolore che determina il sistema degli affetti e delle volizioni.
Tali considerazioni gnoseologiche, intorno alla percezione sensibile, e psicologiche, intorno alle passioni, proseguono nella seconda sezione del sistema, il De homine, che però è meno interessante tanto della sezione che la precede quanto di quella che la segue, il De cive, il quale potrebbe dirsi il vero De homine in quanto indaga la natura dell'uomo nella sua massima espansione, in rapporto cioè al problema statale e politico. Nasce così quella dottrina etico-politica che, più ampiamente sviluppata nel Leviathan, ha dato a H. la massima fama. A fondamento dell'uomo è la cupiditas naturalis, che la ratio naturalis ordina in sistema: di qui l'essenziale egoismo e individualismo, che contrappone l'uomo, come animale non politico, ad animali politici quali le api e le formiche, e fa regnare nella sua collettività il bellum omnium contra omnes, fino al momento in cui moventi passionali, come la paura, il desiderio di calma e simili, confortati dalla ragione, la inducono all'accordo onde le sue contrastanti volontà abdicano di fronte a quella del corpo statale. Motivo contrattualistico, e quindi liberale, a cui peraltro in H. fa contrasto tipico il fatto che, costituitasi tale universale volontà, essa assume un aspetto d'indipendente supremazia rispetto a quelle dei sudditi, alle quali vien così a sovrastare non altrimenti che una qualsiasi volontà monarchica di diritto divino. Di qui il favore di H., che pur non considerava propriamente teorizzabili le forme di governo, da adeguare volta per volta alle esigenze del caso, per la monarchia assoluta. Consona a questo assolutismo del valore politico la concezione dell'etica, le cui discriminazioni di bene e di male si risolvono del tutto nelle prescrizioni e nei divieti del diritto positivo, a cui vien resa obbedienza per mero timore delle sanzioni, allo stesso modo che solo per timore di una sanzione ignota sussiste la religione, non distinguibile dalla superstizione se non in quanto la sua concezione è condivisa, a differenza dell'altra, dal potere statale. Irreligiosità non contraddetta, e anzi confermata, dall'intangibilità conservata da H. alle verità della religione del suo stato, ironicamente paragonate alle pillole che inghiottite giovano e masticate possono nauseare.
Edizioni complessive delle opere sono quella curata dallo stesso H., Opera philosophica, quae latine scripsit, omnia (Amsterdam 1668; vi è compresa la versione latina del Leviathan), e la prima edizione completa in inglese, Londra 1780. Inoltre: Opera philosophica quae latine scripsit, ed. Molesworth, voll. 5, Londra 1839-45, e English Works, a cura dello stesso editore, voll. 11, Londra 1839-45.
Bibl.: Il principale complesso di notizie sulla vita di H. è costituito dalla raccolta T. H. Malmesburiensis vita, Charleville 1681, contenente una Vita, scritta da H. stesso o sotto sua dettatura, un Vitae auctarium di J. Aubrey, scritto in inglese e poi tradotto in latino, e una Vita carmine expressa, scritta da H. nel 1672. Da vedere sono inoltre le lettere, pubblicate da F. Tönnies in Archiv. f. Gesch. d. Philos., III (1890), pp. 58-78, 192-232; XVII (1904), p. 291 segg.; XIX (1906), p. 153 segg. Opere principali d'insieme: F. Tönnies, H.s Leben und Lehre, Stoccarda 1896, nuove ed. Osterwieck 1912 e Stoccarda 1922; V. Mayer, Th. H., Friburgo in B. 1886; G. C. Robertson, H., Edimburgo e Londra 1886, 2a ed., 1901; G. Lyon, La philosophie de H., Parigi 1893; L. Stephen, H., Londra 1904; Taylor, Th. H., Londra 1908; H. Moser, Th. H., Berlino 1923. In particolare, sulla gnoseologia: Br. Wille, Der Phänomenalismus d. Th. H., Kiel 1888; G. Cesca, Il fenomenismo del H., Padova e Verona 1891. Sulla metafisica: M. Whiton Calkins, The metaphysical System of H., Chicago 1905; O. Beckkötter, H. und Spinoza, Monaco 1920. Sulle concezioni naturalistiche: M. Frischeisen-Köhler, H. in seinem Verhältnis zur dem mechanische Naturanschauung, Berlino 1902; H. Weinreich, Über d. Bedeut. d. H. für d. naturwiss. u. mathem. Denken, Erlangen 1911. Sulla psicologia, l'etica e la politica: G. Tarantino, Le idee morali e politiche di T. H., Napoli 1901; R. Mondolfo, La morale di T. H., Verona e Padova 1903; K. Gaul, Die Staatslehre v. H. u. Spinoza, Alsfeld 1887; A. Iodice, Le teorie di H. e Spinoza studiate nella società moderna, Napoli 1901; M. Romano, Hobbs e Spencer, Avola 1902; G. Battelli, Le dottrine politiche dell'H. e dello Spinoza, Firenze 1904. Più ampia bibliografia in F. Ueberweg, Grundriss d. Gesch. d. Philos., III, 12a ed., Berlino 1924, pp. 661-62.