ANGELOPOULOS, Theodoros
Regista cinematografico greco, nato ad Atene il 27 aprile 1936 da una famiglia piccoloborghese. Dopo essersi iscritto alla facoltà di Legge emigrò a Parigi, dove seguì le lezioni di C. Lévi-Strauss, assistette assiduamente alle proiezioni della Cinémathèque (i suoi testi-base: le opere di Antonioni, Bergman, Rossellini e Salvatore Giuliano di F. Rosi) e frequentò la scuola superiore di cinema, l'Idhec, dalla quale venne allontanato; fu incoraggiato da J. Rouch, teorico del ''cinema-verità''. Tornato ad Atene, difese, come critico cinematografico di un quotidiano, le ipotesi dei giovani cinefili che volevano dare un "cinema nuovo" alla Grecia. Fattosi conoscere con Anaparastasi (Ricostruzione di un delitto, 1970), che fornisce varie versioni su un fatto di sangue e interessa la critica internazionale per la duttilità dell'analisi e l'essenziale dettato, con Meres tu '36 (I giorni del '36, 1972) avvia una rilettura della storia greca più recente che, approfondita in O thiasos (La recita, 1974-75) e in I Kynighi (I cacciatori, 1976-77), si affida, più che a un'esposizione di dati cronistici, a nessi e relazioni che agiscono, determinano o frenano l'evolversi di fenomeni storici.
Una Grecia per nulla solare, fatta di sasso e di pioggia, è il teatro della "trilogia della storia" di A. in cui gli individui, per l'inarrestabile complottare dei potenti, sono costretti a recitare un ruolo subalterno. Lo stile ellittico utilizzato dal regista costringe gli spettatori a contribuire all'interpretazione del discorso. Il piano-sequenza, segmento-base del linguaggio del regista, favorisce lo straniamento sull'esempio di B. Brecht, e si fa elemento di dialettica chiamato a svolgere un ruolo preciso all'interno della narrazione. Per il sapiente incastro dei motivi della recita, della tragedia familiare e della storia, O thiasos è comunemente considerato il risultato più compiuto di A., salutato fin dal primo apparire del film come un maestro del cinema europeo.
Il franare delle ideologie, il placarsi delle lotte politiche, il disinteresse per un cinema dialettico, il sentirsi circondato da "generazioni senza ricordi" spingono più tardi A. alla "trilogia del silenzio": la contemplazione della fine violenta di un ribelle contadino, in O Megalexandros (Alessandro il grande, 1980; premio speciale della giuria alla Mostra di Venezia); il congedo dagli affetti e dalle amicizie di un maestro di scuola, in O melissokomos (Il volo, 1986); il viaggio di due fratelli che vanno alla ricerca simbolica del padre, quasi una riproposta dell'utopia, in Topío stín omíhli (Paesaggio nella nebbia, 1988; Leone d'argento alla Mostra di Venezia).
Bibl.: S. Arecco, T. Anghelopulos, Firenze 1978; B. Montinaro, Diario macedone, Milano 1980; D. Orati, T. Anghelopulos, Venezia 1982; Etudes cinématographiques, n. 142-45, 1985; Revue belge du cinéma, n. 11, 1985.