Vedi THERMOS dell'anno: 1966 - 1997
THERMOS (v. vol. VIl, p. 825)
Resta ancora incerta la cronologia del mègaron A, benché si sia osservato che quando andò distrutto, era in uso ceramica del Tardo Elladico II A. Scavi recenti hanno fornito le prove di un'ulteriore catastrofe avvenuta verso la fine del Tardo Elladico III Β, dopo la quale l'influenza micenea diminuì drasticamente e la località si orientò verso l'area culturale della regione nord-occidentale (Epiro, Macedonia settentrionale).
In relazione al mègaron B, si ritiene ora che sia stato costruito tra il Tardo Elladico III C e la prima Età del Ferro e che era una costruzione importante e distinta di qualche insediamento. Aveva una pianta rettangolare regolare e i suoi muri non erano né curvi, né inclinati verso l'interno. Il focolare, con ceneri di sacrifici, probabilmente non risale agli anni in cui l'edificio era in funzione, ma fu installato sulle sue rovine dopo la catastrofe. Lo strato di cenere che appare nella sezione stratigrafica settentrionale di Rhomaios è ritenuto (Schmaltz, 1980) una conseguenza dell'accumulo di resti di sacrifici e dello spianamento dell'area per la costruzione del tempio ellenistico e non il risultato di una formazione graduale, come si supponeva; di conseguenza esso non fornisce indizi cronologici. Le lastre, che inizialmente sono state considerate basi di una peristasi ellittica del mègaron stesso, non appartengono a quello, ma furono aggiunte quando l'edificio era già distrutto. Sono relative all'ultima fase precedente alla costruzione del tempio e la loro funzione resta tuttora incerta. Si è ritenuto che servissero di appoggio a travi verticali incorporate in un muro di mattoni pertinente a un edificio absidato costruito dopo la distruzione del mègaron B (Wesenberg, 1982). Si potrebbe anche ipotizzare che queste diciotto basi, e solo queste, costituissero un λίθων θριγκόν, un «recinto di pietre». La destinazione del mègaron Β rimane incerta: non è stata appurata la presenza di un focolare o altare di cenere al suo interno e l'edificio potrebbe coesistere con un altare ipetrale. Infine meritano attenzione diversi dati di scavo: tanto G. Sotiriadis (in appunti inediti) quanto Rhomaios fanno menzione dell'esistenza di strutture allo stesso livello del mègaron B. Sembrerebbe pertanto che questo non fosse isolato, ma che avesse carattere di edificio insigne.
Rimane aperto il problema se dopo la distruzione da parte dei Macedoni il tempio periptero C sia stato largamente restaurato o rifatto ex novo sulla base dell'antica pianta, mentre ancora ci si chiede se invece non sia stato costruito per la prima volta dopo l'invasione macedone, non mancando analogie e caratteristiche comuni con il tempio di Kallion, datato alla fine del IV sec. a.C. Analogo problema si pone per quanto riguarda la sistemazione dei rivestimenti fittili e delle metope di età arcaica per i quali resta incerto se siano stati trovati nello strato della distruzione macedone o in uno più recente. La tesi della riutilizzazione delle stesse metope di età arcaica nel tempio ellenistico si fonda principalmente sull'esame della metopa con tre figure sedute. Ultimamente, riprendendo un giudizio già espresso dal Fiehn, questa è stata considerata copia di una metopa arcaica, con particolari dell'ornamentazione rispondenti allo stile del periodo in cui fu eseguita, tra la fine del III e gli inizi del II sec. a.C. (Stucky, 1988). Può darsi che esistano altre metope di questo genere.
Le metope di Th. sono state ritenute una delle testimonianze del primitivo sviluppo dell'ordine dorico. Per altro verso, si sostiene che non debbano essere poste in un rapporto strutturale con la peristasi e con la cella; una nuova proposta di ricostruzione (Beyer, 1972), oggetto per altro di contestazione (Kalpaxis, 1974), pone tra il tetto e il soffitto del colonnato, una specie di mezzanino o ballatoio al quale corrisponderebbe esternamente il fregio di triglifi e metope.
Anche l'attribuzione dei rivestimenti fittili arcaici a una officina corinzia va sottoposta a revisione, in quanto nelle iscrizioni apposte su di essi è stato riconosciuto un carattere locale (Jeffery, 1961).
Revisioni di un certo rilievo sono state effettuate negli ultimi anni sulla ceramica di Th. (Wardle, 1977). Vasi micenei coesistono con altri di tradizione mesoelladica; manca la ceramica minia, mentre sono presenti tarde classi del Medio Elladico della Grecia meridionale. La ceramica locale non decorata conserva elementi delle produzioni del Medio Bronzo della valle dello Spercheo, della Tessaglia, della Macedonia e anche dell'Acaia e della Focide. La ceramica locale (matt painted) con decorazioni geometriche, come quella dell'Epiro, ha rapporti con la Tessaglia e con la Macedonia. Si è ritenuto verosimile che la sua datazione sia da circoscriversi agli inizi dell'Età del Ferro e che non debba risalire a epoca preistorica.
Nel 1983 si è iniziato un nuovo ciclo di scavi soprattutto nell'area dell'agorà, a pianta rettangolare allungata di m 200 χ 21, con stoài sui lati lunghi. Sui lati brevi una quinta architettonica era assicurata a Ν dal Tempio di Apollo e a S dal bouleutèrion. Questa sistemazione va collocata cronologicamente nel III sec. a.C. È stata scavata la stoà occidentale il cui colonnato anteriore, assai probabilmente in legno, non giungeva fino alle estremità dell'edificio dove si trovava, almeno in quella settentrionale, un ambiente chiuso. I nuovi scavi restituiscono gradualmente la forma dell'agorà degli Etoli che costituì un insieme unico con il santuario (ίερά άγορά). Il portico E (lungo 173 m), fu distrutto da Filippo V (218 o anche 206 a.C.), ma in parte fu ricostruito con l'aggiunta di un bancone in pietra lungo le pareti. La distruzione definitiva degli edifici dell'agorà avvenne subito dopo il 168 a.C.
Tra il materiale rinvenuto si ricorda un nuovo frammento che viene a completare il trofeo della vittoria contro i Galati del 279 a.C.
Bibl.: G. Sotiridias, Τα ελλειφοειϑη κτισματα του Θερμον, Atene 1909; A. von Gerkan, Von antiker Architektur und Topographie. Gesammelte Aufsätze, Stoccarda 1959, p. 385; L. H. Jeffery, The Local Scripts of Archaic Greece, Oxford 1961, p. 225; H. Drerup, Zu Thermos B, in MarbWPr, 1963, pp. 1-12; id., Griechische Architektur zur Zeit Homers, in AA, 1964, cc. 187 ss., 194 ss.; id., Griechische Baukunst in geometrischer Zeit (Archaeologia Homérica, II, 0), Gottinga 1969, pp. 80 ss., 117; I. Beyer, Der Triglyphenfreis von Thermos C. Ein Konstruktionsvorschlag, in AA, 1972, pp. 197-226; T. E. Kalpaxis, Zum aussergewöhnlichen Triglyphenfreis vom Apollontempel C in Thermos. Eine Entgegnung, ibid., 1974, pp. 105-114; id., Früharchaische Baukunst in Griechenland und Kleinasien (diss., Heidelberg 1971), Atene 1976, pp. 47, 69, 92; N. Bookidis, in The Princeton Encyclopedia of Classical Sites, Princeton 1976, p. 910, s.v.; J. J. Coulton, The Architectural Development of the Greek Stoa, Oxford 1976, pp. 58, 81, 179; id., Greek Architects at Work. Problems of Structure and Design, Londra 1977, pp. 36 s., 41; K. A. Wardle, Cultural Groups of the Late Bronze Age and Early Iron Age in N-W Greece, in Godisniak, XV, 1977, pp. 159 s., 162-176; J. W. Coldstream, Geometric Greece, Londra 1977, pp. 324, 328; M. Mertens-Horn, Beobachtungen an dädalischen Tondächern, in Jdl, XCIII, 1978, p. 30 ss.; R. H. Simpson, Ï. P. Τ. K. Dickinson, A Gazetteer of Aegean Civilization in the Bronze Age, I. The Mainland and Islands (Studies in Mediterranean Archaeology, LII), Göteborg 1979, p. 104; B. Schmaltz, Bemerkungen zu Thermos B, in AA, 1980, pp. 318-336; A. Mallwitz, Kritisches zur Architektur Griechenlands im 8. und 7. Jahrhundert, ibid., 1981, pp. 601 ss., 621-624, 638; B. Wesenberg, Thermos Β I, ibid., 1982, pp. 149-157; F. Glaser, Antike Brunnenbauten (Krenai) in Griechenland, Vienna 1982, n. 95; E. Kirsten, Gebirgshirtentum und Sesshaftigkeit. Die Bedeutung der 'Dark Ages' für die griechische Staatenwelt Doris und Sparta, in Griechenland, die Agäis und die Levante während der Dark Ages von 12. bis zum 9. Jh. v.Chr. Akten des Symposiums, Wien 1980, Vienna 1983, pp. 358, 361 ss.; P. G. Themelis, Δελφοί και περιοχή τον 8° και 7° π. Χ. αιωνα, in Atti del Convegno Internazionale Grecia, Italia e Sicilia nell'VIII e VII secolo a.C., Atene 19J9 (ASAtene, LXI), Roma 1984, p. 242 s.; C. Rolley, Un dieu syrien à Thermos, in BCH, CVIII, 1984, p. 669 s.; A. Mazarakis-Àinian, Contribution à l'étude de l'architecture religieuse grecque des âges obscures, in AntCl, LIV, 1985, pp. 12-14, 43 ; B· Wesenberg, Vitruvs Vorstellung von der Entstehung des dorischen Trigliphenfrieses, in Studien zur klassischen Archäologie. Festschrift F. Hiller, Saarbrücken 1986, p. 146 ss.; A. Mazarakis-Ainian, Early Greek Temples. Their Origins and Functions, in Early Greek Cult Practice. Proceedings of the Fifth International Symposium at the Swedish Institute at Athens, 1986 (Acta Instituti Atheniensis Regni Sueciae, s. in 4°, XXXVIII), Stoccolma 1988, p. 115; R. A. Stucky, Die Tonmetope mit den drei sitzenden Frauen von Thermos: ein Dokument hellenistischer Denkmalpflege, in AntK, XXXI, 1988, pp. 71-78; F.- Fagerström, Greek Iron Age Architecture. Developments through Changing Times (Studies in Mediterranean Archaeology, LXXXI), Göteborg 1988, pp. 41-42; I. A. Papapostolou, Ζητηματα των μεγάρων Α και Β του θερμού, in AEphem, 1990, pp. 191-200; id., Η ελληνιστικη διαμόρφωση του ιερού και της αγορας των Αιτωλών στον θερμό, in Φηγός, Giannina 1994, pp.509-517. - Vedi inoltre: Ergon, 1983- 1995; I. A. Papapostolou, in Prakt, 1984, pp. 125-128; 1986, pp. 86-87; 1987, p. 107; 1988, p. 80; 1989, pp. 123-124; 1990, pp. 109-112.