Vedi THERMOS dell'anno: 1966 - 1997
THERMOS (Θερμός più raramente Θερμός)
Antica città etolica a N-E di Trichonisse, nel territorio di Kephalovryson e Petrachori, sita su un piccolo altopiano alle pendici del Monte Mega Lakkos. Abitata fin dai tempi micenei e sede del massimo santuario federale della lega etolica, fu saccheggiata e distrutta da Filippo V di Macedonia nel 218 e nel 208 a. C. La città antica fu identificata dal Woodhouse e gli scavi furono condotti dalla Società Archeologica greca. Secondo il Rhomaios, Th. trae il nome dall'attributo col quale in essa era onorato Apollo e che riconosceva nel dio specialmente una divinità del fuoco e del calore.
Il santuario, addossato ad E al monte, era circondato sugli altri tre lati da una cinta muraria con 13-14 torri quadrate, costruita secondo alcuni al tempo della fondazione della lega etolica, che un'iscrizione dell'agorà di Atene (Hesperia, viii, 1939, p. 5 ss.) ha dimostrato esistere probabilmente già poco prima del 367 a. C. (Scranton); secondo altri nel III sec. a. C. contro la minaccia gallica o addirittura dopo il saccheggio di Filippo V. Le mura avevano lo spessore di m 2,50-2,70 e l'altezza di m 3-3,50; la parte superiore doveva essere in mattoni crudi; i blocchi sono trapezoidali, isodomi, con faccia greggia. L'ingresso del tèmenos è a S protetto da due torri rotonde; a N c'è un'altra grande porta fra due torri quadrate. Sull'estremità N-E del tèmenos, orientato da N a S, sorge il tempio di Apollo Thèrmios (38,23 × 12,132 m), databile nella sua ultima redazione al III sec. a. C. (fra il 218 e il 206, oppure dopo il 206 a. C.), con una peristasi di 15 × 5 colonne, una cella entro cui fu trovata la grande iscrizione bronzea della lega etolico-acarnanica (273 a. C.), divisa da una fila di dieci colonne e aperta a S, senza pronao, ma con due porte separate da una colonna centrale. L'arcaicità della pianta, propria dei primi templi dorici, e l'esistenza sul lato O dello stilobate di basi di colonne ancora lignee sono gli indici di un conservatorismo determinato dalla preesistenza di edifici molto più remoti. Infatti al disotto dello stilobate si notano, a cominciare dal basso, le seguenti stratificazioni:
1) costruzione ovale, tripartita, con uno dei lati stretti aperto fra due ante (mègaron A), di m 22 × 6, degli ultimi secoli del II millennio (età tardo-micenea), appartenente ad un villaggio preistorico di cui restano in tutto dieci case curve, tre rettangolari e una triangolare; secondo il Rhomaios gli edifici curvilinei erano coperti da una vòlta. Al disotto del megaron A si trova ancora una capanna in parte scavata nella terra, che certamente era costruita in legno e fango, di età indeterminata.
2) Sotto l'estremità N del tempio altra costruzione anch'essa tripartita, con pronao e àdyton e lati leggermente curvi (mègaron B), di m 21,40 × 7,30 circondata da una peristasi elissoidale di 36 colonne lignee su basi in pietra, unica casa peripterale su piano curvilineo esistente. Della peristasi restano 18 basi. Secondo alcuni (Rhomaios, Weickert, ecc.) tale peristasi fu aggiunta in un'epoca intermedia fra quella del mègaron propriamente detto e quella del tempio arcaico successivo; essi infatti sostengono che, immediatamente al disotto di essa, furono trovate alcune figurine geometriche, che le colonne hanno la base appoggiata sulla pavimentazione primitiva e che il tetto, con frontone su un lato e spiovente a padiglione sull'altro, poggiava sui muri della casa. Il Sotiriadis, che scavò la peristasi nel 1898, notò invece che essa appariva allo stesso livello del mègaron; questa teoria è stata ripresa dal Bundgaard che ritiene che le basi furono poste solo per salvaguardare la colonna lignea dall'umidità del suolo e che il tetto della casa doveva essere della stessa forma di quello del mègaron A, e cioè elissoidale in sezione e a forma di barca rovesciata in piano, e doveva poggiare non sui muri, ma su sostegni interni e sulle colonne della peristasi che, pertanto, doveva essere contemporanea. Il tetto sarebbe stato formato da un traliccio di rami e canne coperto di terra. Tuttavia per la mancanza di elementi dell'alzato ogni congettura sulla copertura rimane ipotetica. I resti di cenere, con ossa e bronzetti votivi di età geometrica, testimonianze di un culto, sarebbero stati attribuiti dal Rhomaios, sempre secondo il Bundgaard, ad uno strato inferiore a quello della peristasi per un errore nell'interpretazione di un disegno della relazione di scavo (X-VII sec.?).
3) Tempio rettangolare, quasi nella stessa direzione e con dimensioni analoghe all'edificio precedente, con peristasi di colonne lignee (15 × 5), cella bipartita da una fila di dieci colonne e due colonne nello stesso asse nell'opistodomo che era di ampiezza eccezionale; non aveva pronao e le porte si trovavano nei due intervalli fra le ante e la prima colonna centrale della cella che veniva così a trovarsi in antis. Le pareti dovevano essere di mattoni di fango e la trabeazione ed il tetto lignei. La sopravvivenza di alcune delle metope prova che il tempio doveva essere in stile dorico. Dalla forma di alcune tegole rinvenute si deduce che la copertura aveva un frontone sul lato anteriore ed un tetto a padiglione su quello posteriore (databile al 630 a. C. circa).
4) Rinnovamenti e restauri al tempio precedente furono eseguiti fra la metà del VI e la fine del V sec. a. C.; ad essi si dovette la sostituzione di alcuni elementi lignei con colonne e stilobate in pietra, la modificazione del tetto per dargli l'aspetto consueto con due frontoni, il rifacimento delle terrecotte di copertura; ma furono conservate la trabeazione lignea e le metope arcaiche. Questo edificio fu distrutto nella prima o nella seconda invasione di Filippo e ricostruito sulla stessa pianta alla fine del III sec. a. C.
Sia per le stratificazioni che per il materiale rinvenuto si riscontrano molte analogie fra Th. e Olimpia. Dallo strato tardo-miceneo provengono vasi di tipo cretese-miceneo con forme molto finì, cattiva vernice nera poco lucente e una decorazione con doppie asce, strisce, semicerchi, scacchiera ecc., ed altri vasi a colori scuri, monocromi di fattura locale, di tipo minio, che rivelano nella forma e nel colore l'influsso di esemplari metallici e recano una decorazione a strisce verticali e orizzontali, fra linee serpeggianti e spirali sulle spalle. Dallo strato geometrico provengono vasi anch'essi di fattura locale, decorati da linee spezzate, rombi, triangoli, ecc., vicini ad esemplari tessalici (Lianokladi), oggetti in bronzo, anelli per carro, doppie asce, punte di lance, statuette fra cui una figura femminile armata ed un cavallino (anteriore al 700 a. C.) e suppellettile in ferro.
Al tempio rettangolare della fine del VII sec. appartiene una ricca decorazione fittile ed una serie di metope dipinte anch'esse in terracotta, opere indubbiamente di influsso e forse anche di fattura corinzia, come rivelano anche le iscrizioni sulle terrecotte di rivestimento e su alcune delle metope. Si tratta di tipici esemplari dello stile di transizione fra il protocorinzio ed il corinzio: tegole di vario tipo (piatte, dì copertura, triangolari con bordo semicircolare), frammenti di cornice e di sima con maschere leonine e teste maschili imberbi, antefisse con teste femminili dedaliche di due tipi, uno con acconciatura a ripiani e pòlos ed uno con riccioli perliformi e, infine, acroteri e metope. La terracotta è locale, mentre, secondo il Payne, l'ingubbiatura è costituita da uno strato di creta importata da Corinto. I più immediati confronti il Payne li trova nell'Òlpe Chigi (v.) e in opere a questo vicine (frammento inedito di Egina: Ath. Mitt., xxiv, 1899, p. 371). Le metope (circa cm 99 × 87), ornate da una grossa cornice con rosette, sono dipinte in nero, in bianco e in rosso nelle tre sfumature di bruno, arancio e porpora; la tecnica è la stessa usata nella contemporanea ceramica, cioè con i colori distesi prima della cottura e il disegno eseguito sulla lastra ancora fresca con uno stiletto. Insieme con le molto più frammentarie metope di Calidone queste costituiscono uno dei più preziosi incunaboli della pittura greca. Secondo la consuetudine delle metope arcaiche per lo più una sola figura riempie il campo metopale con un gusto araldico e decorativo, ove confluisce ancora un residuo di simbolismo apotropaico; ma accanto a questo compare già l'illustrazione del mito ed a volte il mito, estendendosi a più di una metopa, prelude la continuità narrativa dei fregi di età classica. La presenza, inoltre, di più di una figura nel campo di alcune metope anticipa quella che diverrà prassi usuale negli schemi metopali successivi. Si riconoscono: 1) due donne, Chelidon con il nome iscritto e Aedon col nome illeggibile che si preparano a uccidere Itys; 2) tre divinità in trono; 3) Perseo con il gorgonèion; 4) un cacciatore, nel quale molti hanno riconosciuto Eracle col bottino di un cervo e di un cinghiale; 5) gorgone'ion; 6) due divinità in trono; 7) una sfinge o un tifone; 8) frammenti di un leone; 9) frammenti di una gamba e di un piede di una figura in corsa; altri frammenti. Queste metope dovettero restare in situ fino al III sec., come rivela quella ove sono raffigurate le tre divinità sedute, composta da frammenti di una o più metope appunto in questo secolo. Ad una decorazione, invece, ascrivibile al periodo dell'arcaismo maturo- e quindi al rifacimento che soppresse forse la parte posteriore absidata e dette al tempio il secondo frontone- appartiene un gruppo di elementi architettonici caratterizzati da una qualità di terracotta piuttosto spessa: tegole della grondaia con maschere di sileni e di uomini barbati, tegole frontali con busti femminili con testa ornata di pòlos decorato da una fascia a meandri, sima frontonale con teste di leoni e acroteri dei quali rimane il torso di una sfinge e frammenti di una Nike corrente (al centro). Le terrecotte, che sono eseguite a stampo, appaiono influenzate dallo schema corinzio e vicinissime per stile a quelle del Tesoro dei Megaresi a Olimpia, pur rivelando qualche influsso ionico; esse sono databili alla seconda metà del VI sec. e testimoniano un rinnovamento del tempio limitato alla sola parte del tetto, poiché le metope, come si è visto, rimasero presumibilmente al loro posto.
Ad E del tempio di Apollo, ai piedi del colle di Mega Lakkos, era il tempio dedicato ad Apollo Löseios, come ha indicato una pietra di confine (in realtà l'attributo era comunemente proprio di Dioniso). Si trattava di un edificio ligneo con metope e sime in terracotta, senza peristasi ed un profondo pronao, che fu ricostruito più tardi in pòros. Ad esso appartengono un acroterio a forma di mezza corona con gorgonèion in rilievo e con molta probabilità una serie di metope dipinte di proporzioni minori di quelle del tempio di Apollo (circa cm 6o × 80-90). Vi si riconoscono: 1) le Cariti (in numero di due come sul Trono di Amicle, invece di tre) accompagnate da un'iscrizione; 2) una chimera; 3) Iris; 4) forse il centauro Pholos, come taluni integrano una incerta iscrizione ([Φ]ολο[ς); 5) un simplegma erotico o una ierogamia; frammenti di leoni, cani, teste femminili. Gli elementi architettonici e le metope appartengono alla fine del VII sec. e sono pressoché contemporanei alla prima decorazione fittile del tempio di Apollo Thèrmios, ma si tratta probabilmente di opera locale, come attesta fra l'altro l'alfabeto delle iscrizioni.
Il ritrovamento di gocciolatoi con teste di cani ha fatto affermare l'esistenza nel tèmenos di un piccolo tempio di Artemide, che si è poi localizzato in una piattaforma al disotto del grande tempio. Vi si collegano antefisse con teste maschili e teste o busti femminili e forse un triglifo in terracotta unito ad una metopa dipinta. Questi frammenti, di esecuzione più rozza di quelli del tempio di Apollo, sono databili al principio del VI secolo. In una statuetta bronzea del VII sec., trovata nello strato nero più alto del mègaron B il Rhomaios ha riconosciuto Artemide (altri Atena).
Nel sacro recinto esistevano ancora molti altri edifici di cui restano tracce e fra gli altri un trofeo dei Galli, innalzato in ricordo della vittoria degli Etoli sui Galli nel 279 a. C., analogo a quello dedicato in Delfi per la stessa occasione, un tempio sconosciuto, di cui rimangono solo tegole e antefisse di epoca imprecisata, un piccolo edificio con una sima della fine del V sec., una grossa fontana, portici, ecc. Museo locale.
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