THEODOTOS (Θεόδοτος)
Nome di varî artisti greci, qui appresso elencati in ordine cronologico. - 1°. - Architetto e scultore, attivo nei primi decenni del IV sec. a. C.
È l'autore del tempio di Asklepios nel santuario di Epidauro, per il quale Thrasymedes eseguì il simulacro crisoelefantino, e lo stesso Th., con Timotheos ed Hektoridas curò le sculture in marmo (I. G., iv2, 102). L'iscrizione, rinvenuta davanti al tempio, con i conti delle spese e i tempi di lavoro, informa che Th. aveva diretto la fabbrica per la durata di quattro anni e otto mesi, ricevendo il compenso di una dracma al giorno; essa dà con i nomi degli scultori quelli di altre decine di collaboratori, permettendo la ricostruzione quasi completa dell'officina di Th., esemplare per l'estrema specializzazione della mano d'opera. Il laboratorio comune agli architetti e agli scultori, del quale si parla nella iscrizione (ἐργαστήριον) è stato riconosciuto con buon fondamento (Roux) in un edificio rettangolare a 15 m a S del tempio.
Il tempio di Th. era non solo il primo eretto nel santuario di Asklepios, ma uno dei primi in tutta la Grecia ad essere dedicato ad un eroe, assimilato qui anche nell'iconografia al tipo divino del padre Zeus; si poneva quindi all'architetto il problema dell'adattamento delle forme monumentali doriche ad un edificio di modeste proporzioni, concepito come una preziosa custodia della nuova statua di culto. Il periptero di Th. è uno dei più piccoli di cui si abbia conoscenza.
La cronologia dell'edificio era stata originariamente fissata ai primi anni del IV sec. con un argomento molto incerto; all'inizio dello Ion di Platone, il rapsodo informava Socrate che la festa di Asklepios ad Epidauro si era arricchita di un concorso musicale. Questo sarebbe stato in relazione all'inaugurazione del tempio di Th., anteriore quindi al 394-3, data di composizione del dialogo (Klein). L'evidenza archeologica permette invece l'inquadramento abbastanza preciso dell'opera di Th. in un tempo successivo a quello di edifici come il tempio e la stoà di Oropos e la thòlos di Delfi, che sono dell' inizio del IV sec., e d'altra parte anteriore al tempio di Tegea (circa 360 a. C.) ed alla thymèle o thòlos di Polykleitos nello stesso santuario di Epidauro. L'aumento del rapporto di altezza tra echino e capitello e tra abaco ed echino, e la diminuzione del rapporto tra architrave e fregio (Roux), nonché la comparazione dei profili (Shoe) orientano per una datazione fra il 380 ed il 370 a. C.
Anche l'intervento di Th. nella decorazione plastica del tempio è esattamente documentato nell'iscrizione dei conti: risulta che erano state versate all'artista 2.340 dracme per l'esecuzione degli acroterî del frontone principale. In relazione con la Ilioùpersis di Hektoridas, che occupava il timpano orientale, Th. aveva eseguito una Iris al culmine del tetto, in figura di giovinetta discendente a volo, riprendendo il motivo della Nike di Paionios. Pare tuttavia originale la soluzione del velo che si tende tra le ali avvolgendole e si gonfia sul fianco della figura; il torso conservato permette di apprezzare anche il nitido disegno del panneggio. Gli acroterî laterali erano costituiti da due figure giovanili a cavallo, delle quali restano un torso ed una testa. Rispetto al forte modellato degli acroterî occidentali i frammenti riferibili a Th. sono forse quelli lavorati con maggiore finezza e con più vivo senso del movimento (Crome); nel disegno d'insieme rivelano un'ispirazione unitaria che si potrebbe far risalire a Timotheos, dando credito all'interpretazione dei τύποι da lui eseguiti come "modelli".
La constatazione di numerose e non casuali corrispondenze tra la costruzione di Epidauro e la thòlos di Delfi, di dieci anni precedente, potrebbe suggerire la pertinenza di tutte due ad un solo architetto, di nome Th., che erroneamente appare come Theodorus in Vitruvio (vii, Praef., 12) a proposito della thòlos di Delfi (v. theodoros, 2°).
Bibl.: P. Foucart, in Bull. Corr. Hell., XIV, 1890, p. 591; P. Kavvadias, Fouilles d'Epidaure, I, Atene 1893, pp. 16 s.; 78; 241; W. Klein, in Ath. Mitt., XX, 1895, p. 96; J. Anger, in Pauly-Wissowa, V A, 1934, c. 1965, s. v., n. 55; W. Züchner, in Thieme-Becker, XXXII, 1938, p. i; G. Lippold, Handb., III, i, Monaco 1950, p. 220; W. B. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece, Londra 1950, p. 218; J. Crome, Die Skulpture des Asklepiostempels von Epidauros, Berlino 1951, p. 27 ss.; G. Roux, l'architecture de l'Argolide aux IVe et IIIe siècles a J. C., Parigi 1961, p. 83 ss., tav. 27 ss.; B. Schlörb, Timotheos, in Jahrbuch, XXII Ergänzungsh., Berlino 1965.
2°. - Figlio di Nikeas, artigiano attivo a Paro nel IV sec. a. C.: curava la dipintura ad encausto, la doratura e la rifinitura delle statue (I.G., xii, 7, 10).
Bibl.: E. Löwy, I. G. B., n. 531; O. Rubensohn, in Jahrbuch, L., 1935, p. 49 ss.; id., in Pauly-Wissowa, XVIII, 2, 1949, c. 1868, s. v. Paros, n. 19.
(P. Moreno)
3°. - Incisore monetale la cui firma, nella forma ΘΕΟΔΟΤΟS ΕΠΟΕΙ compare verso la metà del IV sec. a. C. sul dritto di alcuni pregevoli tetradracmi di Clazomene nella Ionia, accanto ad una testa di Apollo ritratta di tre quarti a sinistra.
Suggestivamente adattata al tondo della moneta nella cornice soffice e sfumata della chioma scomposta, la testa del dio è resa con delicata morbidezza di trapassi e senso pittorico finissimo. I retri, col solito tipo di cigno di gusto piuttosto disegnativo, non pare si possano riferire allo stesso autore.
Bibl.: R. Jameson, in Rev. Num., X, 1906, p. 249, tav. X; E. Babelon, Traité, Parigi, II, 2, 1910, pp. 1147-48; 1993-94, tav. CLV, 22-23; K. Regling, Die Münze als Kunstwerk, Berlino 1924, n. 774.
(A. Stazio)
4°. Pittore di origine greca, attivo a Roma nella seconda metà del III sec. a. C. (Theodotus).
È uno dei primi nomi di artisti greci a Roma, sul quale si appunta l'ironia di Nevio nella Tunicularia, a proposito dei suoi modesti mezzi e della povera casa; ma alcuni (Vessberg) lo ritengono una finzione letteraria. Th. avrebbe dipinto le are nelle feste Compitalia con figure di Lari danzanti, servendosi di un rustico pennello: qui aras Compitalibus/sedens in cella circumtectus tegetibus/Lares ludentes peni pinxit bubulo (Naev., Fragm., 99; Festus, s. v. Penit, p. 260). La presenza di un artista greco in una manifestazione legata alla tradizione religiosa italica rivela per quale via anche le correnti d'arte popolare in Roma erano arricchite di elementi di cultura ellenistica; la sommaria pittura di Th. potrebbe indicare infatti l'introduzione della maniera compendiaria, ben documentata, almeno nell'accezione di una pittura di rapido effetto, nei lararî di Delo a partire dal Il sec. a. C. e in quelli più tardi di Pompei (v. lares). In particolare la notizia di Nevio illumina sull'origine dell'iconografia dei Lari danzanti, nota soprattutto da monumenti di età imperiale (ibid., pp. 481; 484, fig. 566), ma che è certamente una creazione ellenistica ispirata alle saltantes Lacaenae di Kallimachos.
Bibl.: H. Brunn, Gesch. Griech. Künstler, II, Stoccarda 1889, p. 303; J. Overbeck, Schriftquellen, n. 2379; M. Bulard, in Mon. Piot, XIV, 1908, p. 42; E. Pfuhl, Malerei u. Zeichnung der Griechen, II, Monaco 1923, pp. 819; 899; 906; G. Lippold, in Pauly-Wissowa, V A, 1934, c. 1965, s. v., n. 54; J. M. C. Toynbee, Some Notes on the Artists in the Roman World, Bruxelles 1951, p. 39, n. 2; A. Rumpf, Handb., IV, i, Monaco 1953, p. 162; B. R. Brown, Ptolemaic Paintings. Mosaics a. the Alexandrian Style, Cambridge Mass., 1957, p. 67; O. Vessberg, in Enciclop. Univ. dell'Arte, IV, 1958, c. 758, s. v. Ellenistico romane correnti; id., Stud. z. Kunstgesch. d. röm. Rep., Lund 1941, p. 36.
(P. Moreno)