Angelopoulos, Theodoros
Regista cinematografico greco, nato il 27 aprile 1935 ad Atene e ivi morto il 24 gennaio 2012. Autore, a partire dagli anni Settanta, di opere attraversate da uno sguardo del tutto nuovo sul suo Paese e la sua storia che ha trovato nel piano-sequenza la sua principale cifra espressiva, si è imposto a livello internazionale ottenendo numerosi e importanti riconoscimenti come il premio speciale della giuria per O Megalèxandros (1980; Alessandro il Grande) e il Leone d’argento per Topìo sten omìchle (1988; Paesaggio nella nebbia) alla Mostra del cinema di Venezia, la Palma d’oro per Mia aioniòteta ke mia mera (1998; L’eternità e un giorno) e il Gran premio della giuria per Tovlemma tu Odyssèa (1995; Lo sguardo di Ulisse) al Festival di Cannes.
Nei primi anni del nuovo millennio, A. ha lavorato a una trilogia centrata sulla rielaborazione della storia novecentesca e inaugurata nel 2004 con To livàdi pou dakrỳzei (La sorgente del fiume). Qui, ancora una volta, le storie personali, la vicenda degli affetti, l’individuazione di un luogo d’elezione, di edificazione della propria esperienza, sono l’occasione per una proiezione sul piano della storia collettiva dei processi politici che la percorrono (tra volontà di aggregazione e istinto alla disgregazione, allo scontro bellico) e dell’identificazione di una patria, vista nei termini dell’aporia, di contraddizioni inveterate. Perciò la vicenda di un amore contrastato, vissuto negli anni Venti, è il punto di vista da cui condurre un discorso storico-politico su una Grecia (e un’Europa) che attraversa le due guerre mondiali, venendone dilaniata; in un travaso tra Storia e storie che è costante e vicendevole e consente di tornare poi al lancinante percorso esistenziale e sentimentale incentrato sulla tragedia del distacco, del violentamento degli affetti.
Funzionale a questi temi è il procedimento usato da A., in linea con i fondamenti del suo cinema, che ripropone una messa in scena bifida, tra stasi della macchina da presa nei piano-sequenza, naturalismo e artificio di pose e dettati teatrali. Con un continuo passaggio tra un piano e l’altro, che è una costante nel cinema di A. e si ripropone almeno da O thìasos (1975; La recita), in cui molti dei suoi stilemi sono già compiuti; e che alterna una sorta di metafisica degli squarci sugli elementi della natura (ripresi con estremo rigore eppure facendone vibrare in modo imponente la forza materica) alla teatralizzazione di momenti cruciali (riprendendo e rielaborando la tradizione tragica greca), che rompono la struttura del film, sottolineando la letterarietà, la poeticità, l’invenzione della rappresentazione, come appare evidente nel citato Mia aioniòteta ke mia mera.
Del resto anche nell’ultima sua opera, E skone tou hrònou (2008; La polvere del tempo), secondo capitolo dell’inconclusa trilogia (incentrato ancora su una storia d’amore sviluppata tra l’Europa e l’America, e calata nel secondo Novecento), A. parte da questa premessa teorica, metacinematografica, mostrando come sia nel cinema, nella dimensione fittizia dell’opera, nei caratteri dei personaggi (vaganti, doloranti, eppure al la ricerca ossessiva e silenziosa di se stessi e di uno spazio di stabilità al di là dell’erranza), e ancora nei confini di questa dimensione creativa che si gio ca e si sublima il destino dell’umano. Confermando perciò, in quello che sembra un film testamentario e riassuntivo (in cui si avverte in effetti una concentrazione, quasi spasmodica, stilistico-tematica), quella che può essere intesa come una forma moderna e rigorosa di umanesimo.
Theo Angelopoulos: interviews, ed. D. Fainaru, Jackson 2001; G. Larcher, C. Wessely, F. Grabner, Zeit, Geschichte und Gedächtnis. Theo Angelopoulos im Gespräch mit der Theologie, Marburg 2003; Theo Angelopoulos, a cura di P.M. Minucci, T. Cavasino, M. Leivadiotis, Bologna 2004.