The Sting
(USA 1973, La stangata, colore, 129m); regia: George Roy Hill; produzione: Tony Bill, Michael S. Phillips, Julia Phillips per Universal; sceneggiatura: David S. Ward; fotografia: Robert Surtees; montaggio: William Reynolds; scenografia: Henry Bumstead; costumi: Edith Head; musica: Marvin Hamlisch, da temi originali di Scott Joplin.
Joliet, Illinois, negli anni della Grande Depressione. L'anziano truffatore di colore Luther Coleman e il suo giovane compare Johnny Hooker riescono a derubare un malvivente di piccolo calibro senza sapere che i soldi in suo possesso appartengono in realtà a un temibile boss di Chicago, Doyle Lonnegan. Questi si vendica uccidendo Coleman, mentre Hooker riesce a cavarsela e si rivolge al re della truffa, Henry Gondorff, cercando a sua volta vendetta. Gondorff accetta solo a patto che ne valga la pena in termini economici e comincia a pensare a come sottoporre Lonnegan alla 'stangata', il colpo definitivo, dal quale è impossibile risollevarsi. Si decide allora di sfruttare i punti deboli del boss, ovvero il suo amore per le carte e le corse dei cavalli. Durante un viaggio in treno fra New York e Chicago, Gondorff vince a Lonnegan una cifra rilevante con la quale finanziare il colpo vero e proprio. Hooker, infatti, finge di voler tradire il suo amico e propone a Lonnegan un colpo ai danni del compare, affermando di poter avere i risultati delle corse prima della loro trasmissione grazie all'amicizia con un telegrafista. Nel frattempo, però, il giovane deve guardarsi dall'FBI e dagli assassini materiali di Luther, cavandosela solo grazie a un angelo custode che il saggio Gondorff gli ha messo alle costole. Alla fine, in una ricevitoria del tutto fittizia, messa in piedi per l'occasione reclutando i più abili imbroglioni sulla piazza, Gondorff e Hooker riescono a manovrare le cose in modo tale da sottrarre a Lonnegan mezzo milione di dollari, volgendo a proprio vantaggio anche la complicità fra il gangster e il corrotto poliziotto Snyder e inscenando una spettacolare irruzione dei federali che culmina con la propria falsa morte. Quindi ciascuno se ne va per la sua strada.
Nel 1972, dopo aver realizzato Slaughterhouse Five (Mattatoio 5) dal romanzo di Kurt Vonnegut, George Roy Hill si trovò impegnato nella produzione di The Sugarland Express (Sugarland Express, 1974), secondo film di Steven Spielberg, e nella preparazione di un film che doveva riguardare due aviatori, reduci della Prima guerra mondiale e stuntman nella Hollywood degli anni Trenta. Appena si imbatté nella sceneggiatura di The Sting, abbandonò tutto il resto e rivolse ad essa le sue energie, sostituendosi allo stesso autore dello script, David S. Ward, nella direzione della pellicola.
Per prima cosa scelse di ricostituire la coppia di interpreti protagonista di Butch Cassidy and the Sundance Kid (Butch Cassidy, 1969), composta da Paul Newman e Robert Redford. Quindi richiamò alcuni dei tecnici più stimati dell'epoca d'oro di Hollywood ‒ Robert Surtees, Henry Bumstead, William Reynolds, Edith Head ‒ affinché il film assumesse quell'aspetto formalmente ineccepibile in termini di classicità della messa in scena che costituisce uno dei motivi del suo fascino e del suo successo. The Sting riesce così a essere contemporaneamente un film controcorrente e del tutto in linea con le tendenze dominanti del periodo in cui è stato realizzato. Da un lato, infatti, in un momento in cui si destrutturano i generi e il linguaggio tradizionali, in cui si contamina disperatamente e si cerca di fare del cinema un'arte personale e complessa, capace di dar conto di tutte le inquietudini sociali e individuali, il film di George Roy Hill pare andare in direzione del tutto opposta. Si tratta, sotto molti aspetti, di una vera e propria apologia dell'entertainment, della leggerezza spettacolare, che si riallaccia dichiaratamente a una tradizione evocata dal vezzo dei mascherini a iride o dai cartelli che aprono le varie sequenze o, ancora, dalla musica d'epoca di Scott Joplin e dalle illustrazioni stile "Saturday Evening Post" che ne chiosano il gusto figurativo. Questi stessi elementi, però, ricollegano la pellicola a quella poetica della nostalgia che contraddistingue, in quegli anni, tanti altri film ambientati nello stesso periodo, da Thieves Like Us (Gang, 1974) di Robert Altman a Dillinger (1973) di John Milius, fino a Paper Moon (1973) di Peter Bogdanovich (parente strettissimo, più autoriale e raffinato, di The Sting).
La stessa vicenda, inoltre, si muove lungo una direttrice cara a Roy Hill e ai suoi colleghi: l'amore per i perdenti che lottano per sopravvivere in un mondo dominato da un potere arrogante e spietato. Nella migliore tradizione degli eredi di Robin Hood, gli eroi di The Sting fanno della leggerezza un'arma fondamentale per rivoltare la posizione di svantaggio e per affermare la loro rivoluzione individualista contro 'il sistema'. D'altra parte, il truffato è assai più criminale dei truffatori e in ballo non ci sono davvero potere, ricchezza o vendetta, bensì la dignità e la libertà che passano attraverso questi fattori. Così, affermando e negando i principi della cosiddetta New Hollywood, giocando la partita della semplicità e dell'immediatezza ludica, The Sting è in realtà un giocattolo perfettamente congegnato. Un gioco ad incastri (alla maniera del quasi coetaneo Sleuth ‒ Gli insospettabili, Joseph L. Mankiewicz 1972) che mira a coinvolgere lo spettatore, con la svagatezza di quella che Andrew Horton definisce una pop pièce e con un ritmo serratissimo, in un discorso per nulla ingenuo o pretenzioso sul modo in cui il cinema mette in scena le sue finzioni (e, forse, persino sulle ragioni per cui lo fa). Si aggiudicò sette premi Oscar, tra i quali quello per il miglior film e la miglior regia.
Interpreti e personaggi: Paul Newman (Henry Gondorff), Robert Redford (Johnny Hooker), Robert Shaw (Doyle Lonnegan), Charles Durning (tenente William Snyder), Ray Walston (J.J. Singleton), Eileen Brennan (Billie), Harold Gould (Kid Twist), John Heffernan (Eddie Niles), Dana Elcar (Polk, agente FBI), Jack Kehoe (Erie Kid), Dimitra Arliss (Loretta), Robert Earl Jones (Luther Coleman), James J. Sloyan (Mattola), Charles Dierkop (Floyd), Lee Paul (guardia del corpo), Sally Kirkland (Crystal), Avon Long (Benny Garfield), Arch Johnson (Combs), Ed Bakey (Granger), Brad Sullivan (Cole), John Quade (Riley), Larry D. Mann (macchinista), Leonard Barr (comico), Paulene Myers (Alva Coleman), Joe Tornatore (rapinatore), Ken O'Bryen (Greer), Ken Sansom (manager della Western Union), Ta-Tanisha (Louise Coleman).
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Sceneggiatura: in Best American screenplays 2, New York 1990.