The Cheat
(USA 1915, I prevaricatori, bianco e nero, 52m a 20 fps); regia: Cecil B. DeMille; produzione: Cecil B. DeMille per Jesse L. Lasky Feature Play; sceneggiatura: Hector Turnbull, Jeanie McPherson; fotografia: Alvin Wyckoff; scenografia: Wilfred Buckland.
Edith Hardy, signora del bel mondo newyorkese, gioca a Wall Street i fondi di un'associazione benefica di cui è tesoriera, e perde. Costretta a chiedere un prestito, si rivolge al ricco giapponese Hishuru Tori, perverso personaggio al quale promette di concedersi in cambio di diecimila dollari. Di lì a poco il marito di Edith fa invece ottime speculazioni in Borsa e spontaneamente offre alla donna diecimila dollari di cui disporre come crede. Edith cerca invano di riscattare il proprio debito sessuale con Tori, ma l'orientale è irremovibile; in una frenesia di possesso, marchia la donna con un ferro rovente, simbolo che stabilisce il suo diritto di proprietà. Disperata, Edith gli spara, ma del delitto è incolpato il marito. Durante il processo Edith, con gesto clamoroso, denuda la spalla e mostra il marchio con cui il giapponese l'ha sfregiata. I giudici scagionano i due coniugi, mentre Tori viene consegnato alle ire del pubblico presente in aula.
The Cheat è l'apogeo della prima parte della carriera di Cecil B. DeMille, un capolavoro intessuto di tracce stilistiche che anticipano i futuri furori melodrammatici del regista, ma anche a suo modo un 'film da camera', analisi straniata e glaciale del potere del sesso e del sadismo che abita l'uomo. Il linguaggio è ellittico e insinuante, adeguato all'instabilità e all'ambiguità della vicenda: seguiranno la stessa strada, nel decennio successivo, opere come Erotikon (Verso la felicità, 1920) di Mauritz Stiller, A Woman of Paris (La donna di Parigi, 1923) di Charlie Chaplin e tutti i film di Ernst Lubitsch. Pur nella sua violenza barocca, nella concretezza brutale dei suoi passaggi, The Cheat finisce per essere una parabola stilizzata sulle regole (economiche, libidiche, sociali) che presiedono alla vita umana; ed è ancora da brividi l'immagine di un universo chiuso in cui si incrociano, fino a rendersi indistricabili, la spirale vertiginosa del desiderio e il flusso del denaro guadagnato e perduto, la negoziazione finanziaria e la briga erotica.
Dal punto di vista formale, il modo in cui lo sguardo dei personaggi di DeMille traduce il loro pensiero è, ancora e sempre, fonte di meraviglia. Attraverso lo sguardo stretto, infido, morboso del giapponese il film mette in scena l'idea di 'libidine orientale', dunque terrori antropologici e pregiudizi tipicamente americani (in questo senso il discorso proseguirà in The Bitter Tea of General Yen ‒ L'amaro tè del generale Yen, di Frank Capra 1933). L''illuminazione Lasky' (o come più intellettualmente la definiva DeMille "Rembrandt lighting") sviluppata dal regista e dal direttore della fotografia Alvin Wyckoff raggiunge in The Cheat il suo massimo valore grafico: il pubblico, così almeno pensava DeMille, "riconosce lo sfondo senza guardarlo". Non tutti i dettagli devono essere perfettamente chiari, per lasciare spazio alla suggestione e alla materia fantastica: così, in un'immagine audace, un sogno viene proiettato sullo sfondo di un articolo di giornale.
DeMille ha poi costruito una carriera di regista quanto mai 'istituzionale', portato al dato monumentale come alla visionarietà magniloquente. Quel che più colpisce in The Cheat è invece una modernità raffinata e complessa: nel personaggio di Sessue Hayakawa, e soprattutto nella sequenza del marchio rovente, vibra la stessa esaltazione equivoca e corrotta che sarà poi dei personaggi di Erich von Stroheim; le sequenze finali, con la rinascita dell'amore attraverso le sbarre della prigione, ci rimandano persino a Robert Bresson (in questo caso il Bresson di Pickpocket).
Nella splendida grana chiaroscurale il film, pur così dominato da meccanismi e passioni brutali, conserva una bellezza classica che mandò in visibilio soprattutto il pubblico francese dell'epoca, che lo conobbe con il titolo di Forfaiture. Colette così scriveva nel 1916: "A Parigi, questa settimana, una sala cinematografica è diventata una scuola d'arte. Un film e due dei suoi principali attori ci stanno mostrando come sorprendenti innovazioni, emozioni, luci naturali e artefatte possano portare al suo massimo livello la finzione cinematografica. Ogni sera, scrittori, pittori, compositori e drammaturghi vengono e ritornano per sedersi a contemplare e a far commenti a bassa voce, come scolaretti". E Delluc annotava: "Sessue Hayakawa è il più fotogenico, e senza dubbio il più artista degli interpreti cinematografici". Due gli omonimi remake americani, nel 1923 a opera di George Fitzmaurice e nel 1931 per la regia di George Abbott; di maggior significato il remake francese di Marcel L'Herbier (Forfaiture ‒ L'insidia dorata, 1937), di cui è protagonista lo stesso Hayakawa.
Interpreti e personaggi: Fannie Ward (Edith Hardy), Sessue Hayakawa (Hishuru Tori), Jack Dean (Dick Hardy), James Neill (Jones), Utaka Abe (cameriere di Tori), Dana Ong (procuratore distrettuale), Hazel Childers (Mrs. Reynolds), Arthur H. Williams (giudice).
Fred., The Cheat, in "Variety", December 17, 1915.
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D. Bodeen, The Cheat in Magill's Survey of Cinema. Silent Films, 1° vol., Engelwood Cliffs, NJ 1982.
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S. Higashi, Cecil B. DeMille and American Culture. The Silent Era, Berkeley-Los Angeles-London 1994.