Vedi THARROS dell'anno: 1966 - 1997
THARROS (v. vol. VII, p. 800)
Le numerose ricerche sul terreno e le edizioni museografiche dedicate in questi ultimi decenni al sito e alla cultura materiale di Th. fenicia e punica hanno profondamente innovato le conoscenze sulla prima età del centro, mentre sporadici e meno innovativi sono i nuovi dati acquisiti sulle fasi successive, la romana e la tardoantica.
Quanto resta di Th. si dispone sul Capo San Marco, estrema propaggine SO della penisola del Sinis, che restituisce una completa sequenza stratigrafica del Pliocene Inferiore. La zona orientale è interessata dall'accumulo di materiale alluvionale portato dal Tirso nel suo sbocco al golfo di Oristano; il litorale occidentale è fortemente eroso dai venti e dal mare. La penisola, da cui il centro fenicio e poi romano trae motivo della sua floridezza, produsse nell'antichità un sistema economico integrato fra le colture cerealicole, la pesca negli stagni (stagni di Cabras e di Mistras) e la proiezione mediterranea dei suoi approdi. Che tale sistema abbia connotato il Sinis in tutta la sua storia, dal Neolitico sino in avanzata età romana, ne fanno fede i ritrovamenti archeologici sparsi nel territorio, dai resti recentemente messi in luce di Monti Prama e Cùccuru s'arrìu alla già nota presenza di torri nuragiche sino all'ipogeo tardoantico di San Salvatore e alla stessa chiesa di San Giovanni. Con la fine degli anni Sessanta hanno avuto inizio, e sono tutt'ora in corso, ricerche nel settore settentrionale dell'insediamento, nella collina di Su muru mannu, con le sue fortificazioni, il tofet e le strutture portuali sottostanti. Due sembrano essere stati i primi riferimenti dei frequentatori fenici nell'VIII sec. a.C., entrambi in raccordo con i già attivi insediamenti paleosardi: a O della torre di S. Giovanni e sulla collina di Su muru mannu. Necropoli di incinerati, seguite poi da cimiteri di inumati in tombe ipogeiche, dovevano servire questi nuclei, rispettivamente a SE della torre di S. Giovanni e a NO della collina di Su muru mannu. In questa prima fase, in cui l'impegno di fondaco prevaleva negli intenti dei coloni, le strutture paleosarde che insistevano sul promontorio furono utilizzate in parte e con diverse finalità. Da qui l'elezione a tofet di quanto rimaneva in fondazioni della zona occidentale del villaggio paleosardo di Su muru mannu, l'utilizzazione come difesa verso l'entroterra del suo antemurale, il potenziamento del porto lagunare. Con il VI sec. a.C. il centro supera l'embrionale topografia di fondaco per assumere con le sue realizzazioni in arenaria l'aspetto urbano che lo caratterizzerà nei secoli a venire. A settentrione una cortina di blocchi in arenaria a basso bugnato con almeno due porte monumentali, postierle e torrioni, riprende e completa in un organico disegno da E a O la linea fortificata già accennata nell'antemurale occidentale. Alla fine dello stesso secolo risale il «tempio monumentale». Il basamento ricavato nel bancone roccioso nei pressi del litorale orientale testimonia il grado di raggiunta dignità di cui la città volle dotarsi anche per il sacro: nel III-II sec. a.C. un'epigrafe dedicatoria documenta il culto a Melqart e la magistratura dei sufeti. Su questa griglia di arenaria, caratterizzata da tali emergenze ancora documentabili, si dispiegò in seguito la città romana che ricoprì con basolato e strutture «ciclopiche» in basalto l'intera area urbana sino alle fortificazioni settentrionali.
I monumenti emergenti di Th. punica si rifanno tutti per indagine di scavo e per tecnica costruttiva a un'epoca chiave per la storia urbanistica del centro: il VI-V sec. a.C. Guida degli impianti è il taglio dell'arenaria, anche in architettura negativa come dimostrano il basamento del ricordato tempio monumentale e le tombe ipogeiche della necropoli meridionale. A conferire ulteriore unità alla veste monumentale che si volle dare in quel periodo alla città è l'impiego nelle costruzioni, dal tempio alle cortine del circuito urbano, dalle cisterne alle postierle delle fortificazioni settentrionali, del cubito fenicio nel suo valore standard di 0,46 m. In questa prospettiva rientra anche quanto di monumentale è stato espresso dal tofet: le stele, i troni vuoti, gli altari.
Le ultime ricerche si sono concentrate sulla collina di Su muru mannu, sede nel suo versante NE di un vasto villaggio paleosardo con nuraghe decentrato all'estrema punta di NE e porto alle pendici settentrionali. Le capanne circolari in basalto del Tardo Bronzo erano protette verso N da un antemurale anch'esso in blocchi basaltici. Un periodo di abbandono con insabbiamento eolico consegna alla fine dell'VIII sec. a.C. l'intera area ai primi coloni fenici che nel settore orientale impiantano il tofet, che rimarrà in attività sino al cristianesimo e ospiterà fra il VI e il V sec. a.C. una serie di cappelle votive. Nel VI sec. a.C. sulla traccia di quello che resta dell'antemurale del villaggio si mette mano al circuito settentrionale delle mura: i resti di un torrione presso la torre di San Giovanni ne sono l'estremo raccordo occidentale. Sono così messe in opera le cortine di arenaria, con l'apertura di postierle a E e O di una porta monumentale, e altre due linee fortificate nel declivio a difesa del porto, probabilmente anch'esso ampliato e ristrutturato. A quest'epoca risale il tentativo, andato a vuoto per il mancato raggiungimento della falda freatica, di dotare l'area di una fonte d'acqua: da qui l'apertura di un pozzo subcircolare rimasto incompiuto a circa 14 m di profondità. Intorno al II-I sec. a.C. l'intera area è investita da un nuovo profondo intervento edilizio. La postierla occidentale è chiusa e l'area da questa delimitata a O del tofet è coperta da un omogeneo battuto di arenaria sino alla piazza circolare che limita a S la zona; si rifascia e si restaura il paramento esterno della cortina d'arenaria con massi di basalto, si scava il fossato e si realizza nel terrapieno ricavato il muro di controscarpa. Di avanzata età imperiale è la necropoli che si colloca nel fossato, mentre l'area del tofet, già parzialmente coperta nel II-I sec. a.C. da ambienti rettangolari soprattutto a ridosso delle mura orientali, è definitivamente occupata da costruzioni. In età tardoantica l'intera area accentua il proprio isolamento, che rimarrà tale rispetto alla zona meridionale sino all'abbandono del 1000 d.C.
Ricerche degli anni Novanta condotte nella stessa zona hanno da ultimo restituito notevoli corrispondenze cronologiche e strutturali con la Cartagine d'Africa. Evidenti sono l'impianto sulle pendici della collina di alcune tombe dalla fine del VI agli inizi del IV sec. a.C., l'attività di un quartiere metallurgico e ceramico dal IV al III sec. a.C. e una radicale ristrutturazione dell'area in coincidenza con l'ultima fase di attività dell'area industriale.
A fronte di una lettura monumentale complessa, per di più ancora in corso di definizione, non meraviglia che guida del giudizio sul ruolo e la natura del centro fenicio-punico di Th. siano ancora i ricchi corredi delle tombe; corredi che hanno fornito materiale di collezione a musei italiani (Cagliari, Sassari, Oristano, Torino, Como) ed europei (Londra, Parigi, Copenaghen).
Forse il maggior scalo sulla rotta spagnola-africana; interlocutrice privilegiata di un'ampia dialettica culturale e commerciale con l'Etruria; sede dell'attività di prestigiosi maestri lapicidi che seppero dare all'arenaria modellati originali sia per l'architettura negativa sia per i monumenti votivi del tofet, improntati a una tradizione vicino-orientale diretta e vitale, ma anche conforme alla più antica tradizione paleosarda; sede di maestri incisori che seppero determinare la produzione di scarabei in diaspro verde; sintesi di diverse esperienze culturali maturate nell'ambito del mondo punico, la città del Sinis si rivela in epoca punica come centro attivo di diffusione nei confronti di gran parte del Mediterraneo centro-occidentale punico, compresa la stessa Cartagine.
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