Vedi THARROS dell'anno: 1966 - 1997
THARROS (Θάρροσ, Τάρραι, Ταρραί, Tharros, Tarrae, Tarri ecc.)
Antica città della Sardegna sulla penisoletta fra il moderno villaggio di San Giovanni di Sinis e il Capo San Marco (Golfo di Oristano).
La presenza sul Capo S. Marco di un nuraghe ancora visibile nel 1929, e di molti altri nell'immediato retroterra, oggi non più esistenti, ci dice che il promontorio e tutto il Sinis erano stati abitati da Sardi. Non è impossibile che già nel II millennio a. C. il luogo fosse frequentato da Iberici e da gente di civiltà micenea, che vi s'incontravano per commerciare stagno e ambra. È la preistoria dell'espansione commerciale e coloniale di Tiro, di Sidone e di Cipro nel Mediterraneo occidentale, fra il X e il VII sec. a. C., alla quale si collegano le origini di Th. come colonia fenicia.
Il toponimo presenta un problema linguistico: esso equivarrebbe, secondo il Wagner, a Sarra, forma con la quale è reso nel latino di Plauto Ṣūr nome fenicio di Tiro; nel pensiero del Wagner la colonia di Th. fondata da Tirî, avrebbe ricevuto il nome della madrepatria libanese. Ma è più probabile che il toponimo della città sarda derivi da una forma mediterranea tar che i coloni conservarono. Non possiamo individuare il momento storico, in cui il primitivo emporio fenicio o protocartaginese si trasforma in un più complesso organismo giuridico-politico a carattere urbano. Possiamo solamente affermare che gli oggetti più antichi (finora), che si sa essere stati trovati in tombe tharrensi, attestano la presenza del commercio fenicio per il VII sec.: scarabeo della XXVI dinastia, gioielli di stile orientalizzante, vasi protocorinzi e di bucchero. Ma considerato che una presenza stabile di Fenici risulta documentata per altri due scali sardi, Nora e Sulcis, nel IX-VIII sec., è probabile la contemporaneità di origine di Tharros. Nel corso del VI sec. Th., insieme con le altre colonie fenicie, diventa parte dell'impero marittimo di Cartagine.
Questo periodo punico arcaico sembra caratterizzato dal benessere economico di una doviziosa classe dirigente, come si deduce dalla suppellettile funeraria, ricca di gioielli orientalizzanti e di vasi greci a figure nere. Il V sec. a. C. dopo il 480 è un'epoca della storia artistica del mondo punico oscura per noi. Dopo la disfatta di Imera, Cartagine si ripiega su se stessa e si astiene dall'importare merce straniera non strettamente necessaria. Si pensa che questo blocco fosse imposto anche alle città satelliti. Certamente né a Th. né altrove in Sardegna si è trovato alcuno dei bei vasi attici a figure rosse dallo stile severo al midiaco; tardi, cioè non anteriori alla fine del V sec., e di scarso pregio essendo gli esemplari a figure rosse trovati nell'isola. I centocinquant'anni dal principio del IV alla metà del III sec. videro il massimo fiorire della potenza e della civiltà puniche, per ciò anche di Tharros. Questa ospitava, probabilmente, una colonia di Massalioti, la cui presenza è testimoniata da due iscrizioni funerarie, le sole in lingua e scrittura greche, tutti gli altri titoli tharrensi di quest'epoca essendo punici.
Occupata la Sardegna dai Romani nel 238 a. C., poi costituita nel 227 la provincia romana Sardinia et Corsica (v.), Th. forse fu il centro dell'insurrezione antiromana capeggiata dal sardo punicofilo Ampsicora, movimento sfociato nella battaglia di Cornus a una trentina di chilometri a N di Th., vinta dai Romani (215 a. C.). Successivamente la Sardegna fu travagliata dalla ripercussione delle guerre civili fra i capi politici della Roma repubblicana. Probabilmente Th. parteggiò per il partito mariano. La sua menzione in un frammento delle perdute Historiae sallustiane (Sallusti Crispi Hist. reliquiae, ed. Maurenbrecher, Lipsia 1892-93, ii, fr. 12, p. 64) è stata riferita alla spedizione di Marco Emilio Lepido, salpante dal porto di Th. per raggiungere Sertorio nella Spagna (77 a. C.). Th. è solamente nominata, in serie con altri toponimi sardi, dai geografi antichi: Claudio Tolomeo, l'Itinerario di Antonino, l'Anonimo Ravennate e Guidone. Da iscrizioni di contenuto pubblico (una, per esempio, menzionante un servus publicus, C.I.L., x, 7903) si desume che Th. era ancora un Comune al tempo di Costantino il Grande. L'ultima voce antica è bizantina; Giorgio di Cipro, il cui ricordo del κάστροξ τοῦ Τάρων è un parallelo del Nora praesidium del coevo Anonimo Ravennate: fortezze marittime. Rimaste quasi ignorate fino al sec. XIX le tombe tharrensi sono state manomesse nel 1851 dall'inglese Lord Vernon, che ne portò a Londra ricche suppellettili; nel 1852 dai rurali dell'Oristanese, che ne dispersero i reperti. Lo Spano, poi il collezionista Pischedda, ne esplorarono altre. Dal 1956 la Soprintendenza alle anticliità di Cagliari esplora l'area urbana.
La città preromana. - Th. spostò progressivamente da S a N il suo abitato. La presenza sul Capo S. Marco di un sacello rustico di tipo cananeo, (ma difficilmente databile per mancanza di suppellettile) e di banchi rocciosi bene spianati, squadrati, visibili a pelo d'acqua alla base dello stesso promontorio induce a congetturare che questo potrebb'essere stato il sito dell'originario "stabilimento" semitico. Ma non si hanno dati cronologici certi, e potrebbe trattarsi di opere del periodo punico pieno, quando già esisteva la città resuscitata dagli scavi a N della necropoli meridionale. Immediatamente a N di questo complesso, si estende la più vetusta delle due necropoli, della quale sussistono alcuni degl'ipogei ad inumazione.
Sono camere scavate nei fianchi rocciosi del promontorio, accessibili le più antiche mediante un pozzo verticale a sezione rettangolare, le altre attraverso un breve dròmos a rampa con gradini. Nelle pareti del cubicolo sono tagliate nicchiette rettangolari, dov'erano collocati vasetti, statuette, lucerne. Da queste tombe (e da quelle della necropoli N) è uscito il cospicuo patrimonio di prodotti di artigianato artistico fenicio-punico e di iscrizioni semitiche, oggi diviso fra i musei di Cagliari, di Oristano, di Torino e il British Museum principalmente, senza contare ciò che è andato disperso. Seguono a N un basso e stretto istmo poi, con brusco rilievo, un poggio, sul cui vertice a quota 51 si erge la torre spagnola detta di S. Giovanni. Da qui l'altura ha rilievo accidentato con una cresta e due versanti. Sul versante orientale era ubicato l'agglomerato urbano, restituito alla luce dagli scavi 1956-65. Davanti a quest'area urbana si estendeva l'insieme delle opere portuali, oggi sommerso nelle acque del Golfo di Oristano, ma individuato dall'Ist. Geografico Militare di Firenze. In cima all'altura della torre era forse un tempio o, comunque, l'acropoli fortificata, perché qui è stato trovato un tratto di cortina muraria, una torre e varî pinnacoli di merlatura con orlo superiore arcuato come quelli di Mozia. Si tratta dunque di una fortificazione interna (come Cartagine), distinta dalla cinta esterna dell'aggregato urbano. Dal poggio dominato dalla torre il suolo degrada verso il litorale del golfo a balze, sulle quali erano costruite le case, il cui insieme doveva presentare, a chi lo guardava dal mare, una prospettiva a terrazze. Ma ciò che sussiste di punico non è molto. A pie' dell'altura sorgeva un tempio o altare monumentale, consistente in un gigantesco parallelepipedo rettangolare monolitico, tagliato in un roccione di arenaria; le sue fiancate sono ornate con semicolonne doriche scolpite e sormontate da una cornice a gola egizia. Questo basamento è incluso in un tèmenos di poderosa struttura, in parte monolitica, in parte ad apparecchio pseudoisodomo. Attiguo è un tempio: piazzale quadrato, intagliato nella roccia per tre lati (il quarto, indefinibile, era prospiciente al mare), con le basi di tre tabernacoli, uno in asse alla parete frontale, gli altri due alle estremità esterne dei lati minori. In mezzo è un pozzo, dal quale sono stati estratti circa duecento vasi fittili punici integri. Ambedue questi edifici sono orientati secondo gli angoli e subirono trasformazioni in età romana. L'altare monolitico smontato fu sommerso sotto una colmata di rifiuti di cava, sostenente il pavimento in rozzo calcestruzzo di un tempio neopunico, i cui altari erano impostati sopra vespai, realizzati accumulando i blocchi della cornice e dei capitelli del tempio più antico. Questo nuovo tempio era al livello della strada romana. L'edificio fu arricchito con un portichetto a colonne di fusto liscio collegate da un basso muretto, delimitante un musaico tessellato bianco-nero antoniniano. Nella stessa regione, un po' più a valle, sussistono tratti di muri; alcuni isodomi, forse di una stoà (come sembra per la presenza di colonne stuccate e scanalate e di capitelli corinzi), un altro in opus quadratum, forse avanzo della cinta, è rimasto poi incorporato in un edificio termale. In una zona a quota più alta in cima a una gradinata di sette scalini si apre un sacello contenente un balcone lapideo a cornice sagomata (mensa per offerte); questa fabbrica fu rimaneggiata in tempi tardi. I resti di un altro sacello sono sul litorale fra le sostruzioni di un'altra terma romana. Un po' da per tutto sono altri ruderi di strutture puniche sottostanti a case romane e di opere puniche di spianamento, squadratura e scalpellatura di banchi rocciosi per fini edilizi.
Della rete stradale non sappiamo niente ma, osservando che alcune strade romane tharrensi sono ingiustificabilmente irregolari, è possibile l'ipotesi che deve esservi stata una via principale la quale, seguendo l'asse longitudinale della penisoletta, collegava l'aggregato urbano e il porto (o i porti) al retroterra, mentre ai quartieri periferici si arrivava percorrendo diverticoli trasversali più o meno tortuosi. Il sistema delle fognature consiste dove in ambitus fra due edifici adiacenti, dove in lunghi canali tagliati nella roccia; integrati nel senso dell'altezza con blocchi lapidei sono ubicati nell'asse mediano delle strade romane e coperti con grandi lastre di pietra; non è certo se sia databile al periodo punico pieno o punico-romano (considerato che esso è largamente documentato nelle città ellenistiche) oppure se all'epoca imperiale. L'approvvigionamento idrico era assicurato per mezzo di pozzi e di cisterne dalla caratteristica forma a bagnarola, scavate nella roccia, a volte integrate con opera in muratura e sempre rivestite d'intonaco per assicurare la perfetta tenuta dell'acqua. La fotografia aerea ha mostrato resti sommersi di opere portuali lungo questo tratto della costa orientale, che, difeso dal libeccio, era per le navi più comodo della costa occidentale, fortemente erosa dal mare.
Il tophet. -All'estrema periferia nord-orientale dell'abitato era il tophet, santuario dove si immolavano bambini secondo un rito praticato nel mondo cananeo. È un tèmenos includente un campo, nel quale sono sepolti vasi fittili a centinaia, contenenti i resti cremati delle vittime, che erano immolate nello stesso luogo. Associate alle urne sono stele scolpite e altari lapidei. Nessun edificio vistoso, ma solamente recinti minori adiacenti fra loro sullo strato superficiale, coevo alla seconda guerra punica.
La città romana e bizantina. - Al tempo del dominio romano un nuovo aggregato urbano in parte si sovrappose al preesistente, in parte distrusse quest'ultimo riutilizzandone il materiale, in parte traboccò fuori della cerchia antica. Romana è anzitutto la rete stradale oggi visibile, con cardines e decumani, pavimentati con grandi blocchi di basalto, a carreggiata corrente fra due alte spallette. A tratti le strade si slargano in piazzette. Il livello del loro piano è in media di due metri più alto rispetto a quello degli edifici punici (per esempio presso il tempio dalle semicolonne). In mezzo ad una di tali piazzette, un quadrivio, sorgeva un sacello. Dietro alle spallette stradali si allineano i conci infimi dei muri delle case, interrotti da soglie, fra le quali si distinguono quelle delle tabernae col tipico dispositivo per farvi scorrere le assi della serranda lignea. In qualche punto si apriva lungo la strada un portichetto a pilastri.
Le fabbriche più vistose e meno dirute sono due terme e un edificio quadrato di non chiaro significato. Sembra essere stato, almeno in origine, un castellum aquae per alcuni particolari, poi utilizzato per altro uso (basilica protocristiana?). L'interno è diviso in tre navate da otto robusti pilastri di laterizio, sostenenti una copertura piana di calcestruzzo. Le terme furono costruite sul sito di un edificio punico orientato con gli angoli, del quale sussistono poderose cortine in opera quadrata e rocchi di colonne, fusti monolitici di colonnine scanalate ed elementi di trabeazione riutilizzati come pilae per sostenere il pavimento superiore di un ampio calidario. Dell'altro stabilimento termale, più grandioso, avanzano l'apoditerio con un banco in muratura, fornito di loculi triangolari al livello del pavimento (come nelle Piccole Terme norensi), il frigidario con due piscine e pavimento musivo in tessellato bianco-nero, tre calidarî intercomunicanti, i servizi fra cui una latrina. Gli ipocausti, oggi inesistenti, di due calidarî, dovevano essere sostenuti da muri di terrazzamento, impostati sul sottostante piano roccioso litoraneo. Edifici minori sono le case, formanti il grosso dello agglomerato urbano, un fitto dedalo di muri a struttura microlitica, delimitanti vani ortogonali, pavimentati con terriccio battuto o con calcestruzzo. In nessuna sono riconoscibili l'atrio né il peristilio, tanto caratteristici delle case pompeiane, ercolanesi ed ostiensi, ma pozzi e cisterne e impianti di tubazione con fistule di terracotta. Forse queste casette si sviluppavano in altezza a più piani e forse il loro schema è di tradizione preromana. Tale è indubbiamente quello della cisterna a bagnarola di cui Th. possiede un esemplare (presso il tempio neopunico monumentale e quasi completo con copertura a duplice spiovente di lastroni lapidei, pozzetti per attingere, condotti di alimentazione idrica ecc. Qualche casa del quartiere alto doveva funzionare da officina di coroplasti, come deduciamo dalla ingente quantità di matrici fittili qua trovate; in altre case si notano gli ambienti rustici con macine, dolia e vaschette.
Una casa signorile doveva essere quella da cui provengono blocchi di pietra da taglio con frammenti d'intonaco dipinto, conforme ad uno stile postpompeiano. In generale l'assetto edilizio romano che lo scavo ci viene rivelando sembra risalire ai tempi antonino-severiani. Sono venuti in luce due tratti di acquedotti senza arcate. Uno in opera mista con copertura di calcestruzzo, si estende prima lungo l'asse longitudinale della penisoletta. L'altro acquedotto è simile al precedente, ma con copertura in parte alla cappuccina, in parte a piattabanda.
I più tardi monumenti sono un battistero cristiano databile fra il V e il VII sec. e una chiesa bizantina. Il primo è presso le terme, absidato e con fonte a vasca esagonale adorna di un tabernacolo, nel quale sono utilizzati come basi di colonne due capitelli di tipo dorico classico. L'attigua basilica, ancora sepolta, era probabilmente quella di San Marco, ricordata in carte medievali, che diede il nome al promontorio, dove sorgeva il nuraghe Baboe Cabitza. Della chiesa di S. Giovanni Battista, costruita sulla necropoli settentrionale, il corpo cupolato e gli avanzi dei bracci del transetto sono del V sec., le strutture di integrazione e i restauri scendono ai secoli IX-X. Intorno a questa chiesa si raccolse contraendosi l'ultima Th., essendo stato abbandonato il quartiere delle grandi terme, che diventarono dimore e sepolcreti di poveri cenobiti (onde il nome moderno di Convento vecchio dato alla contrada, dove sorgevano le terme). A prescindere da queste sepolture di fortuna e dalla riutilizzazione di ipogei punici per deposizioni tardo-romane, le necropoli romana e bizantina si svilupparono nell'istmo meridionale e nell'area intorno alla chiesa di S. Giovanni.
Bibl.: Fonti: K. Miller, Itineraria romana, Stoccarda 1916, c. 408. Sallustius Crispus, Historiarum Reliquiae, Teubner, Lipsia 1892-3, lib. II, p. 12, p. 64. Trattazioni d'insieme soltanto in libri ottocenteschi: G. Spano, Notizia della città di Tharros, Cagliari 1851; id., in Boll. Arch. Sardo, VII, 1861; Alb. W. de La Marmora, Itinérarie de l'Ile de Sardaigne, Torino 1860, I, p. 574 ss. Epigrafia: C.I.S., I, I, fasc. 3; C.I.L., X, 7895 ss.; G. Kaibel, Inscr. gr. Sic. et It., XIV, Berlino 1890, 609, 610; A. Bonu, Titolo commen. di Tharros, in Studi Sardi, XII-XIII, 1952-54. Carta archeologica: A. Taramelli, Foglio 216 Capo San Marco, Firenze 1929. Scavi e singoli edifici: G. Pesce, Il primo scavo di Tharros, in Studi Sardi, XIV-XV, 1955-57; F. Barreca, Scoperte al C. San Marco, in Not. Sc., 1958, p. 409; G. Pesce, Il tempio punico mon. di Th., in Mon. Ant. Lincei, XIV, 1960; id., Archit. punica in S., in Boll. del Centro per la st. dell'archit., 17, 1961. Tophet: Oriens Antiquus, II, 1963 (notiziario). Battistero: A. Boscolo, Su due fonti battesimali, in Arch. Stor. Sardo, XXVII, 1960. Chiesa di S. Giovanni: R. Delogu, L'architettura del M. E. in Sardegna, Roma 1953, p. 73 s. Prodotti dell'artigianato punico: v. punica, arte (Sardegna); G. Schmidt, Contributo della foto-interpretazione alla ricostruzione della situazione geog.-top. dei porti antichi in Italia, in Boll. di Geod. dell'Ist. Geogr. Mil. di Firenze, XXIII, 4, 1964, p. 431.