TEVESTE (Theveste)
Città dell'Africa, oggi Tébessa (Algeria, dipartimento di Costantina; ab. 18.000). Di essa, sotto questo nome, non abbiamo notizia prima del periodo romano, ma da un passo di S. Girolamo (Comm. in ep. Pauli ad Galatas, 2, in Patr. Lat., XXVI, p. 353) rileviamo che ad essa si dava, certo per analogia del suo nome con quello di Tebe in Egitto, l'appellativo di ἑκατόμπυλος "dalle cento porte": dobbiamo allora riferire a Teveste quanto Diodoro e Polibio ci dicono sulla città di Hecatompulos, fondata da Ercole, e presa dal generale cartaginese Annone, circa il 247 a. C., al tempo della prima guerra punica. La città, ricca e fiorente e con un governo regolare di anziani, non pare fosse incorporata nel territorio cartaginese, ma solo obbligata alla consegna di ostaggi. D'altronde le numerose testimonianze di abitati preistorici (di età capsiana) rinvenuti nelle sue adiacenze, la felicità della posizione, presso un'abbondante sorgente e al comando delle strade che dal sud si dirigevano verso nord-est (a Cartagine) e verso levante (a Tacape), la radice stessa del nome, di carattere berbero, ci fanno ritenere per fermo che un centro importante dovette sorgere qui fino da tempo assai antico.
Negli ultimi decennî del sec. I d. C. a Teveste fu il campo della terza legione Augusta; spostatasi poi questa verso occidente, da Nerva o da Traiano la città ebbe la dignità di colonia, e fu ascritta alla tribù papiria. Si deve a Adriano la definitiva sistemazione della strada che congiungeva Teveste con Cartagine.
Il secondo e il terzo secolo d. C. segnano il periodo di maggiore floridezza della città, centro di un ufficio per l'amministrazione di domini imperiali e già nel 256 sede episcopale.
Già forse nel sec. III essa era passata dalla giurisdizione del legato di Numidia a quella del proconsole dell'Africa; con Diocleziano fu certamente ascritta a quest'ultima. Non lontano da essa fu nel 398 battuto Gildone. Dopo avere sofferto gravi danni da parte delle popolazioni indigene del sud negli ultimi tempi della dominazione romana e sotto i Vandali, rifiorì sotto Giustiniano: Solomone ne fece una valida fortezza, rialzandone, pure in limite più ristretto, le mura. Nel sec. IX, a giudicare dalla lista di Leone il Saggio, sembra avesse ancora un vescovo.
Della città romana, oltre a resti meno importanti di edifici varî e di sepolcri, dai quali fu raccolta copiosa messe d'iscrizioni, musaici e altri oggetti conservati nel museo locale, fanno testimonianza l'arco quadrifronte e il tempio detto di Minerva.
Il primo fu incorporato nelle mura bizantine, ancora oggi quasi interamente superstiti, venendo a formare la porta settentrionale della città; ma in origine era entro di questa, con l'asse maggiore lungo il cardine principale. Fu costruito nel 214 da C. Cornelio Egriliano in onore del Divo Severo, di Caracalla e Giulia Domna; è ornato sulle quattro fronti da coppie di colonne in avancorpo; gli elementi decorativi sono lavorati con ricchezza sovrabbondante, seppure non troppo finemente; dubbia è la primitiva disposizione dell'ordine superiore, appartenendo l'edicola attuale a un discutibile restauro moderno.
Alla stessa età si attribuisce generalmente il vicino tempio prostilotetrastilo (18,80 × 9), erroneamente detto di Minerva, dalle figure di aquile, scambiate per civette, del fregio, la cui esecuzione rammenta quella delle decorazioni dell'arco; al disopra del fregio corre un attico anch'esso riccamente adorno di rilievi.
Il complesso monumentale più importante di Teveste è costituito peraltro dalla grande basilica cristiana e suoi annessi, che sorge a mezzo chilometro dalla città verso settentrione: è il monumento più notevole che il cristianesimo africano ci abbia lasciato. Esso è formato da più elementi, la cui successione cronologica è stata variamente fissata dagli studiosi, e di cui non tutti sono di chiara destinazione: ulteriori ricerche metodiche potrebbero dare più sicura base allo studio di esso.
La parte più antica, certo di poco posteriore alla pace costantiniana, e sorta sul fianco della via Teveste-Cartagine in mezzo a un'area precedentemente adibita a sepolcri, è la chiesa a tre navate (m. 46 × 22), con atrio e portico, cui si attacca di fianco una cella tricora, probabilmente di carattere funerario o commemorativo. In un secondo tempo, non posteriore al principio del sec. V, furono sistemate nell'area antistante alla basilica una grande strada, con ingresso monumentale sulla via pubblica, una piazza forse adibita a giardini o a bacini d'acqua, e una vasta sala attigua. Questa in un terzo momento, che St. Gsell fissa al periodo vandalico, fu trasformata in refettorio o in scuderie: allora, oltre a minori mutamenti apportati alla chiesa e alle altre costruzioni, fu innalzato tutto all'intorno di queste una cinta murata con torri: forse il complesso fu adibito a monastero di vergini. Ulteriori modifiche il monumento subì in età bizantina quando, secondo un'ipotesi ripresa recentemente da A. Truillot e A. Maitrot, ma non suffragata da alcun argomento probatorio, esso fu adibito a prigione per gl'indigeni addetti alla costruzione delle mura della città disposta da Solomone.
Numerose rovine antiche si vedono inoltre in tutta la regione intorno alla città; le più importanti sono quelle a sud-ovest, nella località detta Tebessa Khalia.
Bibl.: St. Gsell, Inscript. lat. d'Algérie, Parigi 1922, p. 286 segg.; id., Atlas Arch. de l'Alg., Parigi-Algeri 1907, f. 29; id., Monum. de l'Algérie, Parigi 1901; A. Ballu, Le monastère byzantin de Tébessa, ivi 1897; A. Truillot, Autour de la basilique de Tébessa, in Rec. Constatine, 1934, p. 115 segg.; R. Cagnat, Carthage, Timgad, Tébessa, ecc., 2a ed., Parigi 1910.